Italia
Salvador Bahia, la scuola tra i rifiuti della discarica
«Non vorrei essere al tuo posto, come si fa a mettere nero su bianco quello che abbiamo visto qui?». L’osservazione di Mario, uno dei membri della delegazione di Unicoop Firenze, con cui siamo arrivati in Brasile per verificare l’andamento dei progetti di Agata Smeralda, sostenuti da «Il cuore si scioglie», fa riflettere. In realtà occorrono molti più colori per descrivere le favelas di Salvador de Bahia che abbiamo visto. Servono il verde per le divise dei ragazzi della scuola nella discarica, il giallo, il celeste, per i disegni dei bambini dell’asilo di suor Rita, il bianco e il rosso per il tendone del Circo Picolino, l’azzurro per il vestito di madre Claudia che si muove fra i rifiuti delle favelas come se fosse in una bella strada della sua Milano, tutti i colori dell’arcobaleno per i costumi di scena degli studenti, ballerini e attori del centro «Dom Lucas». Un fiore in mezzo alla discarica. È la «scuolina» bianca di padre Ferdinando Caprini che spicca a Lauro de Freitas, periferia di Salvador. Dalle finestre della costruzione oltre 50 bambini vedono ora arrivare i camion della nettezza su cui si gettavano fino a pochi mesi fa per trovare qualcosa da mangiare o da rivendere per pochi real. Qui imparano a leggere, a scrivere, mentre i genitori, sempre sotto la guida del padre comboniano, si battono per far arrivare nella favela luce e acqua e per dare vita ad una cooperativa per il riciclo dei rifiuti.
«Il nostro intervento spiega padre Caprini non vuole essere assistenzialista. Vogliamo che queste persone riacquistino la loro dignità, che capiscano l’importanza dell’istruzione per i loro figli, e prendano coscienza dei loro diritti; solo così potrà cambiare la situazione nelle favelas».
Il tendone è un po’ logoro, gli attrezzi sono pochi, la scenografia è povera, ma il Circo Picolino è ricco della vitalità e dell’entusiasmo dei ragazzi che stride con il racconto delle loro storie fatte di abusi, ferite, maltrattamenti. Allo spettacolo che ci hanno offerto, suor Raffaella ha portato con sé una ragazzina, avrà avuto sì e no 12 anni. Rideva alle esibizioni dei clown, ma aveva lo sguardo triste. «Lei ci ha raccontato la religiosa è ospite a Mata Escura delle case famiglia in cui vengono accolte le ragazze che hanno subito violenza e che spesso portano con sé i loro bambini».
A Mata Escura, una delle favelas più violente e pericolose, Agata Smeralda, con il contributo del Papa ha costruito un centro, inaugurato nel 1991, che porta il suo nome: «Giovanni Paolo II». Qui ragazzi e ragazze possono imparare una professione e diventare parrucchieri, sarti e panettieri.
«La scuola spiega Mauro Barsi, presidente di Agata Smeralda si occupa di inserire questi giovani nel mondo del lavoro e l’impresa è ardua perché sono poche le aziende, le persone che accettano di investire sui giovani che arrivano dalla favela». Su di loro scommettono invece tutti gli insegnanti del centro sociale «Dom Lucas Moreira Neves» costruito all’interno della favela di Alto do Perù, una delle più popolose di Salvador de Bahia. Se non ci affacciavamo alle finestre, mentre nel moderno auditorium gli studenti ci intrattenevano con uno spettacolo teatrale tratto da Shakespeare, e un’esibizione di ballo jazz, sembrava impossibile immaginare che fuori, nei vicoli da dove vengono e dove vivono questi ragazzi, regnassero la povertà e la miseria più assoluta.
«Mi domando se mai qualche stella dal cielo cadrà su questa terra» si chiedeva padre Ezechiele Ramin, sacerdote comboniano, amico di padre Caprini, ucciso in Brasile nel 1985.
Nel nostro viaggio a Salvador de Bahia di stelle ne abbiamo viste tante: suor Rita, suor Raffaella, padre Miguel, padre Ferdinando e tutti i responsabili dei centri di Agata Smeralda, ma per continuare a brillare hanno bisogno di tanta solidarietà.