MATTEO BARTOLINI: Una vita sulla slitta
In realtà in quel delle Caselle, frazione di Vicchio di Mugello, in provincia di Firenze, la nascita dei cuccioli «con gli occhi azzurri» non ha fatto che aggiungere soddisfazioni alle soddisfazioni di questo periodo. L’ultima è rappresentata da una coppa in bella vista su un tavolino nel corridoio.
«Becchiamo» Matteo finalmente di ritorno a casa, tra una vittoria e l’altra. Classe 1971, il giovane che rappresenta l’Italia nelle manifestazioni internazionali, è reduce dall’«Iron sleddog man», competizione disputata lo scorso fine settimana in Austria dove ha conquistato il primo posto nella categoria C1 (4 cani). Non solo: è campione europeo 2006 di Sleddog, categoria C1, gara di media distanza con 4 cani. Campione europeo anche nel 2005, nello stesso anno ha vinto la più prestigiosa competizione europea, la «Pirena» nella categoria «pura razza». Ha partecipato 2 volte all’Alpentrail e non finiremmo più se volessimo ricordare tutte le vittorie collezionate…
Se non fosse che lo Sleddog, lo sport che prende il nome dalla slitta trainata da cani, non è annoverato tra le discipline delle Olimpiadi, uno come lui, con questi risultati, avrebbe potuto sicuramente aspirare al podio. Eppure Matteo, di professione falegname ma per passione musher (si chiamano così i conduttori di slitta) non si monta la testa, preferisce volare basso. Riservato, timido, schivo, non esterna i suoi «sentimenti» se proprio non è costretto, anzi spesso e volentieri «delega» la dolcissima moglie Sabina a rappresentarlo nelle pubbliche relazioni. Ma dinanzi alla neonata cucciolata un po’ alla volta si scioglie.
«Fin da quando ero bambino racconta mi è sempre piaciuto fare lunghe camminate con il cane dei miei nonni, anche sulla neve. In me, infatti, passione per gli animali e amore per la neve sono innate. Quando ho potuto avere un cane tutto mio, l’ho scelto di questa razza un po’ misteriosa, legata alla vita selvaggia e a quella storia di Zanna Bianca che mi aveva sempre colpito».
La «scoperta» dello Sleddog è stata rapida, la pratica effettiva un po’ meno. «Mi misi in contatto con le associazioni che promuovevano questa attività ma nei primi tempi (1990-1992) con un cane solo, la Nevada, dovevo limitarmi a correre con lei a piedi o in mountain bike. È morta l’anno scorso, aveva 15 anni, e il dispiacere è stato enorme dopo una vita passata insieme. Quanto allo sleddog vero e proprio, potevo solo fare lo spettatore».
Nel ’93 però Matteo ha l’opportunità di partecipare come «handler» (aiutante) di un team alaskano ad una gara di 15 giorni in diverse località italiane. Conosce alcuni «musher» europei e poi comincia a fare davvero sleddog. «Da lì continua il giovane mugellano sono arrivati pian piano gli altri cani e ho iniziato a scorrazzare con loro per i sentieri delle nostre campagne, meravigliando non poco quelli che mi incontrano». Un allenamento «su terra» che non è solo una scelta obbligata dove generalmente manca la neve come nelle nostre zone, ma necessario per tutti al fine di garantire buone prestazioni nelle gare.
La preparazione, temperatura permettendo, inizia già da settembre-ottobre, quando il «musher» comincia per tre, quattro volte alla settimana a farsi trainare dai suoi cani attaccandoli ad un quad anziché alla slitta. È una vera e propria squadra di atleti in cui l’uomo è capitano e allenatore ma anche… cuoco e «coccolatore» nei momenti di riposo. Prima di ogni gara serve comunque un allenamento sulla neve di almeno dieci giorni.
