GIAMPIERO MARACCHI: L’uomo del tempo

Non poteva essere diversamente: l’Ibimet, Istituto di biometeorologia ha la sua sede fiorentina in via Giovanni Caproni, strada dedicata a uno dei pionieri dell’aviazione italiana. Aviatori, meteorologi e climatologi hanno la testa fra le nuvole anche se almeno le ultime due categorie i piedi li tengono saldamente per terra.

Il professor Giampiero Maracchi, fondatore e direttore dell’Ibimet, mi riceve nel suo piccolo, funzionalissimo ufficio. È un gentile signore elegantemente vestito all’inglese, con una barbetta sbarazzina, ma con un paio d’occhi penetranti e riflessivi.

Anche se è uno scienziato di livello internazionale, circondato da sofisticati strumenti scientifici tanti dei quali inventati presso l’Ibimet, la mattina quando si alza, si affida come tutti a una empirica occhiata al cielo per «prevedere» il tempo del giorno. Per i giorni successivi o per la stagione che verrà mi dice che l’uso della strumentazione è ovviamente necessario. Tiene comunque a precisare che la previsione stagionale non è possibile nel dettaglio (esempio: non possiamo prevedere oggi se a ferragosto pioverà a dirotto oppure no) ma nelle caratteristiche generali. Possiamo dire, correndo qualche rischio, ma con una certa attendibilità se la prossima estate sarà più o meno calda della precedente.

Nonostante il progresso della strumentazione, le conoscenze dell’atmosfera non sono cambiate tantissimo rispetto al passato per lo meno a quello recente. Ma l’impiego dei satelliti artificiali permette di lavorare con una precisione e una esattezza prima sconosciute e che crescono di decennio in decennio: gli anni ’70 dalle parole di Maracchi sembrano essere una sorta di età della pietra rispetto agli anni ’80, ’90 fino a oggi.

Quando accomuno Maracchi, illustre scienziato, a una massa sconosciuta di altri scienziati, i contadini, il professore non si urta per questa collegialità da me «imposta». Anzi, conferma l’affidabilità degli agricoltori come meteorologi: il 60-70% dei proverbi sul tempo e sul clima corrisponde al vero. Sono osservazioni empiriche esatte: «Marzo la serpe esce dal balzo», «San Benedetto [21 marzo] la rondine è sotto il tetto». Infatti, a marzo la temperatura media è di circa 10 gradi centigradi e questa è la temperatura sopra cui iniziano i fenomeni biologici; inoltre, il sole è più alto: quindi il terreno si riscalda permettendo ai rettili di riprendere le loro funzioni vitali. Sull’interessante argomento dei proverbi contadini, Maracchi tiene in coda al TG3 regionale del sabato una rubrica (che ha un nome un po’ da bar, come dice lui: si chiama «Il Maracchi») dove fa un confronto fra la visione scientifica del clima e del tempo, e quella tradizionale, potendo così ribadire al grande pubblico, il valore «scientifico» dei detti contadini.

Se fin qui il tono del colloquio è stato leggero e improntato al sorriso, quando il tema della chiacchierata si sposta sul futuro del pianeta, il professore si rabbuia, la sua voce si vela. Il suo pessimismo è oggettivo: negli ultimi 15 anni ci sono stati dei cambiamenti climatici macroscopici e radicali mai verificatisi nella storia del pianeta in un periodo di tempo così breve. Glaciazioni o periodi di surriscaldamento avvenivano in lassi di tempo lunghi alcuni secoli, minimo in 50 anni ma non in 15 e non con l’intensità riscontrabile oggi. Inoltre, i gas presenti nell’atmosfera sono cambiati: questo è un altro dato oggettivo che induce al pessimismo. Mi mostra un laboratorio dove viene simulata un’atmosfera piena di CO2: quella che avremo fra qualche decina di anni. Ha la faccia a pizzicorino il professore ma non ride affatto.

