RODOLFO DONI: Lo scrittore dell’anima

DI FRANCESCO GIANNONISecondo il quotidiano Avvenire, Rodolfo Doni è il maggior scrittore cattolico vivente. Ho letto alcuni suoi libri e mi sono fatto l’idea che fede, impegno politico e letteratura siano intimamente amalgamati nell’opera di questo intellettuale-scrittore, nato a Pistoia ma residente a Firenze nei dintorni di Careggi, in una casa piena di quadri, tanti dei quali dipinti da lui stesso con colori chiari e luminosi.

In effetti, mi conferma il diretto interessato, nei suoi scritti sono sempre presenti l’impegno politico e quello letterario, la tematica sociale e il filone più intimistico, lirico e spirituale. Comunque, un po’ tutta la sua opera ha una ispirazione religiosa.

Doni dice di avere due anime: quella letteraria e quella spirituale-religiosa. «Ho trovato la mia fede in guerra e quindi ha radici profonde. Orgoglioso com’ero da ragazzo, la fede volevo trovarla da solo, non volevo che fosse quella che avevo ricevuto dalla parrocchia o dalla mamma». La fede l’ha cercata, l’ha voluta. E l’ha trovata durante il lungo ricovero in un ospedale militare, quando ebbe modo e tempo di leggere e di studiare tanti libri («io sono un autodidatta»).

Molto faticata ma anche molto approfondita, la sua fede è stata una conquista di cui è grato a Dio. La sua fede e la sua vita sono il dono di una mano che ha costruito un uomo e poi via via l’ha assistito fino a oggi.

È stato un dono anche essere nato in una famiglia molto povera e aver sofferto nell’adoloscenza e nella gioventù. La ricchezza, invece, non è affatto un dono, o la facilità con cui oggi si ottiene tutto: in generale, stiamo attraversando un periodo di grande decadenza. La dimostrazione di questa, Doni la vede nell’ostentazione del male: mentre una volta il male era riconosciuto come tale, e si cercava di nasconderlo magari anche ipocritamente, oggi lo si esibisce. Si è incrinata la distinzione fra bene e male. E non è tanto per un neopaganesimo diffuso che comunque fa riferimento ad alcuni valori per lo meno civili, ma è nel profondo dell’uomo che si è rotto qualcosa.

Si è perso quel che di buono aveva portato la rivoluzione francese: questa aveva, sì, rifiutato la trascendenza come punto fermo dei valori morali, ma aveva riconosciuto e consolidato alcuni valori etici su cui si era basato in seguito il liberalesimo.

Bene ha fatto, quindi, la Chiesa italiana a porre le fondamenta del cosiddetto Progetto culturale, che cerca di rifondare una cultura di ispirazione cristiana. E qui Doni denuncia l’oblio in cui gli scrittori cattolici sono stati tenuti non solo dalla critica dominante ma anche da quella di ispirazione cristiana e cattolica che è stata influenzata dalla critica egemone, così come tutti siamo influenzati dalla cultura prevalente e dal costume generale che non sono più di ispirazione cristiana.

Nonostante la buona volontà degli organizzatori, il Progetto culturale non si è radicato concretamente nei fatti. Come mai, secondo Doni, queste esitazioni nella realizzazione del Progetto? Perché si è trascurato di richiamare il valore fondante di ogni cristiano che opera in via personale e in via collettiva: quello della testimonianza.

Bisognerebbe avere sempre presente l’esempio di Benedetto XVI che nella sua visita ai campi di concentramento non ha avuto remore a portare la propria testimonianza di tedesco che chiede perdono per i crimini nazisti. Non si può consentire che un cristiano si appelli al cristianesimo e poi in concreto non operi secondo i dettami del cristianesimo. Non si può predicare e poi tradire.

A proposito di coerenza con i dettami del Vangelo, chiedo a Doni se sono molti secondo lui i cristiani che sanno perdonare. Segue una lunga pausa di silenzio pensieroso: «Non saprei rispondere e non oserei rispondere. Ma forse c’è qulcosa che è peggiore della mancanza di perdono: l’indifferenza. Ecco, i cristiani, a partire da me, che usano indifferenza sono tantissimi». Secondo Doni l’indifferenza non è neanche un atto volontario, tutti presi come siamo dal nostro io. A questo proposito, quanto egocentrismo nei cristiani che si spendono in opere di carità!… «Abbiamo bisogno di molta misericordia», perché fra i limiti della nostra natura e i nostri peccati, «siamo dei poveretti». Se un giorno avremo gli occhi aperti, vedremo tutto: vedremo la sfera del mondo non circondata dall’azzurro, ma da un colore grigio nero che non è l’inquinamento, ma il limite che portiamo in noi stessi: «Questo è il nostro purgatorio, non voglio dire l’inferno cui non credo molto».

