Pisa

SAN RANIERI? UN SANTO POCO CONOSCIUTO

di Andrea Bernardini

«San Ranieri? Un santo poco conosciuto». Parola del professor Gabriele Zaccagnini, pisano, medievista ed agiografo, che ha dedicato parte della sua attività di ricerca ai santi e al santorale di Pisa (di lui, in particolare, si ricordano i volumi su sant’Ubaldesca del 1995, su Domenico Vernagalli del 1996 e su santa Bona del 2004, oltre a numerosi articoli); e che sta per pubblicare i risultati dei suoi studi su san Ranieri, insieme all’edizione critica della Vita  in due libri che usciranno nei prossimi mesi.Gabriele Zaccagnini «corregge» diverse tradizioni nate intorno alla figura del nostro santo. Lo fa in questa sua lunga intervista concessa al nostro settimanale.Ma andiamo con ordine.Professor Zaccagnini: quali sono le fonti che ricordano la vita di San Ranieri?«L’unica fonte attendibile su san Ranieri è la Vita scritta dal canonico Benincasa, amico e discepolo del santo. Il testo ci è pervenuto in due redazioni (ovvero stesure). La prima si legge nel manoscritto C181 dell’Archivio Capitolare di Pisa, attualmente . Di questa redazione, pubblicata per la prima volta dai Bollandisti nel terzo volume di giugno degli Acta Sanctorum (Anversa, 1701), sto ultimando l’edizione critica, ovvero una edizione in cui ho cercato di ricostruire la forma originale del testo correggendo gli errori dovuti alla tradizione manoscritta. L’edizione critica uscirà fra poco nella collana PiBiGi – ETS del GISEM, Gruppo interuniversitario per la storia dell’Europa mediterranea. Una seconda redazione, più breve e posteriore, è testimoniata dal manoscritto cartaceo Ar 7/23 (cc. 1-152) della Biblioteca del Convento della Ss.Trinità dei padri Cappuccini di Livorno ed è stata oggetto di edizione critica da parte di Réginald Grégoire. Della prima redazione esistono numerose trascrizioni e traduzioni, a stampa e manoscritte, e un Compendio, tràmandato dal manoscritto S. Croce 773 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, da molti studiosi attribuito allo stesso Benincasa ma che probabilmente è posteriore.Due dubbi da risolvere: il cognome e l’anno di nascita…«Benincasa non ricorda il cognome del santo, dice solo che il padre si chiamava Glandolfo e la madre Mingarda. Il cognome Scaccieri compare per la prima volta nel sec. XVI, quando fu dato un cognome, Buzzaccherini, anche alla madre. La Vita non ricorda nemmeno l’anno di nascita, tuttavia l’analisi antropologica condotta sui resti mortali del santo dal professor Francesco Mallegni nel 2000 ha accertato che Ranieri è vissuto 40-45 anni. Ora, poiché conosciamo la data di morte, fissata dal Benincasa nel quindicesimo giorno delle calende di luglio dell’anno 1161 (stile pisano), cioè il 17 giugno 1160, ne consegue che l’anno di nascita deve essere fissato fra il 1115 e il 1120».Cosa sappiamo della famiglia di Ranieri e della sua giovinezza?«Ranieri apparteneva a una famiglia di mercanti, che vivevano nel quartiere di Kinzica. Non aveva fratelli, ma una sorella, di nome Bella. Della giovinezza del santo sappiamo poco o nulla. Nemmeno Benincasa, probabilmente, ne sapeva molto e comunque ha preferito tacere, anche perché, forse, non era una storia molto edificante. I genitori, per esempio, lo incolpavano di passare troppo spesso la notte fuori casa, a gozzovigliare per le strade di Pisa. Di certo Ranieri amava la bella vita e la compagnia dei suoi coetanei. Era un abile suonatore di ghironda, uno strumento a corda simile a un violino, in cui una ruota ricoperta di pece, azionata da una manovella, produceva il suono sfregando le corde, la cui altezza variava grazie ad alcuni tasti che si trovavano sul corpo dello strumento. Benincasa ci descrive il giovane Ranieri nellatto di cantare accompagnandosi con la “lyra seu rota”, la ghironda appunto». La storia di un giovane spensierato, che deciderà di rinunciare a tutto quello che aveva per dedicarsi a Cristo, ricorda un po’ quella di San Francesco.