Veronica Bindi, da Semproniano alle Hawaii per insegnare astrofisica
Tra i tanti talenti nostrani che, non trovando occupazione in Italia, volano all’estero, c’è anche una giovane donna di Petricci, un piccolissimo borgo dell’Amiata: Veronica Bindi. Figlia di due concessionari di macchine agricole, Ugo e Mariella Bindi, Veronica si laurea in astronomia a Bologna, consegue il dottorato in fisica e va a lavorare prima al Cern di Ginevra e poi a Cap Canaveral. Vince infine la cattedra di professore di astrofisica al dipartimento di fisica dell’università delle Hawaii a Manoa. Nel 2015 riceve un premio alla carriera dal National Science Foundation, vincendo anche un finanziamento della NASA per creare un team di ricerca finalizzato allo studio dei raggi cosmici e delle particelle solari. Queste particelle rappresentano la radiazione spaziale e sono attualmente l’ostacolo maggiore a soste di lunghi periodi nello spazio.
Coinvolta, mentre si trovava in vacanza presso i suoi genitori, dalla pittrice Michela Buttignon, promotrice di una collettiva di pittura ispirata allo spazio, Veronica ha acconsentito volentieri a svolgere una conferenza sui progetti di esplorazione spaziale cui sta lavorando attualmente con il suo team.
Nello scorso agosto, nella sala degli eventi culturali di Petricci, in provincia di Grosseto, con l’aiuto di un maxischermo in cui venivano proiettati grafici e foto di pianeti, esplosioni stellari, robot, navicelle e progetti avveniristici di case su Marte, Veronica Bindi ci ha introdotto in un mondo di ricerca e di sogni, il misterioso mondo dello spazio dove, dice, già tutti viviamo. E ha fatto l’esempio dei nostri cellulari, tivù, computer, previsioni meteo e transazioni bancarie, il cui funzionamento dipende dai satelliti che, se smettessero di funzionare, manderebbero in tilt la nostra vita. Nello spazio ce ne sono ormai più di 17 mila.
Ha voluto davanti a sé i bambini del posto che insieme a tanti adulti provenienti da tutto il circondario hanno gremito la sala e molti hanno seguito la conferenza dalle finestre aperte sulla strada. Ha disposto i bambini nelle prime file e a loro si è costantemente rivolta, memore della sua passione di bambina, quando a stimolare la sua curiosità per lo spazio c’era soltanto un lembo di cielo sopra Petricci.
Ha parlato soprattutto di Marte, il pianeta su cui sono concentrate oggi le ricerche degli scienziati. Su Marte sono scesi finora solo robot, che hanno scattato una serie infinita di fotografie e selfie, facendocelo conoscere meglio. Su Marte non c’è vita, ma l’uomo è intestardito a portarcela e ad andarci prima o poi. È un sogno molto romantico, dice sorridendo la scienziata, perché Marte ha due lune e favorirebbe gli innamoramenti più di quanto abbia fatto sulla Terra la nostra amata Luna; sul pianeta rosso 100 chili sulla Terra equivarrebbero a 38 chili; il giorno non sarebbe di 24 ore, ma 24 ore e 44 minuti, mentre un anno avrebbe 687 giorni. Il problema è che c’è troppa anidride carbonica. Per poterci andare, il dipartimento di astrofisica delle Hawaii sta studiando progetti di abitazioni su imitazione di quelle di alcuni insetti, come le api e le termiti.
I progetti di queste case Veronica Bindi li ha mostrati sullo schermo e sono grandissimi e modernissimi igloo, attrezzati di tutto punto, molto «americani», ma con fantastici panorami godibili dalle finestre a intera parete. L’uomo trascorrerebbe al loro interno tutta la vita, indossando tute protettive e bombole di ossigeno se gli venisse desiderio di uscire. Sarebbero pericolosi per lui i raggi cosmici, oltre la polvere creata dalla continua esplosione di stelle.
I raggi cosmici non sono fotoni, ma particelle composte da idrogeno, elio ed altri elementi come azoto, carbonio e ossigeno. Quando arrivano sulla terra questi raggi sciamano, cioè si ramificano, annullando la loro pericolosità. Ma nello spazio, dove non c’è sciamatura, costituiscono un temibile pericolo, essendo in grado di distruggere le catene del Dna. È questo l’ostacolo maggiore da superare per una esplorazione spaziale più sicura per l’uomo.
La professoressa Bindi e il suo team stanno lavorando a questa soluzione, grazie ai dati forniti dall’esperimento AMS sulla stazione spaziale internazionale. Oggi gli astronauti si difendono con tute e navicelle, di cui non hanno bisogno i robot, per questo la robotica ha preso tanto campo nell’avventura cosmonautica.
La navicella detta Shuttle ha affrontato diversi viaggi, non tutti fortunati. Ma dopo la tragedia del 1° febbraio del 2003, quando lo Shuttle Columbia, nell’impatto con l’atmosfera, si disintegrò con sette astronauti a bordo, questo tipo di velivolo non è stato più utilizzato. Si sta lavorando invece ad un altro tipo di navicella con caratteristiche tecniche completamente diverse. Si chiama Orion e non è stata ancora lanciata nello spazio. Le aspettative concentrate su Orion sono tante e tutte impregnate di sogni, ma le soluzioni che stiamo cercando, ha detto realisticamente Veronica, hanno bisogno di lavoro duro e di creatività, proprio come con l’arte. La scienza infatti non è dissimile dall’arte, perché necessita anzitutto di fantasia creatrice. E questo, ha sottolineato, è già un messaggio.
Inoltre i ricercatori del dipartimento di astrofisica delle Hawaii sono, ha concluso Veronica, un folto gruppo di scienziati provenienti da tutto il mondo, con culture, lingue e colori di pelle diversi, ma affratellati nella ricerca di soluzioni per migliorare la vita dell’uomo e per godere l’infinita bellezza dell’universo. La scienza, come l’arte, unisce e non divide. E questo è un altro messaggio. Di pace, ha lasciato intendere Veronica Bindi.