Vita Chiesa
San Paolo VI, il Papa che ha dato voce ai poveri annunciando la gioia del Vangelo
Gli anni trascorsi rendono sempre più evidente quanto moderno fosse Giovanni Battista Montini eletto Papa, sessanta anni fa, con il nome di Paolo VI; quanto nei suoi gesti, nelle sue parole vi fosse non solo di novità, pur nel rispetto della tradizione della chiesa, ma soprattutto di testimonianza in un tempo, civile e religioso, segnato da difficoltà, da ferite non sempre facili da rimarginare. La sua stessa elezione ha dovuto fare i conti con queste difficoltà: pro Segretario di Stato con Pio XII, Montini viene nominato arcivescovo di Milano, 1954, per non far ombra, si disse, all’altro uomo forte della Curia, monsignor Tardini. Nei sacri palazzi romani vi era una sorta di atmosfera negativa verso coloro che venivano ritenuti suoi amici, spesso indicati semplicemente con il nomignolo di montiniani. Ma a pochi mesi dall’apertura del Concilio Vaticano II è eletto Papa contro la volontà di quei porporati che avevano in mente di dare una svolta più conservatrice al dopo Roncalli.Per Montini la Chiesa «non è una società di assicurazione contro i mali della vita presente, anzi, se ben si osserva, è una società dove le sofferenze umane trovano una accoglienza preferenziale», scrive nell’agosto del 1966, per questo deve «chinarsi amorosamente verso i poveri e gli infelici, e a dare a sé stessa il titolo umile e glorioso di chiesa dei poveri».Montini è il primo Papa a viaggiare fuori dai confini italiani, compiendo in tutto nove viaggi internazionali; la prima visita, nel gennaio del 1964 in pieno Concilio, è «pellegrinaggio di preghiera, di rinnovamento spirituale, di impegno ecumenico e di pace» in Palestina e nello Stato di Israele. Ai padri conciliari dirà: «vedremo quella terra veneranda di dove Pietro è partito e nella quale nessun suo successore è mai tornato». Moltissimi giornalisti di tutto il mondo lo seguiranno e l’inviato del Times di Londra utilizzerà un’immagine bellissima per descrivere il Papa confuso tra la folla, lungo la via Dolorosa, stretto e sospinto da uomini con la kefiah in testa: «sembra un’isola di tranquillità in un mare in tempesta».In quel viaggio accade un fatto storico: l’abbraccio con il patriarca di Costantinopoli Atenagora I: Pietro e Andrea, che si ritrovano insieme per recitare il Pater noster. Dirà il patriarca: «da secoli ormai il mondo cristiano vive nella notte della separazione»; il Signore «verrà a unirsi al nostro cammino, come lo fece una volta con i discepoli di Emmaus, e ci indicherà la strada da seguire». Un microfono della Rai, rimasto aperto, coglie dei ‘fuorionda’, parole di gioia per questo primo colloquio tra il Papa e il capo della chiesa ortodossa. «Che vostra Santità sappia, fin da questo momento – dice Paolo VI – che io non cesserò mai di pregare, tutti i giorni, per Vostra Santità e per le comuni intenzioni che abbiamo per il bene della Chiesa». Atenagora si lascia andare anche a una confidenza: «sa come la chiamo? ‘O megalòcardos’, il Papa dal grande cuore». Lo spirito del Concilio, benché all’inizio, aveva già attivato orizzonti nuovi.Concilio che papa Montini chiude in piazza San Pietro – oggi, con Francesco, diremo la Chiesa in uscita – consegnando, sul sagrato della basilica vaticana, sette messaggi: ai governanti, agli intellettuali, agli artisti, alle donne, ai lavoratori, ai poveri e ammalati, ai giovani. Ma la ‘modernità’ di Montini la troviamo anche in un altro gesto mai fatto prima da un Papa. In quel 1965, prima della conclusione del Concilio, Paolo VI si fa intervistare da un giornalista, Alberto Cavallari, del Corriere della sera. Gli dice: «ci fa piacere parlare del Vaticano. Oggi molti cercano di capirci e di studiarci […] molti