Vita Chiesa

Sandrelli, un vescovo missionario fino all’ultimo

DI MASSIMO ROSSIÈ già tornato a Buenos Aires monsignor Dante Sandrelli, vescovo missionario originario di Cortona in provincia d’Arezzo. Ottant’anni suonati, ricorda come fosse ieri la sua partenza per l’Argentina, 52 anni fa. Giovane prete, figlio di contadini, lasciò quell’estremo lembo di toscana nel 1950: un altro cortonese, anch’egli missionario, gli propose di lasciare tutto e andare fra la gente d’America Latina e «don Dante», come ancora vuol essere chiamato, partì senza esitazioni.

Oggi, dopo aver guidato per ventidue anni la diocesi di Formosa, nel nord dell’Argentina (una chiesa di poco meno di quattrocentomila abitanti, dispersi però su un territorio vasto come la Liguria, il Piemonte e la Lombardia messi assieme) e aver prestato il suo servizio sacerdotale negli ultimi quattro anni a Cuba, presso il santuario della Madonna della Carità del Cobre, non vuol parlare di pensione. «Devo tornare in Argentina, voglio terminare la mia vita terrena vicino ai malati del Cottolengo di Buenos Aires», ci dice con l’entusiasmo di un prete fresco di ordinazione; del resto la sua devozione per il beato don Luigi Orione e l’ammirazione per la sua congregazione è da sempre molto forte.

«Quando lasciai la diocesi di Formosa, nel ’97, volevo chiedere al Papa di essere destinato al Cottolengo di Buenos Aires, poi giunse ai vescovi dell’Argentina, riuniti in assemblea, la richiesta dei confratelli cubani di poter avere qualche prete disposto ad andare fin là. La mia salute era buona e volli rispondere a quell’invito». Però non vuol essere considerato un «eroe», un vescovo fuori dal comune: «Sono soltanto fedele alla mia missione, finchè il Signore me ne darà la forza». Nonostante la sua salute non sia più quella di un tempo (quando era a Cuba diceva di riuscire a sopportare il caldo umido quasi meglio degli stessi cubani), non vuole sentir parlare di restare a Cortona con la famiglia: «È una realtà troppo differente da quella di cui, ormai, sono parte – ci dice –, non me ne vogliano i cortonesi, qui sono le mie origini del resto, ma la mia vita è in America Latina».

Eccellenza, ci parli della sua esperienza a Cuba.

«Il Signore mi ha riservato, dopo la bellissima esperienza a Formosa, una grazia che non avrei mai immaginato. Quando ho risposto “sì” all’invito dei vescovi cubani, sono stato destinato al santuario della Madonna della Carità del Cobre, nel territorio di Santiago de Cuba, uno dei luoghi cristiani più cari al popolo cubano».

Una rarità avere un prete a disposizione dei pellegrini.

«È vero! I sacerdoti sono pochi, così un servizio permanente al santuario non lo si era potuto assicurare fino ad oggi. Mi rendo conto però che è molto utile».

Sono molti i pellegrini ogni giorno?

«Tantissimi. Il giorno successivo al mio arrivo salirono al santuario 980 devoti della Madonna. La maggior parte di loro non sono battezzati, non conoscono le preghiere, non hanno mai incontrato sacerdoti ne ricevuto la catechesi. Giungere al santuario è il coronamento del sogno di una vita. Offrono di fronte alla Madonna un bel mazzo di fiori poi compiono il loro incontro con Maria: si piantano là, ritti, con gli occhi fissi nella prodigiosa immagine e molti piangono pure; poi però se ne vanno col cuore contento, con più forze, più energie, più speranze».

Immagino che lei li incontri personalmente, parli con loro, amministri i sacramenti…

«Principalmente collaboro con i pochi sacerdoti che ci sono. La mia presenza, prete vecchio, sconosciuto, che non vive normalmente con loro, li rende più disponibili ad aprirsi con me. Si tratta perlopiù di cristiani che vivono la loro esperienza nelle parrocchie, e che si sforzano di vivere il Vangelo fra mille difficoltà. Altri, invece, non sono neppure battezzati: “Vogliamo farlo con i nostri figli” mi dicono. Io li benedico, impongo loro le mani, e, sorridendo, insegno loro a pregare».

Anche da Arezzo le è giunto un aiuto.

