GIUSEPPE DIOMELLI: L’uomo dei computer

di Francesco Giannoni«Buongiorno, scusi il ritardo e scusi se mi sono portato dietro l’ufficio». L’«ufficio» è un computer portatile di circa 25 centimetri per 20 con attaccata la cornetta del telefono.

Chi mi si rivolge così è Giuseppe Diomelli un signore alla mano, gioviale, dalla faccia simpatica e barbuta, presidente della «Cdc», leader italiana nella produzione e distribuzione di prodotti informatici.

Ci sediamo nell’ampia e luminosa sala incontri dell’azienda nella zona industriale di Pontedera: per raggiungerla è stata una mezza Odissea, e in ritardo in realtà ero io.Alla presenza discreta ed efficiente della gentile e graziosa Cecilia Bondioli, responsabile delle relazioni esterne, cominciamo la conversazione: metto subito le mani avanti, premettendo la mia ignoranza in fatto di informatica. Diomelli, cortesemente, mi dice che anche lui a volte ha delle difficoltà, non avendo una formazione tecnica specifica. Sarà anche vero, ma quando mi illustra alcune delle meraviglie di cui è capace il suo «ufficio», è inevitabile restare a bocca aperta di fronte alle possibilità dello strumento e alle capacità di chi lo manovra. Diomelli parla a ruota libera e parla bene, è coinvolgente (si sente che è il presidente) ma, quando deve dire la parola «collateralità», si impappina, come succede a volte al sottoscritto che non presiede nulla, e prima di riuscire a pronunciarla sono necessari più tentativi, ma ci ride su. Quello che Diomelli vuole dimostrare a me, e ai clienti dei suoi negozi, è che i mezzi informatici, pur complicati nella loro tecnologia, in realtà sono immediatamente facili nell’utilizzo; macchine che semplificano di parecchio la vita di tutti i giorni e di cui non possiamo più fare a meno: «Provi a eliminare il cellulare: in momenti di bisogno, dovremmo trovare una cabina telefonica, quando la troviamo magari è rotta, non abbiamo la scheda o non abbiamo spiccioli… sarebbe tutto più stressante e complicato».Gli chiedo se è in grado di prevedere che cosa sarà la tecnologia fra 20 anni: sicuramente il processo di digitalizzazione di tutto quanto può essere digitalizzato sarà ancora più intenso, useremo un po’ meno carta e useremo un po’ più di mezzi interattivi, ci sarà la convergenza verso un unico contenitore, magari piccolissimo, di tutti gli strumenti di comunicazione: fax, telefonia, sms, e-mail; in breve: comunicheremo prima e meglio. Guardiamo al passato e Diomelli mi rivela (e per me è proprio una rivelazione) che le caratteristiche e le potenzialità del computer della Nasa, che mandò l’uomo sulla luna meno di 40 anni fa e che occupava tre stanze, sono le stesse di un odierno PC da mille euro.

Sarà possibile anche un’intelligenza artificiale autosufficiente, come in 2001 odissea nello spazio dove il computer pensa, prova dei sentimenti e decide autonomamente? Già che ci siamo Diomelli mi dà un giudizio sul film: «L’ho visto e rivisto ma non mi è piaciuto per niente, molto meglio Arancia meccanica».

Venendo alla risposta, non crede all’intelligenza artificiale autonoma: il computer in realtà «è una macchina stupida, anche se ha sempre ragione lui». Il cane di casa è molto più intelligente del computer. (Sono le una e mezzo, squilla il telefono, Diomelli risponde: dalle sue parole dette a bassa voce sembra di capire che è la moglie che gli chiede quando torna a casa per il pranzo; mentre risponde, Diomelli titilla un po’ nervosamente il filo del telefono: «Sì, sì… fra una mezzora, ora sono con un giornalista». Ahinoi, presidente: le mogli sono uguali per tutti, presidenti e non!…).

