MARIA PACINI FAZZI: la regina dell’editoria lucchese

di Graziella Teta

La cultura italiana e quella toscana in particolare oggi sarebbero ben più povere se una signora, madre di 5 figli, a metà degli anni Sessanta, non si fosse incaponita nell’affrontare una sfida difficile e per lei assolutamente attraente: diventare editore. In quest’intervista, Maria Pacini Fazzi, fondatrice dell’omonima casa editrice nata a Lucca nel 1966, racconta la sua storia. È proprio la città a costituire il punto di partenza per le sue prime opere, centrate sulla storia e sull’arte lucchese. Negli anni successivi il campo di interesse si allarga alla Toscana, per arrivare oggi a testi non più esclusivamente connotati dal legame territoriale. Nascono così sezioni e collane di bibliografia, storia della letteratura, sociologia, filosofia, teatro, senza dimenticare i libri di cucina. Il catalogo generale conta oltre 1.000 titoli editi, quattrocento quelli in commercio: vantano come comune denominatore la qualità, fondata sul gusto di percorrere strade editoriali fuori dal comune e sul piacere di «fabbricare» libri con spirito ancora artigianale.

Come è nata l’idea di fondare una casa editrice?

«Sono trascorsi più di quaranta anni dall’inizio della mia attività, oggi più che mai vitale; nata, potrei dire, casualmente: durante un’edizione del “Premio Viareggio” mi trovai a contatto con molti grandi personaggi del mondo dell’editoria e della cultura. La mia passione per i libri è sempre stata immensa; inoltre, mio marito Arnaldo Fazzi era tipografo e direttore del giornale “Il Messaggero di Lucca”, fondato da mio suocero. Fu in quel contesto che alcuni autori, Leonida Rèpaci in particolare (fondatore del Premio Letterario Viareggio nel 1929, ndr), mi spronarono a tentare questa strada. Ed io, con entusiasmo e tanta incoscienza, accettai la sfida».

Quando ha capito che l’editoria avrebbe segnato la sua vita professionale?

«Da subito, anche quando incontrai le prime resistenze, forse un po’ bigotte, di un ambiente che mal digeriva che una donna, madre di 5 figli, affrontasse un mestiere così insolito. In quel periodo, in tutta Italia, saranno state 2 o 3 le donne che dirigevano una casa editrice. Insomma, ho vissuto il mio mestiere come una grande passione e come una sfida. E a me le sfide sono sempre piaciute».

Qual è stato il primo libro stampato dalla sua casa editrice?

«Il primo libro “lucchese” è stato “Un viandante” di Italo Pizzi, illustrato da Antonio Possenti, allora giovane emergente. Mentre il primo volume di respiro nazionale fu Viaggio in Israele di Mario La Cava (pubblicato nel 1967), che a lui valse il “Premio Sila” e a me, dopo oltre 20 anni, il “Pericle d’Oro”».

Come sono stati gli inizi di quest’avventura?

«Cominciai col sostegno di pochi, ma con l’aiuto di grandi nomi della cultura e non solo italiana. Mi concentrai inizialmente sulla narrativa di importazione di lingua belga, spronata dall’Accademia Belga, iniziativa di grande prestigio e spessore culturale che ebbe un buon successo di critica, meno di pubblico. “L’età perversa” del belga Albert Ayguesparse fu il primo libro da me pubblicato in traduzione italiana. Un testo d’avanguardia, che descrive il disorientamento dei giovani dopo la seconda Guerra Mondiale, quando ancora non si parlava di “gioventù bruciata”. La risposta del mercato non fu positiva: forse pesò anche la localizzazione per l’epoca certamente “provinciale” della mia azienda, e poi l’iniziativa di una donna, del tutto estranea alle grandi famiglie della cultura nazionale… ma tutto questo poi non mi ha mai pesato, anche se le donne devono sempre faticare di più per farsi riconoscere, devono essere sempre più brave, non viene loro mai perdonato niente. Ci voleva, dunque, l’incoscienza di una neofita e la testardaggine di una come me per non mollare».

