GIUSEPPE DIOMELLI: L’uomo dei computer
Chi mi si rivolge così è Giuseppe Diomelli un signore alla mano, gioviale, dalla faccia simpatica e barbuta, presidente della «Cdc», leader italiana nella produzione e distribuzione di prodotti informatici.
Sarà possibile anche un’intelligenza artificiale autosufficiente, come in 2001 odissea nello spazio dove il computer pensa, prova dei sentimenti e decide autonomamente? Già che ci siamo Diomelli mi dà un giudizio sul film: «L’ho visto e rivisto ma non mi è piaciuto per niente, molto meglio Arancia meccanica».
Venendo alla risposta, non crede all’intelligenza artificiale autonoma: il computer in realtà «è una macchina stupida, anche se ha sempre ragione lui». Il cane di casa è molto più intelligente del computer. (Sono le una e mezzo, squilla il telefono, Diomelli risponde: dalle sue parole dette a bassa voce sembra di capire che è la moglie che gli chiede quando torna a casa per il pranzo; mentre risponde, Diomelli titilla un po’ nervosamente il filo del telefono: «Sì, sì fra una mezzora, ora sono con un giornalista». Ahinoi, presidente: le mogli sono uguali per tutti, presidenti e non!…).
I computer sono macchine tutte identiche, ben lungi da poter essere paragonate al cervello umano capace di essere indirizzato a livello di etica, di comportamento, di apprendimento. Ci vogliono anni prima che si sviluppi la maturità di un cervello con i suoi miliardi di neuroni, ognuno dei quali possiede un frammento della formazione ricevuta. Il cervello ha una flessibilità sconosciuta al computer: se dovessimo far giudicare un reato a un computer, ci metteremmo dentro tutte le informazioni e ne uscirebbe il giudizio, ma sarebbe un giudizio freddo: la macchina è inadeguata a capire le circostanze, le attenuanti, lo stato mentale ed emotivo dell’imputato.
Uno dei più grandi venditori italiani di prodotti informatici sostiene convintamente che il computer deve rimanere un mezzo per vivere meglio senza condizionarci, deve essere al servizio della nostra mente, non dobbiamo subirlo, non dobbiamo diventarne schiavi, altrimenti «ci freghiamo con le nostre stesse mani».
Anche per gli acquisti su internet, oggi così di moda, bisogna usare il famoso granellino di sale: posso comprare tranquillamente un cellulare, perché il modello che voglio lo vedo sul monitor, il colore è quello che appare, le dimensioni sono indicate, il prezzo è scritto. «Ma la casa dove vado a passare la vita, forse è meglio andare a vederla in loco, di persona, perché se accanto alla casa c’è una discarica, il puzzo su internet non lo sento».
La conversazione è finita, Diomelli mi saluta e se ne va. Riportandosi dietro il suo «ufficio» me lo mostra mentre lo tiene sul palmo di una mano sola, e sorridendo sornione e bonario, mi dice: ç’est plus facile. Grazie, presidente, e buon appetito.
Poi il passaggio all’informatica con affari sempre più ampi e il tempo sempre più corto. Nel 1985 sposò Floriana Andolfi e l’anno successivo nacque la «Cdc» (casa del computer). Nel 2004 la ditta ha avuto un fatturato pari a 557 milioni di euro, è quotata in borsa, ha 500 negozi (i «computer discount») in tutta Italia, conta oltre 600 dipendenti. Diomelli cerca sempre di capire il mercato e i bisogni dei clienti, dei piccoli clienti che si mettono le mani in tasca prima di procedere a un acquisto. Questo imprenditore dal volto umano si identifica con l’azienda, crede che alla base di essa ci debbano essere dei valori non solo economici: le risorse umane sono i valori fondamentali della «Cdc», quelli che la fanno vivere e progredire. Forte di questi valori, la ditta è presente da 18 anni sul mercato tecnologico che è uno dei più competitivi. Progetta e crea modelli a marchio proprio: uno di questi è stato premiato al Futurshow del 2004 da Bill Gates in persona. Sottovoce Diomelli mi confida però che il premio ricevuto cui tiene di più è quello intitolato all’inventore del marketing: il Philip Kotler Award del 2001. Niente male la carriera di questo disk jockey.