LUIGI ROSSI: Il monsignore del Rifugio

di Francesco GiannoniArrivo a Massa Marittima in una giornata piena di sole e di freddo. Devo intervistare monsignor Luigi Rossi, che nel secondo dopoguerra fondò il Rifugio Sant’Anna, prima orfanotrofio, poi sede di scuole professionali, ora anche centro di accoglienza per minori extracomunitari, nonché casa di riposo per anziani. Non era stato incoraggiante questo energico prete di 92 anni al momento della telefonata con cui avevo preso appuntamento: «Io le interviste le faccio malvolentieri». E alcuni parenti e amici massetani mi avevano confermato l’impressione iniziale: «È un caratteraccio, ma a Massa è molto amato perché è un lottatore».

Monsignor Rossi è nel suo ufficio insieme a Rina Bisogni che, con la sorella Anna Maria, è stata sua collaboratrice fin dagli inizi.

Entro, mi squadra e con un’occhiata mi cataloga. Sarò fra i buoni o fra i cattivi? Per l’intervista mi conduce in un’altra stanza. Ci sediamo e mi sorride. Sono fra i buoni.La voce è forte e i ricordi precisi. Incontrò molti ostacoli nel suo operato a favore degli orfani di guerra in un ambito sociale, quello massetano, che nell’immediato dopoguerra era dominato da massoni e socialisti. Le difficoltà derivavano anche da un anticlericalismo così diffuso a Massa che nell’ospedale cittadino il sacerdote non aveva mai avuto il coraggio di entrare: «Fui io il primo a farlo».

Viva era la preoccupazione di certi ambienti per questo giovane prete che si gettava a corpo morto nell’attività assistenziale, e che faceva temere un’intrusione della chiesa nel sociale. E quindi si accanirono contro don Luigi. Questi poté godere dell’aiuto dell’allora vescovo monsignor Baldini, e della fiducia e della stima di gran parte dei massetani. L’ostilità si ridusse anche per l’intervento della Croce rossa provinciale: il passaggio della guerra, la strage di Niccioleta, tanti altri morti nella zona resero evidente la necessità d’intervento da parte di quella organizzazione che, però, non aveva strutture locali.

Vedendo l’attività del Rifugio Sant’Anna, la Croce rossa intervenne con forza per far sì che don Luigi potesse operare. Pio XII, che in passato aveva ricevuto don Luigi in udienza privata, gli inviò un contributo di ben cinque milioni di lire.

Il clima generale si rasserenò e si alleggerirono le pressioni. Don Luigi poté così proseguire serenamente il suo lavoro. Gli orfani arrivavano non solo da Massa e dal circondario ma da tutta la Toscana: un giorno, dalla zona della linea gotica, arrivò un pullman con 50 ragazzi. «La mia era l’unica organizzazione assistenziale. E quindi rimasero da me a mangiare, dormire e studiare».

Hanno vissuto nel Rifugio circa 3 mila ragazzi. Ce ne sono stati anche 150 contemporaneamente: «Come abbia fatto a tirare avanti non lo so». Don Luigi ha sempre cercato di evitare di dare al rifugio l’impronta del collegio, sforzandosi di creare l’atmosfera della famiglia.

I «ragazzi» continuano tuttora a venire a trovarlo, magari con le famiglie che nel frattempo si sono fatte, a mantenere questo sereno clima di casa. Ce n’erano tanti di quei ragazzi, nel 2005, a celebrare il 50° anniversario del Rifugio Sant’Anna.

Nascono difficoltà nuove negli ultimi tempi da parte degli organi cosiddetti tutelari, da parte delle Asl che hanno una mentalità ristretta: «Non vediamo in certe persone l’interesse autentico per il bisogno: ho avuto due rilievi in quest’ultimi tempi che fanno pena. Che ci lascino in pace: quello che facciamo è per sostituirli laddove loro non possono arrivare».

Il Rifugio rimane la struttura forse più quotata a Massa per questo tipo di attività di assistenza, solidarietà e formazione. La sua attività è il centro di riferimento per tante necessità umane e sociali, per la soluzione di tanti problemi di Massa, Follonica e, in parte, di Grosseto. L’opinione pubblica apprezza don Luigi, e gli vuole bene. La sua energia sembra inesauribile: si è occupato fino a pochi giorni fa della pastorale del lavoro. Ma come fa? «Guardo indietro nella mia vita e non mi resta che ringraziare Dio di avermi tenuto per mano e di avermi concesso salute e cervello».

