Affacciandosi alle mura etrusco-medievali di Cortona, si gode, come da un panoramico balcone, la visione lussureggiante di gran parte Valdichiana con i pittoreschi paesini, le città appollaiate sui colli tutt’intorno, le case rurali e le ville incastonate tra l’argento degli olivi e il verde dei vigneti. Tra le abitazioni sparse nella campagna meritano una particolare menzione le case «leopoldine», un vero patrimonio storico, una peculiarità della Valdichiana da salvaguardare.Furono quelle le prime case rurali che, nel 1700, sorsero in mezzo ai poderi in seguito alla prosecuzione della bonifica della Valdichiana per opera del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo I di Lorena. Nei secoli precedenti, essendo la valle in generale invasa da acquitrini e maleodoranti paludi, i contadini abitavano per lo più dentro le mura delle città o dei castelli, dove in caso di guerra, trovavano riparo gli animali, gli attrezzi da lavoro e i raccolti. Successivamente abitarono in capanne o piccoli abituri di terra battuta, di cui era possibile fino ad una cinquantina di anni fa, vedere gli ultimi esemplari. Una lunga storia di fatiche logoranti, di gravi sofferenze, di inauditi disagi. Ne è eloquente testimonianza la «Lettera parenetica» pubblicata nel 1772 dal Vescovo di Cortona, monsignor Giuseppe Ippoliti, una lettera pastorale che contiene una forte denuncia delle condizioni di estrema povertà dei contadini della Valdichiana. In questa situazione di degrado sociale ed economico si inserisce l’opera di risanamento della vallata a cui si dedicò il Granduca di Toscana, adottando il sistema delle «colmate» volute dal conte Vittorio Fossombroni, ingegnere e uomo di Stato che, come primo ministro e ministro degli esteri, animò il governo toscano per circa trent’anni. Utilizzando i numerosi corsi d’acqua che scorrevano giù per i pendii e avvalendosi di una rete di colmate ben costruite, il conte Fossombroni riuscì a far salire il livello dell’immensa palude provocando una scorrimento di acque verso quei luoghi che non risultavano danneggiati e rendendo la Valdichiana salubre e fertile; ma il fiume che porta quel nome, che un tempo fluiva verso il Tevere, ora scorre in direzione opposta, cioè verso l’Arno. Conseguenza di questa opera di risanamento fu la suddivisione del vasto territorio in poderi dotati ciascuno di ampie strutture abitative, le case dette appunto «leopoldine», ampie e solide, con l’androne o portico, a volta reale, con le aggraziate loggette coperte, dominate dalla torre colombaria a forma rettangolare; con le spaziose cucine e i grandi focolari con alari, spesso veri capolavori in ferro battuto; con il forno a legna dove ogni famiglia cuoceva settimanalmente il pane. Una vita dura, ancora una volta, fatta di sudore e di lavoro, ma più dignitosa, soprattutto una vita serena per i numerosi membri di quelle famiglie patriarcali, composte anche da trenta o quaranta persone. Tra alcune di queste, dicono i nostri vecchi, non esistevano più talvolta nemmeno vincoli di parentela, eppure erano legate da vincoli di rispetto e unite da perfetto accordo.Attualmente molte di queste case «leopoldine» sono state demolite o hanno subito gravi manomissioni. «Le prime vittime delle manomissioni sono le svettanti torrette che vengono inesorabilmente abbattute, poi sono richiusi gli archi degli androni e delle soggette sovrastanti, vengono demolite le volte reali e create, all’esterno, sovrastrutture con treni di terrazzini che percorrono intere pareti, mentre sui tetti le vecchie tegole romane con coppi fatti a mano vengono sostituiti dai monotoni tegolini marsigliesi o, peggio, da tegole in cemento, spesso nere come l’ardesia». Così descrive la situazione attuale dei fabbricati il compianto don Sante Felici che, già a suo tempo, si era adoperato per la salvaguardia di questo patrimonio unico del nostro territorio. Per la verità alcune sono state restaurate e sono tornate a nuova vita; altre svolgono una diversa funzione, adibite a ristoranti, alberghi o agriturismi. Il Comune di Cortona, negli anni passati, aveva fatto un censimento delle «leopoldine» e di altre abitazioni caratteristiche del territorio: è necessario che tale catalogazione non rimanga lettera morta e si adottino provvedimenti incoraggiando i proprietari alla conservazione intelligente, prima che questo notevole patrimonio della nostra cultura venga irrimediabilmente compromesso da un totale degrado. di Benito Chiarabolli