Ma se l’uomo è un poveretto, l’uomo e il cristiano Doni si è mai sentito preso in braccio da Dio? Questa volta la risposta è immediata e sicura: «Ah, sì certo!». Quando guarda indietro, Doni vede la mano che lo ha condotto nella sua piccola storia personale.

Come vede la mano di Dio nella storia dell’umanità: per esempio nella seconda guerra mondiale ci sono degli episodi dove gli storici si pongono delle domande senza trovare risposte. Perché Hitler dette ordine di fermarsi alle sue armate che stavano distruggendo l’esercito inglese a Dunkerque? Perché attaccò così facilmente l’Urss credendo di stravincere? Perché Hitler mancò di pochissimo la bomba atomica (e aveva già i missili a lunga gittata per colpire città lontane)?

Gli storici non hanno risposte esaurienti, rimangono alcuni quid misteriosi. Per Doni sembrano essere dei «miracoli». Più vicino a noi, chi avrebbe mai potuto prevedere l’improvvisa caduta dell’impero sovietico senza lo spargimento di una goccia di sangue? È stato un «miracolo». Doni commenta e conclude con una amata frase di Gesù: io sono venuto nel mondo perché i ciechi vedano e quelli che credono di vedere non vedano.

Il giudice e l’attoreTra le amicizie strette da Rodolfo Doni nel corso della sua lunga e intensa esistenza c’è stata quella con il magistrato Antonino Caponnetto: «Molte cose mi legavano a Caponnetto: lo rimpiango».

Molte cose li legavano: l’adolescenza vissuta insieme a Pistoia, quando il futuro giudice addirittura recitò in un lavoro teatrale scritto da Doni (sono forse in pochi a saperlo); la sua sensibilità, i suoi valori morali oggettivamente cristiani. Era un uomo nobilissimo, di grande carattere e coerenza: per esempio, Caponnetto fu sostenitore nel dopoguerra del partito d’Azione; ne rimase in seguito profondamente deluso, smise di votarlo e non partecipò più alle elezioni.

L’ammirazione dello scrittore pistoiese nasce naturalmente anche dal lavoro che Caponnetto aveva svolto in Sicilia insieme a Borsellino (che Doni ha conosciuto), altra persona di alto livello morale e spirituale, un cattolico praticante: Caponnetto raccontava all’amico di avere ben presente l’immagine di Borsellino in chiesa a pregare, appoggiato sempre alla stessa colonna.

Chiedo a Doni se avessero parlato con Caponnetto di una sconfitta finale della mafia; tutto sommato Caponnetto non gli sembrava ottimista: la mafia è un problema di educazione di mentalità, di mancanza di formazione spirituale. Potremo impedire alla mafia di fare un grande male, potremo riprendere in mano la legalità nelle regioni malate. Ma sconfiggere definitivamente la mafia sarà impossibile, perché dovrebbe esserci un coeso impegno da parte di tutti: la Chiesa e lo Stato, la società degli uomini comuni e i partiti, i giornali e la televisione. In questa lotta il Progetto culturale potrebbe svolgere un grande ruolo, ma bisognerebbe lanciarsi con un altro spirito e con un maggior fervore.

Dai grandi santiai futuri santiRodolfo Doni, come detto, è pistoiese di nascita e fiorentino di adozione. Narratore e saggista, tradotto all’estero e ridotto per le scuole, è autore di una trentina di libri. Fra i più noti: Sezione Santo Spirito (1959), Muro d’ombra (1974), Servo inutile (1982), La doppia vita (1980), Le grandi domande (1987), Un filo di voce (1993), Il Presidente e il filosofo (1995), La fatica della storia (1998).

È autore di biografie di grandi santi (Agostino, 2000; Francesco d’Assisi, 2001; Chiara d’Assisi, 2003), di futuri santi (Giorgio La Pira, 2004) e di una recentissima Storia di Gesù. Tratti di vita, ritratti di umanità (2005).

Tra le opere sicuramente più sofferte e meditate, il Colloquio con Lorenzo (1993) e il Dialogo sull’Aldilà (1998) dedicate al quarto figlio, Lorenzo, morto in un incidente stradale a ventidue anni mentre andava a Taizé presso la comunità di Frère Roger.