ERMENEGILDO CORSINI: Una voce toscana nel Coro della Sistina
DI RENATO BRUSCHI
«Da piccolo cantavo sempre le canzoni dello Zecchino d’oro e, raccontano, avevo una voce così bella che le suore della scuola, che frequentavo, mi afferravano per mano e in chiesa, sotto la statua della Madonna, dicevano: canta, canta l’Ave Maria. Ed io la cantavo!». Inizia così, da molto lontano, dai ricordi dell’infanzia, la storia di Ermenegildo Corsini, l’unico toscano attualmente annoverato tra i cantori della Cappella Musicale Pontificia, meglio conosciuta come «Cappella Sistina», il «Coro del Papa». Pur vivendo, da diversi anni, a Monterotondo, venti chilometri da Roma, ama definirsi un «apuano doc». Il padre è infatti carrarese i Corsini dal XVII secolo sono presenti nel borgo di Fontia e la madre era originaria di Casette, un paesino della Valle del Frigido sopra a Massa. Ermenegildo è il nome del nonno materno, abbreviato poi in Gildo, che si narra fosse «un vero e proprio maniaco della perfezione, capace di mettersi a piangere se un oggetto non corrispondeva alle sue intenzioni». «Credo che questa caratteristica sia arrivata fino a me. Anch’io amo le cose perfette!».
Gildo, voce chiara di tenore, è figlio d’arte. Il padre Alessandro è un insegnante di musica, i nonni avevano una passione sviscerata per l’arte dei suoni: salmodiavano in chiesa, fischiettavano le arie di Verdi e suonavano la tromba. Da studente non ha disdegnato i cori parrocchiali e amatoriali; alcuni li ha anche diretti, quello della sua parrocchia, ad esempio e, per un breve periodo, quello della Cattedrale di Massa. Si è dilettato con la fisarmonica, lo strumento prediletto dal padre, poi il pianoforte e l’organo. Ma il suo «chiodo fisso» è stato, da sempre, il canto. Gli studi musicali seri iniziano al «Boccherini» di Lucca, con il maestro Pietro Rigacci, e vengono completati, con diploma in «Canto corale e direzione di coro», al conservatorio «Cherubini» di Firenze.
Alla pratica del «belcanto» è avviato dal mezzosoprano Clara Foti. «In seguito racconta presi lezioni da Roberto Caverni, un curiosissimo personaggio, ora deceduto, che possedeva una casa meravigliosa a Pisa, proprio sui lungarni».
Nel 1988 entra nel coro del Festival Pucciniano di Torre del Lago: in quel momento apparve chiaro che la musica stava diventando il suo lavoro. Seguirono una stagione al Teatro di Pisa, due a Genova, infine a Firenze, nel coro del Maggio Musicale. «Di quel periodo conservo bellissimi ricordi confida fra i quali una esecuzione mirabile dello Stabat Mater di Rossini, sotto la bacchetta del maestro Myhun-Wung Chung».
Nel settembre del 1992, il grande salto nella capitale e l’ingresso nella «Cappella Musicale Pontificia Sistina». «Nonostante avessi lavorato nei teatri e frequentato il repertorio operistico e sinfonico ci tiene a precisare , la polifonia e il canto sacro a cappella, mi sono sempre stati familiari». Entrare a far parte del coro della Cappella Sistina non è stato semplice. L’allora direttore Domenico Bartolucci, il maestro per antonomasia, pretendeva un periodo di prova che, a volte, si protraeva a lungo. «Comunque alla fine fui assunto e dal 1992 al 1997 ho avuto l’onore di cantare sotto la sua direzione.
Oltre ad essere un interprete impareggiabile, il maestro Bartolucci è un musicista a tutto tondo con quell’estro che solo il Padre Eterno può donare. Un toscanaccio doc che dice pane al pane e vino al vino e che ha fatto della coerenza la sua più grande virtù. Le prove corali con lui erano sempre piacevoli: alla pratica seguiva, di solito, una chiacchierata sulla musica sacra e sull’arte in genere. Ogni tanto si sedeva al pianoforte e suonava i preludi della Traviata! Potremo definirlo un burbero bonario che alla polemica, tutta toscana, alternava espressioni paternalistiche di stampo romano. Dirigeva sempre a memoria, e quando era il momento di eseguire un brano, chiedeva ai ragazzi: cosa c’è ora?, prendeva la nota dal diapason e via si incominciava». Con lui la «Sistina» ha compiuto memorabili tournée internazionali. «Ricordo con particolare piacere il concerto a Istanbul. Il bambino solista che doveva intonare l’Ave Maria di Tomas Luis Da Victoria, per l’emozione, sbagliò la frase, allungandola con un melisma orientaleggiante. Il Maestro, per nulla scomposto, si mise a ridere, dicendo: Ha fatto bene, siamo in mezzo ai minareti!!!». Il Coro del Papa segue tutte le celebrazioni del Pontefice in San Pietro. «La più suggestiva riferisce è il Venerdì Santo, quando il Santo Padre non celebra ma assiste e il Coro, al rito dell’Adorazione della Croce, esegue, ormai da secoli, il Popule Meus di Palestrina».
Tra le esperienze più emozionanti dei diciotto anni di carriera in «Sistina», Corsini mette, al primo posto, l’apertura del conclave per l’elezione del successore di Giovanni Paolo II. «Quella mattina tutto era silenzio racconta . Nei cortili vaticani c’era un’atmosfera quasi irreale; le guardie svizzere ci scortavano mentre si sfilava lungo le Logge di Raffaello, passando davanti alle porte, sigillate, dell’appartamento papale. Nel più totale silenzio siamo entrati in Cappella Sistina. C’era soltanto una guardia svizzera, con uniforme rossa, vicino alla stufa di rame, quella della celebre fumata. In lontananza si sentivano i cardinali, partiti dalla Loggia delle Benedizioni, che avanzano con calma verso la porta. Appena entrarono, il Coro, diretto da monsignor Giuseppe Liberto, attaccò il Veni Creator Spiritus di Bartolucci e per un attimo smisi di cantare. Avevo le lacrime agli occhi a causa dell’emozione. Chiudeva la processione il decano, che era proprio Joseph Ratzinger, il quale esitò qualche istante prima di varcare la soglia. Dopo l’«extra omnes», di nuovo in silenzio e lentamente, uscimmo dalla cappella, con la consapevolezza e la gioia di aver partecipato ad un momento straordinario della vita della Chiesa».