I computer sono macchine tutte identiche, ben lungi da poter essere paragonate al cervello umano capace di essere indirizzato a livello di etica, di comportamento, di apprendimento. Ci vogliono anni prima che si sviluppi la maturità di un cervello con i suoi miliardi di neuroni, ognuno dei quali possiede un frammento della formazione ricevuta. Il cervello ha una flessibilità sconosciuta al computer: se dovessimo far giudicare un reato a un computer, ci metteremmo dentro tutte le informazioni e ne uscirebbe il giudizio, ma sarebbe un giudizio freddo: la macchina è inadeguata a capire le circostanze, le attenuanti, lo stato mentale ed emotivo dell’imputato.

Uno dei più grandi venditori italiani di prodotti informatici sostiene convintamente che il computer deve rimanere un mezzo per vivere meglio senza condizionarci, deve essere al servizio della nostra mente, non dobbiamo subirlo, non dobbiamo diventarne schiavi, altrimenti «ci freghiamo con le nostre stesse mani».

Anche per gli acquisti su internet, oggi così di moda, bisogna usare il famoso granellino di sale: posso comprare tranquillamente un cellulare, perché il modello che voglio lo vedo sul monitor, il colore è quello che appare, le dimensioni sono indicate, il prezzo è scritto. «Ma la casa dove vado a passare la vita, forse è meglio andare a vederla in loco, di persona, perché se accanto alla casa c’è una discarica, il puzzo su internet non lo sento».

La conversazione è finita, Diomelli mi saluta e se ne va. Riportandosi dietro il suo «ufficio» me lo mostra mentre lo tiene sul palmo di una mano sola, e sorridendo sornione e bonario, mi dice: ç’est plus facile. Grazie, presidente, e buon appetito.

Un passato da fotografodi matrimoni e dj a FornacetteGiuseppe Diomelli è nato a Pontedera, in provincia di Pisa, nel gennaio 1949. Fin da ragazzo (come si legge nel libro di Mauro Castelli, Numeri Uno, Il Sole 24 ore, 2002, Milano) ha mostrato innate doti di commerciante: registrava le lezioni degli insegnanti, le batteva a macchina e con il ciclostile preparava dispense che poi rivendeva ai compagni. Ottimo suonatore di chitarra, ha suonato in vari complessini, è stato anche disk jockey in una discoteca di Fornacette. Eclettico, coltivava un’altra passione: la fotografia. Era bravo, tanto è vero che ha vinto anche un paio di concorsi. Al dilettevole unì l’utile aprendo un negozio di fotografia che ebbe parecchio successo: Diomelli era molto richiesto per i matrimoni e si faceva pagare bene. Però si rese conto che con il negozio più di tanto non poteva fare, così cominciò a importare dall’estremo oriente accessori di vario tipo per macchine fotografiche.

Poi il passaggio all’informatica con affari sempre più ampi e il tempo sempre più corto. Nel 1985 sposò Floriana Andolfi e l’anno successivo nacque la «Cdc» (casa del computer). Nel 2004 la ditta ha avuto un fatturato pari a 557 milioni di euro, è quotata in borsa, ha 500 negozi (i «computer discount») in tutta Italia, conta oltre 600 dipendenti. Diomelli cerca sempre di capire il mercato e i bisogni dei clienti, dei piccoli clienti che si mettono le mani in tasca prima di procedere a un acquisto. Questo imprenditore dal volto umano si identifica con l’azienda, crede che alla base di essa ci debbano essere dei valori non solo economici: le risorse umane sono i valori fondamentali della «Cdc», quelli che la fanno vivere e progredire. Forte di questi valori, la ditta è presente da 18 anni sul mercato tecnologico che è uno dei più competitivi. Progetta e crea modelli a marchio proprio: uno di questi è stato premiato al Futurshow del 2004 da Bill Gates in persona. Sottovoce Diomelli mi confida però che il premio ricevuto cui tiene di più è quello intitolato all’inventore del marketing: il Philip Kotler Award del 2001. Niente male la carriera di questo disk jockey.