«È fuori discussione che la vicenda di Ranieri richiama da vicino quella di Francesco: come lui era figlio di un mercante, come lui amava la musica e i divertimenti, come lui si convertì improvvisamente, scegliendo di vivere in povertà e castità. Ma ci sono anche aspetti discordanti, come per esempio il fatto che Ranieri preferì vivere da solo mentre Francesco ebbe numerosi discepoli, con i quali dette inizio alla fraternitas da cui poi nacque l’Ordine francescano. Ma quel che sorprende è la quasi completa coincidenza della spiritualità dei due santi: la scelta di vivere una povertà radicale, proiettata verso gli altri e illuminata dalla carità; la fraternità, come testimonianza della comune paternità di Dio e come segno di condivisione con gli ultimi della società; l’umiltà, come rifiuto di ogni forma di orgoglio, di prestigio e di potere; l’imitazione di Cristo, la scelta del Vangelo come unica regola di vita, le Beatitudini come ideale di perfezione; la preghiera come lode ma anche come ascolto, come dialogo, come contemplazione del mistero di Dio; la pace, che scaturisce dalla giustizia, dalla fraternità universale, dalla difesa dei diritti (degli altri, non dei propri); la predicazione, basata sull’esempio personale: sono questi gli elementi comuni ai due santi, tanto che si può parlare di Ranieri come precursore di Francesco».Decisivo fu l’incontro con il predicatore Alberto. Dove avvenne e come cambiò, da allora, la vita di Ranieri?«Per Ranieri l’incontro con Alberto Leccapecore fu determinante. Ne è consapevole lo stesso Benincasa, che dedica ad Alberto un lungo capitolo della Vita di Ranieri, una vera e propria Vita nella Vita. Alberto era un nobile còrso che, dopo aver assistito alla morte del fratello durante uno scontro armato, decise di abbandonare tutti i suoi beni e di darsi a una vita di penitenza. Ranieri lo vide per la prima volta mentre si trovava a casa di una sua parente in un luogo detto Arsiccio, un toponimo generico (allude a un terreno bruciato, arso), tradizionalmente identificato con la zona corrispondente all’attuale Cisanello, ma forse da collocare nella parte opposta della città, verso la zona di Barbaricina. Subito gli corse dietro per parlargli, ma non riuscì a raggiungerlo che in S.Vito. E qui avvenne l’incontro che cambiò la sua vita».Renato Fucini, in uno dei suoi sonetti, accredita una diceria secondo cui Ranieri avrebbe subito l’amputazione di uno o più dita della mano da un «pizzicagnolo», che lo avrebbe scoperto nell’intento di sottrarre una forma di cacio. Risponde a verità?«Il Fucini, non volendo, ha fatto un bel danno all’immagine di san Ranieri, con questa storia. Ormai quella del ladro di formaggio è una immagine talmente consolidata nella tradizione popolare, non solo locale, che ben difficilmente potrà essere sradicata. Le ossa mancanti dal corpo di Ranieri, parecchie, in realtà, e non solo dalle mani, come ha accertato la ricognizione condotta dall’antropologo Francesco Mallegni, sono state prelevate per farne delle reliquie, secondo una prassi che risale alle origini della storia della Chiesa. Basti pensare che Benincasa afferma che durante i funerali la “pilurica” e la cintura del santo furono suddivise “in infinitas partes ut pro reliquiis haberent”. Di molti reperti prelevati dal corpo di Ranieri si conosce l’attuale collocazione, ma uno studio completo e sistematico sulle reliquie ancora non è stato fatto.Probabilmente la constatazione della mancanza di alcune falangi, nel corso di una ricognizione o di una pubblica esposizione, ha sollecitato la fantasia di qualcuno che l’ha associata alla menzione del formaggio nell’episodio della cassa che emanava un fetore nauseabondo e che rappresentava, in un certo senso, il passato “peccaminoso” di Ranieri. Da qui la leggenda».Insomma, Ranieri non fu mai un ladro.«Se ha rubato qualcosa non lo ha fatto certo come un qualunque ladruncolo, non ne aveva bisogno. Magari come mercante…» In Terra Santa partì come mercante o già come penitente?