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SAMBI: Papa Wojtyla e la Terra Santa

Papa Wojtyla e la Terra Santa. Un rapporto profondo di amore per la terra “sulla quale Dio scelse di ‘piantare la sua tenda’ e permise all’uomo di incontrarlo in modo più diretto” come disse il 21 marzo 2000 al suo arrivo a Tel Aviv, all’aeroporto di Ben Gurion. Ma non fu l’unico pellegrinaggio di Giovanni Paolo II in Terra Santa. La prima volta, fu con altri presuli della Polonia alla fine del 1963. Era allora vescovo vicario capitolare della diocesi di Cracovia. Giusto un mese dopo, il 13 gennaio 1964, veniva eletto arcivescovo di Cracovia. La seconda volta fu, invece, in occasione del Grande Giubileo del 2000. Non c’è stato un discorso, un messaggio nel quale il Papa non abbia fatto un riferimento a questa Terra martoriata. Una sollecitudine ricambiata dalle tante attestazioni di affetto che, già durante la sua agonia e poi alla sua morte, dai Luoghi Santi sono giunte presso la Santa Sede. Non solo dai cristiani, minoranza sempre nel cuore del Pontefice, ma anche da ebrei e musulmani. Il Sir ha raccolto la testimonianza del delegato apostolico di Terra Santa, mons. Pietro Sambi, che racconta l’affetto e l’amore di Papa Wojtyla per i Luoghi Santi.

Giovanni Paolo II, nel suo primo Natale come Papa a Roma, aveva espresso il desiderio di poter celebrare la messa nella grotta della Natività a Betlemme. Durante i suoi circa 27 anni di pontificato ha parlato centinaia di volte sul conflitto e sulla pace in Terra Santa. Il culmine è stato il suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2000. Un pellegrinaggio che ha avuto alcuni punti chiave. Innanzitutto iniziare personalmente, ma anche con tutta la Chiesa, il nuovo millennio camminando sui passi di Gesù, ritrovando la fedeltà alla persona di Cristo e al suo Vangelo. Ma anche il dialogo ecumenico, proprio dove Gesù ha istituito la Chiesa e ardentemente l’ha voluta una ed il dialogo interreligioso, particolarmente importante in Terra Santa. A Gerusalemme, città sacra allo stesso tempo a ebrei, cristiani e musulmani. In tutta questa visione non sono mai mancati richiami ed auspici per la pace in Terra Santa perché tornasse ad essere di nuovo ciò che Dio ha voluto. Non una Terra da dove ogni giorno arrivano notizie di distruzione, di odio e di morte ma una terra che dia senso per rivelarsi, incarnarsi ed offrire salvezza ad ogni essere umano. L’amore, la pienezza di vita e la fraternità sono il messaggio che Dio ha confidato a questa Terra.

Non si può comprendere a fondo la figura di Giovanni Paolo II se non si capisce che era un uomo di preghiera e di contemplazione. Nel suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 2000, è stato sei giorni in Nunziatura. Durante il soggiorno mi chiese di portargli il Santissimo vicino al suo appartamento. Durante la notte nella stanza dove era custodito il Santissimo la luce restava accesa per diverse ore. Mi resi conto che il Papa era in adorazione del Signore Gesù preparando così lo spirito dei suoi discorsi, dei suoi gesti così significativi, delle sue parole che rivolgeva ai gruppi e alle persone che li sentivano carichi d’amore come se fossero le uniche persone che esistessero al mondo in quel modo.

E poi un altro episodio. Durante il pellegrinaggio del 2000 non era in programma una sosta al Calvario per via di una scala molto scoscesa da salire. Avevamo pensato, infatti, che il Pontefice non fosse in grado di salire per via delle sue condizioni fisiche. L’ultimo giorno del pellegrinaggio, era di domenica, siamo andati a pranzo al Patriarcato Latino. Appena finito mentre aspettavo presso la sua ‘papamobile’ il Pontefice mi disse: ‘Monsignore, io non vado via da Gerusalemme senza andare sul Calvario’.

Risposi ‘Santo Padre, vedremo’. E lui, ‘No, no vedremo. Non andrò via da Gerusalemme senza andare sul Calvario’. Si trattava d i una cosa complicata perché le strade di Gerusalemme sono strette ed il percorso preparato per lui poteva essere praticato solo se tutti i negozi fossero stati chiusi mentre invece erano stati riaperti. Gli stessi servizi di sicurezza erano scesi dai tetti dove si erano appostati e la basilica era piena di fedeli. Ma il Papa ha voluto ritornare e così i servizi di sicurezza hanno dovuto predisporre di nuovo ogni cosa. È salito da solo su quella scala, dandomi l’impressione che saliva dietro qualcuno che lo aveva preceduto con la croce in spalla. È stato impressionante vederlo mentre pregava sul luogo dove la Croce era stata piantata ed il suo incontro con l’Addolorata. Al termine siamo ritornati a casa e mentre si preparava per ripartire per l’aeroporto di Tel Aviv mi disse: ‘Grazie monsignore per avermi lasciato andare sul Calvario. Deve capire che un Papa ha bisogno del Calvario’. Nei mesi che sono seguiti ho capito che il Papa ha bisogno del Calvario, che ogni cristiano ha bisogno del Calvario in qualche momento della vita. Per viverlo in consonanza con Cristo. E questi ultimi giorni del Pontefice ne sono stati somma testimonianza. Il Papa ci ha insegnato ad essere uomini e donne del nostro tempo. Non persone che si lasciano vivere ma che vogliono vivere con valori, principi e ideali ben precisi sapendo ciò che vogliono e dove vogliono arrivare. Ci ha insegnato ad essere cristiani mettendo la figura di Cristo ed il suo Vangelo come motore interiore del pensare, del sentire e dell’agire. Ci ha insegnato ad utilizzare la vita non come un banale succedersi di giorni ma come un impegno per rendere il mondo migliore e più fraterno. In altre parole ci ha insegnato a vivere ma soprattutto a morire. È stato Pontefice fino all’ultimo e maestro insegnandoci a morire.Pietro Sambi