NICCOLO’ MANETTI: L’erede degli antichi «battiloro» fiorentini
di Riccardo Bigi
Cosa accomuna la cupola del Duomo di Firenze e il monastero ortodosso del Monte Athos, la chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme e la Cappella di San Basilio in Texas, le cupole del Cremlino e il veliero «Amerigo Vespucci», l’Opera di Parigi e La Fenice di Venezia, la reggia di Versailles e i cancelli di Buckingham Palace?
La risposta ha il nome di una famiglia fiorentina: Manetti. Anzi, «Giusto Manetti Battiloro», che è il marchio con cui l’azienda produce e vende in tutto il mondo la foglia d’oro usata da architetti e artigiani per restaurare, abbellire, rivestire, impreziosire. Un prodotto che ha le sue radici nel lavoro degli antichi «battiloro» fiorentini, che fornivano ad artisti e doratori l’oro in fogli usato per decorare chiese, palazzi, mobili, cornici. All’inizio dell’800 la tecnica si perfeziona, la «foglia d’oro» diventa una lamina sottilissima. Oggi serve per restaurare regge e cattedrali, icone e mosaici, ma anche per il design d’interni dei più moderni negozi o ristoranti di Londra e New York, per le rifiniture delle moto Harley-Davidson, per realizzare piastrelle, per decorare yacht e barche a vela. Senza trascurare l’incontro con altri prodotti toscani d’eccellenza usati in architettura o nella moda, come il cotto dell’Impruneta o la pelle. Fino alla polvere commestibile usata per guarnire risotti, cocktail e dolci.
Con la foglia d’oro si può fare tutto: a patto che chi la produce abbia idee, passione e competenza. Come Niccolò Manetti, che (insieme a fratelli e cugini) ha raccolto l’eredità di questa antica tradizione ed è responsabile amministrativo di quella che, dalla bottega artigiana del suo trisnonno Giusto, è diventata oggi una grande azienda internazionale. «Siamo industriali – ci tiene a sottolineare – e non imprenditori: non guardiamo solo ai conti e alle cifre ma teniamo da conto il lavoro, le persone, il prodotto». E così, mentre altre aziende toscane chiudono stabilimenti o spostano la produzione all’estero, la «Giusto Manetti Battiloro» si ingrandisce: appena un mese fa ha presentato i progetti per i nuovi stabilimenti che saranno realizzati a Campi Bisenzio. Un progetto ambizioso, diecimila metri quadri di terreno su cui sorgeranno uffici e centro di produzione. Ma anche gli «orti sociali», in cui i dipendenti potranno nel dopolavoro coltivarsi frutta e ortaggi. E perfino un tabernacolo della Madonna: perché l’ispirazione al Vangelo e alla dottrina della Chiesa, spiega Niccolò Manetti, fanno parte del Dna familiare.
Un complesso industriale capace di ospitare tutte le fasi di una lavorazione che, pur con l’avvento di nuovi macchinari, non ha perso il fascino di un’arte antica: la fusione dell’oro, la laminatura che lo riduce in un nastro sottile, la battitura che viene eseguita a mano con martelli di forme e pesi diversi, il taglio con coltelli speciali e l’inserimento delle singole foglie in libretti di carta velina, che vengono poi confezionati nelle scatoline da spedire ai vari clienti in tutto il mondo. Non mancheranno altri tipi di produzione, perché l’azienda oggi si occupa anche di stampa a caldo: ad esempio etichette per il vino, copertine di libri o altri prodotti industriali.