«Ranieri partì, dice Benincasa, “per ragioni di commercio e di guadagno”, cioè come mercante, professione che, giunto in Oriente, continuò ad esercitare per quattro anni. Poi venne la chiamata divina e abbandonò tutto per seguirla, recandosi prima a Tiro e poi a Gerusalemme».Cosa sappiamo della vita di Ranieri in Terra Santa. Quali luoghi frequentò con certezza?«Appena arrivato nella Città santa, si recò nella cappella del Golgotha, all’interno della basilica del Santo Sepolcro, dove si spogliò delle ricche vesti e indossò l’abito del penitente, cioè la pilurica. Era il venerdì santo del 1140. Da quel momento si dedicò alla preghiera e alla meditazione sulla vita di Gesù. Visitò anche i principali luoghi santi, come Betlemme, Nazareth, il Tabor, il Monte della Quarantena, ma per gran parte del periodo trascorso in Terrasanta preferì risiedere presso la basilica del Santo Sepolcro, dove si fermava a pregare giorno e notte». In occasione della ricognizione delle ossa, il paleontologo Mallegni ha riscontrato in san Ranieri una ferita al cranio. Come si giustifica? Era quello il periodo della seconda Crociata. Secondo lei Ranieri ha mai combattuto?«Ranieri aveva alle spalle una giovinezza non certo esemplare, simile a quella di tanti suoi contemporanei, fra i quali non erano rari gli episodi violenti. Che anche il santo possa essere rimasto coinvolto in un fatto d’armi non lo si può escludere, anzi, lo richiede espressamente un elemento scaturito dall’ultima ricognizione sul suo corpo, nel corso della quale il professor Francesco Mallegni ha potuto osservare, sulla teca cranica, tre segni riconducibili a traumi ricevuti in età giovanile e perfettamente risolti, causati da un corpo contundente tondeggiante e da due colpi di lama che, pur schivati abilmente, determinarono un distacco di compatta esterna. Forse fu proprio in uno di questi scontri che Ranieri si macchiò di un delitto di cui si accusò per tutta la vita (definendosi a più riprese “homicida”). In ogni caso il fatto è ricondotto dallo stesso Mallegni a un’età precedente i suoi ventanni. L’ipotesi che possa risalire a un episodio legato alla seconda Crociata è da escludere: ci sono prove consistenti che dimostrano come Ranieri abbia preso decisamente le distanze dalle Crociate, appoggiando invece, anche se indirettamente, la via della trattativa con i Musulmani per assicurare l’incolumità ai pellegrini cristiani».Perché volle tornare a Pisa?si t«Dopo molti anni di preghiera e di penitenza, Ranieri sentì il bisogno di tornare a Pisa per raccontare ai concittadini la sua esperienza spirituale, per comunicare loro ciò che aveva udito dalla viva voce di Dio e per assumere, in loro favore, il ruolo di intercessore, di predicatore e di pacificatore. Poi venne  un esplicito mandato divino e la decisione divenne definitiva. È una scelta importante ed emblematica. Un laico che decide, nel rispetto delle prerogative del clero, di dedicare la sua vita all’apostolato e alla predicazione è una novità per quel tempo. È il segno della riscoperta della vocazione di ogni cristiano, quella di essere testimone di Cristo e portatore dell’annuncio della sua risurrezione. Non si trattava di predicare intorno ai temi della dottrina cristiana, che era una prerogativa del clero, ma di esortare il popolo alla conversione e alla preghiera, con le parole ma soprattutto con l’esempio personale. Così si imbarcò ad Accon sulla galea di Ranieri Bottaccio, che era stato inviato dal Comune pisano come ambasciatore presso il califfato d’Egitto, e tornò a Pisa. Era il 1154».Come fu accolto Ranieri nella nostra città al suo ritorno dalla Terra Santa? Si è sempre detto che ormai a Pisa si era diffusa la sua fama di santità. Come fu possibile ciò, a così tanti km di distanza?«Non si può affermare, sulla base della Vita, che Ranieri, al ritorno da Gerusalemme, abbia avuto un’accoglienza trionfale da parte dei pisani. Certamente già prima del suo arrivo si era sparsa la voce della sua santità: Benincasa, infatti, afferma che a Gerusalemme, negli ultimi tempi del suo soggiorno, Ranieri incontrava spesso i pisani, parlava con loro e chiedeva notizie della sua città. Costoro, tornati a Pisa, raccontarono certamente che il concittadino Ranieri si era distinto per una vita esemplare. Tuttavia la Vita dice solo che il santo fu accolto con grandi onori dai Canonici del Duomo, che lo invitarono a pranzo e ascoltarono, riuniti in Capitolo,  un suo discorso».Dove si stabilì, tornato nella nostra città?