Allora che cosa ha fatto?

«Pensai che dovevo anche guardare più vicino a me, e fare di quella che era la mia debolezza (la de-localizzazione rispetto ai grandi centri propulsori di cultura, all’epoca Torino, Milano e Roma) la mia forza. Iniziai così a rivalutare e puntare sul nostro grande patrimonio culturale, artistico e architettonico. Cominciai allora a stampare edizioni anastatiche di autori lucchesi, arricchite da premesse di specialisti del settore. Nacquero così nuove ristampe di volumi di Idelfonso Nieri, Augusto Mancini, Custer De Nobili, Cesare Sardi ecc. Ad esse si affiancheranno poi i titoli degli studiosi che nel corso degli anni hanno visto in questa casa editrice un importante punto di riferimento per la diffusione e lo sviluppo dell’interesse sulla città. Risalgono a questi primi anni amicizie preziose che hanno creduto e condiviso il mio progetto, come Mario Tobino, Felice Del Beccaro, Walter Binni, Guglielmo Petroni, Gino Arrighi, Domenico Corsi, Piero Bargellini, Geno Pampaloni, Mario Antonicelli. E poi le collaborazioni con studiosi quali Marino Berengo, Maria Luisa Trebiliani, Isa Belli Barsali, Rita Mazzei, Marco Paoli, Romano Silva, Antonio Romiti, Carla Sodini e così via. Uscirono allora volumi che ancora oggi rimangono capisaldi della letteratura sulla città, come “Arte e Commitenza privata a Lucca” di Marco Paoli, “La Basilica di San Frediano” di Romano Silva, la “Guida di Lucca” e “Ville e Committenti dello stato di Lucca” di Isa Belli Barsali, la studiosa che per prima, con una competenza e lucidità ancora oggi insuperate, ha studiato e individuato i punti focali di Lucca all’interno del panorama artistico internazionale».

Quanto è importante il legame con il territorio toscano?

«Fondamentale. Partendo da Lucca, terra di eccezione nell’eccezione di quella che è la Toscana, abbiamo poi allargato i nostri orizzonti. Credo che l’idea di puntare sulla valorizzazione del patrimonio culturale e artistico cittadino sia stata una vera intuizione in tempi (gli anni ’60 e ’70) nei quali certo la cultura nazionale guardava altrove. La scelta è risultata vincente. Lentamente, infatti, la mia città si è aperta verso questa attività e, da parte sua, la casa editrice ha cercato di essere sempre presente per le iniziative della città».

La sua «fabbrica di libri» riesce ancora ad unire la moderna produzione editoriale con la sapienza artigianale?

«Sì, è una della caratteristiche che abbiamo cercato di preservare nel tempo: non tanto per le modalità produttive che, ovviamente, devono necessariamente seguire l’evoluzione delle tecniche industriali, ma per il fatto che i libri che escono dalla nostra Casa editrice “ci piacciono” e li seguiamo tutti da vicino, sia nei contenuti che nella forma. Insomma, se non un progetto non ci convince non lo iniziamo neppure, mentre crediamo fino in fondo nelle nostre iniziative. E questo non è affatto scontato in un mondo che spesso intende il profitto come un valore “a prescindere”. Per noi il libro non è solo una merce da vendere, ma un progetto in cui credere e al quale affidare valori da divulgare. Oggi questo valore viene troppo spesso messo in secondo piano».

Libri elettronici, tablet, web: come le nuove tecnologie stanno cambiando l’editoria? Sostituiranno mai i libri di carta?

«La tecnologia ha certamente cambiato l’editoria, per certi versi facilitando il lavoro e alleggerendo i costi di produzione. In passato, il primo grande cambiamento, l’abbiamo sentito quando dal piombo siamo passati alla stampa offset; poi l’avvento dei fax, di internet eccetera hanno semplificato (e velocizzato) attività e rapporti. Ma non credo che gli e-book possano sostituire definitivamente il libro tradizionale: pensiamo, soprattutto, a pregiati volumi fotografici, libri d’arte ecc, e al piacere anche tattile che la lettura può darci. Il libro-oggetto ha una sua storia e la storia non si cancella in un giorno».