Ma cos’è, in fondo, che spinge un trentacinquenne a svegliarsi prima dell’alba, salire su una slitta e farsi trascinare per chilometri e chilometri attraverso boschi e sentieri ardui, con temperature così rigide che spesso fanno venire i ghiaccioli ai capelli o al naso? L’amore per la natura, i cani, lo sport d’accordo. Ma anche quella specie di «droga» che è il cosiddetto «desire to run», la voglia di correre che i cani manifestano prima del via e che il «musher» vive in modo tutto suo. «La sensazione più bella spiega infatti Matteo è quando l’ansia della partenza è ormai superata e posso godermi con i miei cani il silenzio e il profumo della foresta scivolando sui pattini della slitta». È quasi poesia ma per ripagarsi dalle consistenti spese mangime per i cani, veterinario, iscrizione alle gare, viaggio e albergo e dai tanti sacrifici bisogna guardare anche al risultato. E di risultati in questi anni Matteo ne ha raggiunti eccome anche se, modesto com’è e lontano dal mondo del business e degli sponsor, su questo tema glissa e «delega» ancora una volta alla moglie, innamorata da sempre oltreché di lui anche dello sleddog e sua prima tifosa insieme alla figlioletta Teresa. Pensate, non ha ancora quattro anni ma fino da quando era nella pancia di mamma Sabina, ha girato il mondo partecipando alle imprese sportive del babbo. Ogni volta è la prima a fare il tifo quando Matteo e i suoi cani arrivano al traguardo: «Tot-ti, tot-ti» è l’incitamento della piccola. Ma una cosa è certa: la sua passione non riguarda l’idolo della squadra romanista ma il suo «babbone» e i suoi «fratelli» dagli occhi azzurri e il pelo folto.
Finite le competizioni anche la slitta è andata a riposo. È stata sistemata in un magazzino che fa parte della colonica dove Matteo abita con la moglie Sabina e la piccola Teresa di quasi quattro anni. Insieme alla slitta notiamo buffe calzature. Impariamo che in gergo si chiamano booties e che sono stivaletti di stoffa impermeabile o di pile o comunque di un tessuto che non assorbe l’acqua, a forma di calza corta che vengono infilati ai piedi dei cani per evitare che questi si feriscano.
«La guida di una slitta comporta un affiatamento molto forte con il proprio team cioè i cani impiegati nella competizione ci spiega Matteo . I motivi sono molti: ogni cane ha un suo carattere, in particolare i cani nordici, che considerano l’uomo un componente del branco e quindi lo mettono nella loro gerarchia rispettando regole precise; oppure e soprattutto ciò che il cane fa ed esegue durante il traino della slitta avviene attraverso comandi vocali. Non esistono frusta, briglie, collari a strangolo, solo ed unicamente la voce. Quindi è importante sapere come comunicare con il proprio leader (cane di testa)».
Così impariamo che go, mush, vai (si pronuncia haik) è il comando per la partenza della slitta, gee (gii) per la curva a destra, haw (hao) per quella a sinistra; ahead (ehèd) vuol dire proseguire dritto e whoa (vooo), stop, alt sono i comandi di arresto. E apprendiamo ancora che i cani hanno ruoli precisi: davanti c’è il «leader», cane di testa, che non è il capo del branco, ma l’animale veloce, che comprende i comandi ed ha voglia di correre; dietro di lui gli «swing dogs», i cani altalena, che possono alternarsi col leader o con i leader se sono due, poi i «team dogs, i cani della squadra, resistenti, veloci, che tirano; infine i «wheel dogs», i cani-ruota o cani motore, robusti e potenti, che stanno sulla linea di traino, davanti alla slitta e sono i veri «muli» della situazione. Tutti termini, questi, che ormai fanno parte del linguaggio della famiglia Bartolini, compreso quello della «vispa» Teresa che non sbaglia mai un comando.
Sono due in Italia le associazioni di Sleddog: il Cis (Club italiano sleddog), a cui è iscritto Matteo, e la Fims, la Federazione italiana musher e sleddog sport. I musher italiani sono circa 150, ma quelli che riescono ad accedere alle gare internazionali sono una decina. Anche se nel nostro Paese forse le più diffuse sono le gare di «sprint», Matteo gareggia sempre in competizioni di media distanza (dai 25 ai 60 chilometri), la categoria più impegnativa.