assicurano che la Chiesa pensa certe cose senza aver mai chiesto alla Chiesa cosa pensa. Mentre, dopotutto, anche il nostro parere dovrebbe contare qualcosa in tema di religione».Nel 1965 è a New York, al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite, la prima volta di un Pontefice di fronte ai rappresentanti del mondo. Parlerà a nome della chiesa «esperta in umanità»; dirà il suo «mai più la guerra» perché «sentiamo di fare nostra la voce dei morti e dei vivi; dei morti, caduti nelle tremende guerre passate sognando la concordia e la pace del mondo; dei vivi, che a quelle hanno sopravvissuto portando nei cuori la condanna per coloro che tentassero rinnovarle […] facciamo nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso».È il primo Papa a scrivere un documento sulla gioia, Gaudete in Domino, il primo a dire che lo sviluppo è in nuovo nome della pace. Così nella Populorum progressio centra la sua attenzione sullo scandalo di «disuguaglianze clamorose, non solo nel godimento dei beni, ma più ancora nell’esercizio del potere». La povertà ci chiama in causa: «i popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza». Il documento paolino segna forse il momento più alto, dal punto di vista dei consensi, del pontificato montiniano. Ci sono situazioni, scrive Montini, «la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana». L’enciclica diventa punto di riferimento di tanti cattolici, e non solo; nascono in America Latina, e altrove, le Comunità di base e altre forme di aggregazione. Sono anche gli anni della teologia della liberazione, lettura politica del ruolo della chiesa nella società; ma anche dell’opzione preferenziale per i poveri che i vescovi latinoamericani concretizzano a Medellin 1968, guardando al Concilio e al Patto delle Catacombe firmato da una quarantina di cardinali e vescovi a conclusione del Concilio, e nel quale si impegnavano, tornati nelle loro diocesi, a mettere i poveri al centro del loro lavoro pastorale.Contro le fughe in avanti Paolo VI parla ai vescovi latinoamericani riuniti a Bogotà, in Colombia, per la prima conferenza del Celam, 24 agosto 1968. La chiesa deve «favorire ogni onesto sforzo per promuovere il rinnovamento e l’elevazione dei poveri e di quanti vivono in condizioni di inferiorità umana e sociale». Ma dice il suo no all’odio e alla violenza: «fra le diverse vie verso una giusta rigenerazione sociale, noi non possiamo scegliere né quella del marxismo ateo, né quella della rivolta sistematica, né tanto meno quella del sangue e dell’anarchia».Anni difficili, che si ripercuotono anche sulla figura di Montini, che viene anche chiamato Papa amletico, e molte delle sue scelte vengono lette come chiusure. Dopo i consensi della Populorum progressio è l’enciclica Humanae vitae a cambiare il favore dell’opinione pubblica. Il Papa affronta il tema della dignità del matrimonio e della paternità libera e responsabile, della procreazione responsabile e dei mezzi leciti, opponendosi all’uso degli anticoncezionali, ma il mondo non lo capisce e Montini parla di «un senso di confusione sembra diffondersi anche nelle file dei migliori figli della chiesa, anche tra i più autorevoli».Un’ultima ferita per il Papa è il sequestro e la morte di Aldo Moro, l’amico degli anni della Fuci e dell’Azione cattolica. Prima la lettera agli uomini delle brigate rosse, poi in San Giovanni, alla commemorazione, prende la parola e il suo è il grido di un profeta dell’Antico Testamento: «chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per l’incolumità di Aldo Moro, di quest’uomo buono, mite, saggio, innocente e amico. Ma tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita». Era il 13 maggio 1978. Tre mesi più tardi Paolo VI moriva a Castelgandolfo.