«Il parroco del Duomo ha fatto stampare duecentomila immaginette della Madonna del Cobre; dietro ho fatto riportare il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre. Sono le preghiere di ogni cristiano. Le distribuisco ai pellegrini. Dico loro di tenerle con sé, e di recitare le preghiere ogni giorno in famiglia».

Il suo Arcivescovo a Santiago de Cuba le ha chiesto di rimanere, non è vero?

«Proprio così, ed io desidero tanto accontentarlo; la mia salute però al momento non me lo consente. Ho bisogno di riposo e cure e al Cottolengo di Buenos Aires posso essere assistito, ma al tempo stesso portare un po’ di consolazione ai miei fratelli malati nel corpo e nella mente. Mi aiuterà in questo nuovo servizio alla Chiesa l’esperienza maturata in ventisei anni di servizio negli ospedali del nord dell’Argentina. Mi affido alla Provvidenza… il Signore sa meglio di me dove posso essere utile al suo Regno».

Di Formosa non ha nostalgia?

«Ho vissuto con quella Chiesa ventidue anni; la gente mi vuole bene e ancora oggi mi scrive lettere piene d’affetto. Ho preferito però partire di là non appena il Papa ha accettato le mie dimissioni, così da lasciare piena libertà al mio successore, il vescovo Josè Conejero Gallego: è un pastore giovane, intelligente e capace, che ho avuto modo di apprezzare perché è stato mio vicario generale. Sta facendo molto bene a Formosa».

In quella diocesi lei ha lasciato, oltre ai frutti di un’intensa attività pastorale, anche un’opera di particolare importanza sociale: il Centro di formazione professionale.

«Quella è stata la risposta allo spopolamento delle campagne, una volta venuti meno i contributi che sostenevano l’agricoltura. Il popolo argentino è molto laborioso, ma le difficoltà del lavoro dei campi, senza i piccoli finanziamenti che i singoli stati elargivano (l’Argentina è una federazione di 26 stati, ndr) hanno reso impossibile la vita a migliaia di famiglie. Gente che è venuta a popolare Formosa senza conoscere alcun mestiere».

Se non ricordo male lei stesso presentò il progetto a Giovanni Paolo II durante la sua visita pastorale ad Arezzo-Cortona-Sansepolcro, il 23 maggio del 1993.

«Fu una giornata bellissima. Il Centro di Formazione è costato circa tre miliardi di lire ed è stato realizzato interamente dalla Chiesa, senza alcun finanziamento dello stato. Il contributo di Cortona fu rilevante: circa 600 milioni. Il resto del denaro lo abbiamo ricevuto attraverso il contributo delle Chiese sorelle in Germania, Giappone, Australia, senza dimenticare quello della diocesi di Arezzo-Cortona-Sansepolcro… una grande opera della Provvidenza che produce molti risultati, dando una prospettiva di sussistenza a centinaia di uomini e donne di Formosa. Tuttavia in molte comunità della diocesi di Formosa vi sono piccole esperienze di formazione al lavoro: accanto all’evangelizzazione della gente, i miei confratelli ed io non abbiamo mai tralasciato un incisivo impegno sociale per lo sviluppo di quella che è fra le terre più povere dell’intera Argentina».

Monsignor Dante Sandrelli è nato a Cortona il 6 giugno del 1922. Ordinato sacerdote da monsignor Giuseppe Franciolini il 27 giugno del 1947, ha operato nell’allora diocesi di Cortona nell’ambito dell’Azione cattolica e della pastorale giovanile, ricoprendo pure l’incarico di vice rettore del seminario. Nel 1950 lasciò l’Italia e si stabilì a Resistencia, in Argentina, a 15 chilometri da Formosa (nel nord del Paese), dove ha svolto 26 anni di ministero sacerdotale. Nominato vicario generale della diocesi di Roque Saenz Pena, nel Chaco argentino, collaborò alcuni anni con il vescovo anziano e malato. Nel 1976 Paolo VI lo elesse vescovo di Formosa, nel nord del Chaco, diocesi di recente formazione, istituita nel 1957 con una superficie che copre tutto l’omonimo stato. Nel 1997, per raggiunti limiti di età, Sandrelli ha rinunciato alla diocesi; le sue dimissioni sono state accettate dal Papa Giovanni Paolo II nel gennaio del 1998. Da quella data il vescovo emerito di Formosa si è trasferito a Cuba, presso il santuario nazionale mariano della Madonna della Carità del Cobre, a circa 20 chilometri da Santiago de Cuba. Qui è rimasto fino ai primi mesi del 2002.