Maracchi mi parla anche della scarsa attenzione che in Italia è dedicata all’attività scientifica: non è solo un problema di istituzioni statali o di colore politico del governo: il fatto grave, che secondo lui deriva da una impostazione scolastica e mentale di tipo crociano, è che l’italiano medio ha pochissima considerazione della ricerca scientifica. Le potenzialità scientifiche di questo paese sono quindi molto modeste. Anche perché, pur avendo delle risorse, siamo disorganizzati e la ricerca nei settori di punta si fa con l’organizzazione più che con cervelli brillantissimi. Da noi ognuno fa come vuole, zappa nel proprio orticello, magari ritenendosi il nuovo Einstein. Gli altri paesi non hanno scienziati più intelligenti dei nostri, sono solo più organizzati: e così ce li ritroviamo mille anni luce davanti. E la frittata è fatta. Eh no, non c’è proprio niente da ridere. Scienziato e artigianoGiampiero Maracchi come illustre climatologo lo conoscono in parecchi: i più forse per le interviste concesse a giornali e a telegiornali. Pochi forse sanno che Maracchi è anche un abilissimo artigiano: fabbrica i mobili di casa sua, produce oggetti in ferro battuto e, aspetto più sorprendente, si fa le scarpe che porta ai piedi. Leggo su un succoso scritto di Maracchi sulla storia della calzatura, che grandi personaggi hanno avuto a che fare con la calzoleria: Linneo, Winkelmann, papa Urbano IV prima di affermarsi nei loro settori specifici, per sbarcare il lunario facevano scarpe. Oggi accade l’incontrario: gente affermata, per esempio un climatologo come Maracchi o un attore come Daniel Day Lewis, si dedica a quest’arte. Il secondo dei due è addirittura volato da Hollywood in San Frediano per apprenderne i rudimenti nella bottega di un famoso calzolaio. Ci potrà mai essere un legame fra climatologia e calzoleria?C’è in realtà per ciascuno di noi un legame fra corpo, atmosfera e quello che ci sta di mezzo: cioè i vestiti (e quindi anche le scarpe).

Nell’Istituto diretto da Maracchi, un gruppo di ricerca svolge un’attività di studio sullo sviluppo rurale (e la campagna è evidentemente legata a doppio filo con clima e meteorologia) di concerto con il ministero del Welfare. L’obbiettivo è il recupero della produzione di antiche fibre tessili come la canapa, il lino e la ginestra (una volta usata per fare vestiti) per creare occupazione e nascita di piccole aziende. Maracchi ha così unito ad alcuni filoni di indagine dell’Ibimet il suo interesse e la sua notevole competenza per l’artigianato cui si dedica con la stessa passione riservata alla scienza. Dirò di più: alla mia osservazione «professore, mi sembra che lei abbia una passione più spiccata per l’artigianato che per la climatologia», non vengo smentito: e mi risponde con un silenzioso e fugace sorriso.

Il professore fa anche considerazioni economiche di carattere generale: nel momento di grandissima crisi che l’economia sta attraversando, un artigianato di nicchia (come quello che potrebbe anche nascere con il recupero delle antiche fibre tessili per creare moderni prodotti) può crescere, generare produzione di qualità per cercare di contrastare la concorrenza asiatica; ed è solo sull’alta qualità che si può fare presa, perché sui grandi numeri non c’è futuro: l’Asia è vincente. Ma l’artigianato di nicchia ha un senso solo se unito a un turismo di qualità. Esattamente il contrario di quello che avviene a Firenze: se si continuano a tenere le bancarelle in via dei Gondi, accanto a Palazzo Vecchio, avremo un turismo di basso livello che sporca, rovina ma non investe. In questo non siamo aiutati dalla nostra classe dirigente (non solo politica, e questa indipendentemente dal colore politico) che si dimostra provinciale, chiusa in se stessa, incapace di guardare avanti.

Il sorriso del professore è stato davvero fugace.