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Russia 2018: il Mondiale secondo Dino Zoff. Aspettando la nuova Italia di Mancini
Sulle note dell’inno «Colors», si aprirà domani,giovedì 14 giugno, nello stadio Luzhniki di Mosca, la 21ma edizione dei Mondiali di calcio Fifa. A fare gli onori di casa, nella cerimonia di apertura, sarà il lupo-mascotte Zabivaka che accoglierà il pallone ufficiale Telstar 2018 di ritorno dal suo viaggio nello spazio, in tempo per il calcio di inizio tra la squadra di casa, la Russia e l’Arabia Saudita. In campo 32 squadre per la vittoria finale: il pronostico vede come grandi favorite le solite Brasile, Germania, Francia, Spagna, Argentina.
Grande assente l’Italia, eliminata nelle qualificazioni dalla Svezia. Non accadeva dal 1958 che gli azzurri, quattro volte campioni, restassero fuori dalla più grande kermesse calcistica mondiale. Premi milionari e l’introduzione della Var (video assistance referee), già adottata nel campionato di calcio di Serie A, contribuiranno a rendere particolarmente combattuta questa edizione che culminerà con la finale del 15 luglio a Mosca. Abbiamo chiesto al campione del mondo ed ex ct azzurro, Dino Zoff, che in carriera ha vinto di tutto, di raccontarci questo Mondiale.
«Prevedo un campionato interessante – esordisce il vincitore del Mundial 1982, a 40 anni, sotto la guida di Enzo Bearzot – con tante squadre nuove in campo e magari qualche sorpresa; un campionato nel quale, probabilmente, vedremo i progressi dei team africani. Il Sud America è rimasto più o meno lo stesso, la Russia, padrona di casa, ha avuto qualche problema nelle amichevoli pre-Mondiale».
Sarà il Mondiale della Var, usata non senza qualche polemica nella nostra Serie A. Come giudica l’introduzione di questa novità?
«Come tutte le cose si rivelerà utile se adoperata con buon senso. La Var è insostituibile sul fuorigioco, sulla palla dentro o fuori la riga, ma su altre interpretazioni, esasperate come accaduto in Italia, potrebbe innescare ulteriori polemiche».
Una possibile squadra rivelazione?
«Magari non lo sarà sul campo, ma di certo è l’Islanda che, con Panama, è un’esordiente nella competizione. È incredibile come, con una popolazione di poco più di 330mila abitanti, questo Paese sia riuscito ad esprimere un team capace di arrivare anche ai Mondiali. La sua partecipazione è una sorpresa, una rivelazione».
La squadra nordica ci aveva già emozionato agli ultimi Europei, ora riprova a fare la stessa cosa in Russia. Farà il tifo per l’Islanda visto che l’Italia non è del Mondiale?
«Seguirò l’Islanda con simpatia».
Il Mondiale è sempre una grande vetrina per tanti giovani calciatori…
«Vedremo se ci saranno dei giovani emergenti. A riguardo osserverei con attenzione i talenti africani. Ce ne sono altri già affermati, nonostante la giovane età, come per esempio il serbo della Lazio, Milinkovic-Savic. Un calciatore da seguire con particolare attenzione».
Tante big faranno da spettatrici: oltre all’Italia, gli Usa, il Cile, vincitore delle ultime due edizioni della Coppa America, il Camerun, detentore della Coppa d’Africa, e poi l’Olanda, la Grecia, la Turchia, il Ghana, la Costa d’Avorio. Quanto peseranno queste assenze sullo spettacolo del Mondiale?
«Non molto. Se sono rimaste fuori è perché hanno incontrato squadre che in quel momento hanno giocato meglio. Certamente, a livello mediatico, l’assenza dell’Italia, che ha vinto 4 Mondiali, pesa di più rispetto a quella di altre squadre che non hanno un palmares di particolare riguardo come il nostro».
Non accadeva dal 1958 che gli Azzurri restassero fuori dai Mondiali…
«Lo ripeto: è un’assenza che si farà sentire ma non per molto. Non appena si rimetteranno in moto le squadre dei nostri massimi campionati, con i ritiri, il calciomercato, le prime amichevoli, l’amarezza dell’eliminazione verrà meno, anche tra i tifosi. Certamente la nazionale azzurra va ricostruita E, da questo punto di vista, non può non preoccupare il fatto che nelle principali squadre italiane di Serie A i ruoli chiave siano in larga parte ricoperti da giocatori stranieri. Costruire oggi una nazionale è più difficile che in passato perché l’allenatore deve andare a pescare giocatori in più squadre. Prima, invece, ci si affidava a dei blocchi come la Juventus».
Roberto Mancini è il nuovo allenatore della nazionale azzurra. Che ne pensa?
«Mancini è una garanzia. Ma una garanzia migliore potrebbero offrirla tutti quei nostri giovani talenti, se si affermassero ancora di più nel nostro campionato e in Europa. Sto pensando a Chiesa, Caldara e Romagnoli, tanto per citare i primi nomi che mi vengono in mente. Forse a metà campo dovremo ancora aspettare un po’. In ogni caso, pur non avendo una rosa vastissima credo che si possa mettere in campo una squadra di tutto rispetto. È un gruppo che può crescere».
Su cosa puntare per rilanciare il nostro calcio? Forse andrebbero rivalutate quelle doti pedatorie tutte italiane che sono fantasia, imprevedibilità, corsa?
«Sono caratteristiche che appartengono al nostro modo di fare calcio e che dovremmo riscoprire e applicare piuttosto che copiare modelli dall’estero che puntano, per esempio, sul possesso palla. Bearzot era uno che vedeva molto lontano e molto in alto. Quando prese in mano la nostra nazionale mise da parte il modello olandese e puntò tutto sul talento, sulla fantasia. I risultati si sono visti con la vittoria nel Mondiale di Spagna del 1982 contro la Germania Ovest».
La Fifa ha stanziato quasi 800 milioni di dollari per contributi economici e premi da spartire fra le varie nazionali. Mai un Mondiale di calcio è stato così ricco. È un bene o un male?
«Le bandiere dei Paesi vanno oltre i proventi della Fifa.È innegabile che una somma così importante è determinata dall’importanza dell’evento. Oggi, grazie ai soldi, ogni grande evento sportivo acquisisce più importanza di quella che già ha ed effettivamente merita».