Cultura & Società
San Miniato, Dramma popolare: il genio è genio, da Leonardo a Jimi Hendrix
In scena «Cenacolo 12+1», una drammaturgia elaborata da Francesco M. Asselta e Michele Sinisi, che firma anche la regia. Non un testo teatrale vero e proprio, dunque. Piuttosto un «canovaccio» come si usava nella Commedia dell’arte. O meglio ancora un racconto scenico in dodici quadri sulle vicissitudini di uno degli affreschi più conosciuti al mondo: l’Ultima cena nell’ex refettorio rinascimentale nel convento adiacente al santuario di Santa Maria delle Grazie a Milano, conosciuto appunto come il «Cenacolo».
In qualche modo è anche una «via crucis» compiuta attorno a un dipinto vittima delle più grandi e documentate violenze che siano mai state perpetrate su un’opera d’arte. Basti pensare alle truppe napoleoniche che usarono le facce degli apostoli come bersagli tanto per passare il tempo o ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, ma anche alle orde di turisti.
In questo senso lo spettacolo ricrea un viaggio a ritroso, facendo rivivere personaggi sia reali che immaginari. Dodici racconti legati ciascuno a un aspetto storico, artistico o più semplicemente aneddotico riguardante il «Cenacolo» leonardiano. Il registro scelto è quello del grottesco, dell’ironico e anche del comico. È uno dei pochi casi in cui a San Miniato si ride.
E questo non guasta, anche se, a conti fatti, resta un po’ troppo sullo sfondo la naturale ispirazione del Dramma popolare, fondato nell’ormai lontano 1947, che spingerebbe in questo caso a cercare in Leonardo da Vinci, come ha spiegato bene il presidente dell’Istituto, Marzio Gabbanini, «l’uomo e l’artista che ha saputo fissare, in immagini, momenti di intensa presa e carica spirituali, sapendo trasfondere nella pittura attimi di intensa profondità psicologica, etica, persino filosofica oltre che religiosa».
Di fatto la messa in scena avrebbe dovuto offrire l’immagine di un Leonardo sensibile nel coniugare il divino con l’umano. O più ancora, come ha scritto il vescovo di San Miniato, Andrea Migliavacca, per il programma di sala, lo spettacolo avrebbe dovuto trasformarsi in un invito a sederci anche noi a quella tavola. Ma in realtà, l’Ultima cena rimane materialmente imballata sulla scena, sospesa in alto. Non scende e non si scopre mai. Sono gli attori, peraltro bravi, a riproporla più volte in una serie di balletti, fino alla sequenza conclusiva in cui Leonardo da Vinci (interpretato da Stefano Braschi) va ad occupare il posto centrale riservato a Gesù.
Al di là di questo, l’impressione è che gli autori, più che sulla fede di Leonardo («problema di ardua decifrazione» a detta del cardinale Gianfranco Ravasi), abbiano puntato sulla genialità del personaggio. Su quella che Masolino D’Amico, direttore artistico del Dramma popolare, definisce «poliedricità del genio», che lo spettacolo esplora in più modi di fare teatro con l’unico fine di rendere il pubblico partecipe.
E che si parli più che altro di genio lo testimoniano i riferimenti all’apparenza azzardati come quello a Jimi Hendrix o al pianista Glenn Gould o a Lucio Dalla clarinettista. Eppure, come dice Il Professorone, uno dei personaggi dello spettacolo, di fronte al «Cenacolo» si prova «la stessa cosa che si prova davanti a un altro genio del Rinascimento: William Shakespeare, che immortalava nella poesia il sentimento del suo tempo. Ma se vogliamo fare un paragone moderno, dovremmo rivolgerci a Jimi Hendrix che nel 1968, a Woodstock, fece qualcosa di analogo. Questo ragazzotto afroamericano con i capelli tutti ricci prese la sua chitarra e iniziò a suonare l’inno degli Stati Uniti con i denti, dando il via a quella rivoluzione che ci avrebbe poi piombati nell’epoca contemporanea. Rivitalizzando la forma dell’inno, Jimi Hendrix rivoluzionava la forma stessa della musica».
Insomma, il genio è genio, ma ognuno nella sua epoca. Bellissimo, nel balletto finale rammentato, il momento in cui Leonardo, incuriositosi sul funzionamento del mixer, stacca per sbaglio la spina interrompendo la musica e quindi la danza. Quando realizza di essere stato lui la causa dell’interruzione, riattacca il cavo e si unisce al ballo dei «12» diventando il «+1».