Gli capita spesso di incontrare qualcuno dei suoi ragazzi? «Non passa giorno che non venga qualcuno a consigliarsi o semplicemente a trovarmi». È morta la cognata di uno dei ragazzi; e lui vuole che i funerali si facciano al Rifugio. Uno dei ragazzi, poco tempo fa, aveva un problema familiare e, recatosi a trovare don Luigi per un incoraggiamento, ha esclamato: «Ma come faccio in certe occasioni a non sentire il bisogno di andare dal mio babbo?».«Questa è una grande famiglia che spero mi accompagni al cimitero».

Si avvicina l’ora di pranzo e faccio per andarmene. Don Luigi mi chiede di fare una foto al nuovo refettorio del Rifugio per pubblicarla su Toscanaoggi. Crollato nella scorsa Pasqua, è stato ricostruito ed è praticamente pronto. Per raggiungerlo, passiamo attarverso la cucina dove si prepara il pranzo. C’è un buon profumino e, mentre don Luigi scambia un paio di battute con le cuoche, in un pentolone sbircio una bellissima salsa di pomodoro. Entriamo nel refettorio. Don Luigi mi chiede se mi piace: l’ambiente è ampio e luminoso, e la struttura lignea del soffitto mi sembra davvero notevole. Glielo dico, e lui si inorgoglisce come un ragazzino.

Il nome di don Luigi è legato anche a La Torre Massetana, mensile locale che gode dei favori di 2-3000 lettori. È nata al Rifugio per l’opera di tanti, guidati da un sacerdote, Enrico Lombardi, insegnante di religione all’Istituto Tecnico Minerario, e l’aiuto di don Luigi è stato prezioso. Stupisce il successo di un giornale di paese che ha festeggiato da poco e con pieno successo il mezzo secolo di vita. Don Luigi spiega che è dovuto anche a un forte spirito di campanilismo, positivamente inteso, per cui si è creata questa grande famiglia della Torre Massetana che, per chi vive fuori, costituisce motivo di curiosità, per il massetano è più che naturale. «Se ogni mese non riceviamo per posta La Torre, ci manca qualcosa». Nessuno, né la direzione, né i lettori hanno voglia di smettere, anzi l’attività è stata intensificata: sono state fatte anche delle belle pubblicazioni collaterali.Non è solo un mezzo di cronaca, ma anche di affettuosa corrispondenza, che cementa il legame fra i massetani, anche con quelli emigrati all’estero: il giornale porta al di fuori delle mura questo spirito di casa, questo bisogno di tenersi per mano. Il prete e il massoneSecondo me questi son soldi buttati via, ma a lei, don Luigi, li do volentieri». Il capo massone non la poteva dare completamente vinta al prete, la battuta gliela doveva fare. Ma cominciò una collaborazione che, se non da amicizia, era segnata da stima e rispetto reciproci. Il capo massone per la cronaca si chiamava Isidoro Grassini. Chiedo a monsignor Rossi di raccontarmi qualcosa in più di questa storia curiosa. Isidoro (don Luigi lo chiama regolarmente per nome) oltre che massone era stato uno dei promotori della Banca Popolare della Maremma. Una volta fatta la pace, i suoi contributi arrivavano regolarmente, anche alla Torre Massetana, di cui il Grassini era stato uno dei fondatori.

Ma prima della pace c’era stata battaglia: all’inizio dell’attività don Luigi fu «convocato» per una udienza nella loggia massetana guidata da Isidoro. Gli fecero una specie di processo: «Perché si occupa di queste cose? Come fa a occuparsene?». Furono tre ore di feroce discussione. Isidoro alla fine disse: «E noi glielo impediremo!». Don Luigi replicò: «E io accetto la sfida!». Il giorno dopo il capo della massoneria di Grosseto telefonò al Grassini dicendogli di non ostacolare don Luigi perché quello era un momento in cui c’era bisogno di tutti.

Isidoro cambiò atteggiamento anche per l’operato di due sue strettissime parenti che collaboravano con don Luigi, fra cui la sorella, Grassina, «donna non comune che non poteva non influire sul fratello».

Gli antichi avversari sono scomparsi o sono diventati amici, o quasi: «Ieri sera era da me Focacci che insieme a Isidoro era uno dei massoni che mi contrastavano. Ora ogni tanto viene a trovarmi, perché ha bisogno di stare con me». Il tempo passa e smussa tutto.

In piedi, curvo sul bastone, don Luigi mi saluta e mi ammonisce: «Se lo ricordi, il tempo è galantuomo».