Opinioni & Commenti
Russia, tutto come da copione. Ma Medvedev potrebbe sorprenderci
di Romanello Cantini
Tutto come da copione. Dmitrij Medvedev è diventato capo dello Stato russo con quel 70% di voti che, con un punto o due in più, aveva ottenuto Putin nelle elezioni di quattro anni fa. Una percentuale che sembra diventare la cifra canonica del vincitore delle elezioni russe, come al tempo del comunismo lo era il famoso 99%. Il risultato non poteva essere diverso con un candidato che è apparso tantissimo alle televisioni del Paese negli ultimi tre mesi, con manifesti che proponevano solo il menu fisso Medvedev-Putin, con governatori, dirigenti di aziende e direttori di scuola, tutti reclutati per vendere lo stesso prodotto. A parte le prevedibili proteste degli oppositori, i dirigenti russi sono riusciti a far comprare da buona parte della popolazione questo bizzarro postcomunismo che del comunismo di un tempo butta via la proprietà pubblica dei mezzi di produzione, ma non la democrazia limitata, che manda giù il liberismo e sputa il liberalismo.
Non è un mistero che l’economia anche capitalista funziona bene con un regine autoritario, come già è accaduto in Cina, purché ai beni materiali non si chieda di aggiungere il condimento della libertà. La Russia di Putin ha aumentato il suo prodotto lordo dell’8% l’anno scorso e del 7% l’anno precedente e lo stipendio medio russo si è moltiplicato per quattro negli ultimi sette anni. Un Paese che ricava un terzo delle sue entrate dalla vendita della sua energia all’estero a prezzi sempre più alti non può che far ricadere, anche dopo aver pagato il pizzo di malversazioni e ruberie, una manciata di questa manna interminabile su gran parte della popolazione.
Dopo questo risultato che consacra di fatto Medvedev capo dello stato e Putin primo ministro, in Russia si è parlato di una matrioska che porta in pancia ancora Putin. In Francia, si è ricorsi al paragone di Luigi XIII e del suo ministro Richelieu. In ambedue i richiami si intende che lo scambio dei ruoli andrà tutto a favore dell’ex-presidente della Repubblica che continuerà come prima ad esercitare tutto il potere seppure dal nuovo tavolo di primo ministro.
Eppure il futuro non è così scontato. Dal tempo di Roma i duumvirati hanno portato più a guerre civili che a lunghe collaborazioni e la Russia non ha nessuna tradizione in questo senso. Il capo dello Stato è intoccabile per quattro anni, mentre in teoria il primo ministro può essere licenziato dal suo superiore in qualsiasi momento. Al di là delle ipotesi di scuola, negli ultimi giorni, Medvedev e Putin hanno smesso di cantare in coro. Il primo ha esaltato la superiorità del presidente della Repubblica, mentre il secondo ha sostenuto che il potere vero è quello del primo ministro. Non è detto che l’alunno Medvedev anche ora che è salito in cattedra continui ad obbedire a Putin. E la storia personale di Medvedev senza addestramento nel fu partito comunista, con un’esperienza economico-giuridica da tecnocrate, sembra quella più adatta per ammodernare un Paese che, nonostante i suoi successi, vive ancora prevalentemente, quasi come uno sceiccato arabo, sui beni che Dio gli ha dato e che gli uomini rendono ogni giorno più rari e preziosi.