Per la scelta di dove costruire i nuovi stabilimenti, spiega Niccolò Manetti, «abbiamo consultato i lavoratori, perché la nostra è una manodopera qualificata che non volevamo perdere. Ma anche perché abbiamo un’ottima sintonia con chi lavora con noi: è il nostro valore aggiunto e, sono convinto, uno dei motivi del nostro successo. Rispetto alla globalizzazione, che ha messo in ginocchio tante aziende italiane, noi abbiamo degli anticorpi: uno di questi è proprio il tenere al centro dei nostri interessi l’uomo, la persona piuttosto che il profitto». L’aver aperto nuove sedi in Spagna, in Polonia, in Romania non ha comportato quindi una diminuzione dell’impegno sull’Italia, anzi ha permesso a tutta l’azienda di crescere, a beneficio anche di chi lavora nelle storiche sedi fiorentine.
Perché essere alla guida di un’industria, prosegue Manetti, comporta anche delle responsabilità etiche e sociali: «Cerchiamo di essere attenti al territorio, alle relazioni personali. Non so se questo dà, almeno nell’immediato, un vantaggio economico: certamente ci porta una migliore qualità della vita, ci permette di avere una coscienza serena e quindi anche la mente lucida per progettare il futuro. E alla lunga ci aiuta a consolidare rapporti di fiducia con i clienti».
Alcuni esempi di come si traducono, nei fatti, questi valori? L’inserimento lavorativo di giovani segnalati dal Progetto Villa Lorenzi; i regali fatti alla città di Firenze, in occasione di alcune ricorrenze aziendali, con interventi come il restauro del Marzocco o della croce d’oro che sovrasta la cupola di Duomo.
Non è un caso poi che Niccolò Manetti sia stato anche il project manager di «Florens 2010», l’evento promosso da Confindustria che nello scorso novembre ha portato a Firenze i più grandi esperti di tutela e valorizzazione dei beni culturali. Una manifestazione ricordata per l’installazione di una copia del David di Michelangelo su uno sprone della Cupola di Santa Maria del Fiore, o per la copertura di piazza Duomo con un prato erboso: due immagini suggestive che hanno fatto il giro del mondo. Ma al di là di questi aspetti esteriori, Florens 2010 è stata anche un’operazione culturale molto importante, che ha mostrato come Firenze e la Toscana possono avere un ruolo guida, a livello internazionale, in quel settore dell’economia che si basa sulla produzione, sulla conservazione e sulla «fruizione» della bellezza artistica e paesaggistica.
Niccolò Manetti (sposato, con due figli) guarda al futuro con speranza: «La nostra azienda ha superato tante difficoltà, e la crisi attuale non ci spaventa: spero anzi che sia l’occasione per chi ha responsabilità economiche, politiche e sociali per fare una riflessione e correggere alcuni errori». Ad esempio? «Sono convinto che l’idea, che a un certo punto si è diffusa in alcuni Paesi occidentali, di poter basare l’economia di uno Stato sui servizi, trascurando e lasciando morire agricoltura e industria, sia stato un delirio che ha prodotto molti danni». Riflessioni maturate anche durante la Settimana sociale dei cattolici di Reggio Calabria dell’ottobre scorso, alla quale Manetti ha partecipato con la delegazione della diocesi di Firenze.
I primi ad entrare in azienda sono stati Bernardo e Lorenzo, che si occupano rispettivamente della commercializzazione dei prodotti per la stampa a caldo e della produzione della foglia oro. Alcuni anni più tardi sono entrati Jacopo, Niccolò e Bonaccorso: il primo laureato in economia è il responsabile amministrativo, Niccolò cura il marketing e le relazioni esterne mentre Bonaccorso è il responsabile commerciale del Battiloro.
L’ultima arrivata è stata Angelica, che dopo la laurea in economia ha fatto il suo ingresso in azienda ed è oggi la responsabile finanziaria. È indubbiamente a loro che va attribuito il merito della grande crescita che entrambi i settori hanno sostenuto dalla metà degli anni novanta.
Nell’ultimo decennio infatti sono raddoppiati i volumi dell’impresa, passando dagli 11 milioni di euro fatturati nel ’98 ai 22 milioni nel 2008. Oggi la «Giusto Manetti Battiloro» impiega 130 persone, con tre sedi in Italia e due aziende consociate in Spagna e Polonia.