«All’inizio fu ospitato dai monaci vittorini di S.Andrea in Kinzica. Qui, un anno esatto dopo il  suo arrivo, cominciarono improvvisamente ad arrivare i primi devoti, attirati dal manifestarsi dei suoi poteri taumaturgici. Poi, per ispirazione divina, decise di tornare in S.Vito, dove era avvenuto il primo incontro con Alberto, quello che aveva cambiato la sua vita. Non vi entrò, però, come religioso, né come converso o oblato, ma rimase laico». Perché decise di non prendere i voti?«Questo è un punto cruciale della spiritualità di Ranieri ed è difficile rispondere in poche parole. L’esperienza spirituale di Ranieri si colloca in un momento storico, il secolo XII, durante il quale i laici, dopo quasi un millennio di marginalizzazione, riscoprirono il loro carisma, la loro funzione, la loro identità di membra vive della chiesa, sentirono il bisogno di pregare, di avvicinarsi alla Bibbia, soprattutto ai Vangeli, di impegnarsi nell’apostolato, di partecipare attivamente alla liturgia e alla vita della Chiesa. Insomma si resero finalmente conto che essere laici è un ministero, una vocazione e una missione. Di questa grande “rivoluzione” Ranieri, insieme ad Alberto, è forse il più precoce e autorevole testimone. Egli scelse una via alternativa alla vita religiosa semplicemente perché questa non era la sua vocazione. Di fatto la spiritualità monastica tradizionale non rispondeva più alla domanda di rinnovamento proveniente dalla società, soprattutto dai ceti inferiori, anche perché la conversatio morum, fondamento della vita monastica, era allora intesa esclusivamente nell’accezione specifica di “cambiamento di vita” e postulava la fuga dal mondo e l’ingresso in monastero, dove era possibile realizzare gli altri due obbiettivi del percorso spirituale benedettino, la stabilitas loci e l’oboedientia. Una fuga che si fondava, per molti, sul disprezzo delle cose terrene, sul contemptus mundi. In Ranieri ci troviamo davanti a un cambiamento di prospettiva: dal colloquio con Alberto in poi, la sua vita fu sì una graduale e irreversibile conversatio morum, ma nell’accezione evangelica di metànoia, che significa ravvedersi, cambiare modo di pensare e di vivere, non cambiare stato civile. Questo modo di convertirsi non richiedeva più la fuga dal mondo ma l’impegno nel mondo e non si fondava sul disprezzo della realtà, del creato e della società, ma solo sul ripudio di ciò che nella società e nell’uomo era contrario al progetto di Dio e agli insegnamenti di Gesù».  Quanti sono i miracoli che si attribuiscono alla sua intercessione? Quali i più ricorrenti?«Al termine della Vita Benincasa ha inserito un vero e proprio libellus miraculorum che contiene il racconto di 136 miracoli ottenuti per intercessione del santo, gran parte dei quali avvenuti dopo la morte. Si tratta soprattutto di guarigioni, ma c’è anche un buon numero di miracoli a favore di naviganti. I beneficiari sono per il 65% populares, cioè rappresentanti dei ceti minori. Molti avvengono per mezzo dell’acqua benedetta da Ranieri mentre era in vita oppure di quella benedetta e distribuita dai custodi della sua tomba».Come e dove si è diffuso il culto di San Ranieri?«Il culto di Ranieri è sostanzialmente circoscritto alla diocesi di Pisa e alle immediate adiacenze. Tuttavia esistono tracce di devozione sparse un po’ ovunque e legate alla presenza di comunità pisane o al dono di reliquie del santo. Chiese e cappelle dedicate al santo oppure sue reliquie si trovano a Messina (la penisola falciforme che ne chiude il porto è detta “Braccio di S.Ranieri”), a Palermo, Montemaggiore (Corsica), Villamassargia (in Sardegna); e ancora a Roma, Firenze, Livorno, Genova e perfino fuori dall’Italia, nelle Fiandre, in Germania, in Dalmazia».