Quali sono le iniziative editoriali di maggior successo?

«Le grandi collane: quelle dedicate alla storia o alla storia dell’arte, come “Storia e cultura lucchese”, una collana nata dalla collaborazione con un libraio lucchese, Carlo Orsolini purtroppo da tempo scomparso, che aveva caldeggiato questo progetto dedicato agli approfondimenti e alla divulgazione della storia locale, anche valorizzando giovani autori e studiosi. Inoltre, mi piace ricordare il successo della nostra collana di gastronomia “I Mangiari”, un’iniziativa editoriale che ha riscosso un incredibile riscontro nel pubblico alla ricerca di piccoli e originali ricettari».

Quale autore vorrebbe dare alle stampe?

«Sono una grande ammiratrice di mons. Gianfranco Ravasi: sono affascinata dalla sua mente che spazia dalla religione fino alla storia e alla storia dell’arte».

La figlia Francesca: «Ho eredito il mestiere che avrei scelto di fare»Francesca, figlia di Maria Pacini Fazzi, è co-titolare della casa editrice dove opera da 22 anni. Fin da piccola ha «respirato» libri e cultura. Sposata, 49 anni, è laureata in Lettere Moderne con una tesi sul teatro rinascimentale.

Come si è sviluppata nel tempo la passione per l’editoria?

«Amo i libri e il mondo della carta stampata, dell’approfondimento e della divulgazione in tutti i loro aspetti. Mio padre tipografo, fotografo insegnante, mia madre editrice. Da loro ho imparato ad amare forma e contenuti e il multiforme rapporto fra queste due anime del libro».

Che cosa le ha insegnato sua madre?

«Sicuramente la soddisfazione del fare le cose, e di farle bene, decidendo, superando con la vitalità l’inevitabile  paura di sbagliare. La sua è sempre una lezione di concretezza».

Considera il suo il mestiere più bello del mondo?

«Sicuramente un mestiere nel quale mi trovo molto bene, e facendo il quale posso quotidianamente coltivare tanti interessi, e renderli tangibili, farli vivere. Ho sempre guardato al lavoro dell’editore come ad un insanabile e proficuo conflitto fra cuore e testa, fra passioni e bilanci, conflitto che ogni “uscita” deve misurare, gestire e risolvere. In questo rapporto e bilanciamento sta la “strategia” del successo. Se non c’è la testa il cuore va all’impazzata, ma ascoltando solo la ragione non si produce niente».

Mestiere ereditato o scelto?

«In questo ritengo davvero di aver avuto una grande fortuna, perché ho ereditato il mestiere che avrei scelto di fare. Alla fine del mio percorso di studi, dopo la laurea ho subito iniziato a lavorare portando in casa editrice alcune iniziative editoriali legate più strettamente ai miei interessi. La collana “L’Unicorno” di testi e di critica letteraria diretta dal prof. Luigi Blasucci, “Voci di repertorio” piccola collana di testi teatrali italiani diretta da Angela Guidotti, “Morgana” collana di studi e testi rinascimentali diretta da Lina Bolzoni, sono iniziative maturate durante i miei studi all’Università di Pisa. A pochi mesi dalla laurea, erano già pronte le prime uscite, e tutte le collane sono ancora attive e producono numerosi titoli ogni anno. In questo modo ho potuto da un lato affiancare il lavoro di mia madre, dall’altro dedicarmi autonomamente alle iniziative che sentivo più “mie”».

Quali sono le difficoltà del settore oggi rispetto a quando ha cominciato la fondatrice?

«Sicuramente da un lato i tempi e le modalità di produzione e, conseguentemente, il veloce “consumo” stanno imponendo motivazioni diverse all’uscita di un libro. Tutto si è molto sbilanciato sul marketing anziché sulla qualità della proposta. Il libro, per così dire, è stato un po’ smitizzato e in questo c’è sia il bene che il male del mercato editoriale degli anni 2000».