Cultura & Società
San Miniato, il dilemma del prigioniero alla Festa del Teatro
È il «dilemma del prigioniero», che si interroga sul fatto se l’altro sarà abbastanza leale o abbastanza intelligente da capire il trucco. È un gioco di ruolo di cui la diplomazia fa largo uso e che David Edgar, voce autorevole del teatro politico britannico contemporaneo, propone come titolo e come spunto per la pièce «The prisoner’s dilemma» scritta nel 2001 e andata in scena in prima italiana a San Miniato per la cinquantottesima Festa del teatro organizzata dall’Istituto del dramma popolare.
Edgar immagina che sul «dilemma del prigioniero» si confrontino i partecipanti a un seminario sulla soluzione pacifica dei conflitti. Da una parte un irlandese e una inglese, dall’altra due americani e una finlandese, tutti impegnati nella simulazione di un negoziato di pace. Non c’è invece simulazione nello scontro immaginato dello scrittore inglese tra la Caucasia, presunta ex repubblica sovietica, e la Drozdania, un’enclave a maggioranza islamica che reclama a sua volta l’indipendenza.
Gli organizzatori rispondono che «la Festa del teatro a San Miniato ha sempre proposto opere teatrali di ispirazione cristiana che contribuissero a dare voce ai problemi e alle inquietudini dell’uomo e con questa scelta ci si è posti l’obiettivo di favorire una presa di coscienza su uno degli aspetti più drammatici del mondo contemporaneo, proponendo una riflessione equilibrata e allo stesso tempo appassionata sulla realtà dei nostri giorni e indicando come obiettivo irrinunciabile per l’uomo del terzo millennio la costruzione di un mondo sempre più giusto, solidale e pacificato. Un atteggiamento tanto più possibile, in quanto ognuno potrà acquisire conoscenza e consapevolezza delle difficoltà, degli ostacoli che vi si frappongono e saprà impegnarsi con tutte le sue forze per superarli».
Il direttore artistico Ciulla parla addirittura di un testo che spinge alla costruzione di una società più solidale e più pacifica e che quindi «in qualche misura realizzi già adesso quello che sarà il Regno di Dio».
Ad essere sinceri, il lavoro di Edgar non ci sembra aperto a particolari speranze così come non ci sembra rispondere a quel teatro impegnato sulle «inquietudini spirituali del nostro tempo» invocato a suo tempo da don Giancarlo Ruggini. Basta scorrere l’elenco delle precedenti edizioni della «Festa», dal 1947 ad oggi, imbattersi in nomi come Eliot, Bernanos, Turoldo, Fabbri, Chiusano per capire che il teatro dello spirito è un altro.
Oltre il contenuto del testo (come detto interessante in senso assoluto, ma non per San Miniato) resta il discorso della messa in scena: bella e suggestiva, ma che poteva essere realizzata ovunque. Non a caso i monumenti della piazza, che da sempre fanno da sfondo naturale (il Duomo, il palazzo vescovile ), sono scomparsi dietro le grandi scenografie che stringono lo spettatore da tre lati come in un teatro al chiuso.
Bisogna dare atto alla nuova gestione (quella che dal gennaio 2002 ha trasformato l’Istituto del dramma popolare da Associazione a Fondazione) di avere ampliato l’attività con una serie di iniziative a coronamento della Festa del teatro. Il tradizionale «dramma», come spiega il presidente Gianfranco Rossi, «è stato affiancato in questi tre anni da rappresentazioni collaterali, incontri di studio, conferenze, mostre che hanno trasformato la nostra Festa in un vero e proprio Festival». Ma non per questo può rinunciare alla sua storia e a quelle peculiarità che negli anni passati hanno spinto a San Miniato i critici di tutti i grandi giornali e che oggi non si vedono quasi più.