Carlo Guidi, il restauratore e inventore pisano
di Graziella Teta
Gli è arrivata tra le mani 300 anni dopo, ed è stata una bella sfida. È la «Pompa di Musschenbroek», creata a Leyda nel 1697: una macchina per esperimenti di fisica sulla rarefazione dell’aria, donata all’Università di Pisa da Anna Maria Ludovica de’ Medici. Nel 1997, dopo tre secoli, Carlo Guidi ha riportato alle origini questa «pompa ad un solo pistone per fare il vuoto», attraverso un accurato e minuzioso intervento di restauro. «Era in pessime condizioni spiega con molte parti ossidate, e i precedenti tentativi di sbloccaggio l’avevano danneggiata».
Un’impresa di cui va meritatamente fiero, ma non è l’unica. Un’altra, che conserva tra i ricordi più belli, è il restauro della cosiddetta «macchinetta» di Antonio Pacinotti (realizzata dallo scienziato pisano nel 1860): macchina elettromagnetica con elettro calamita trasversale, funziona sia come motore con velocità di rotazione costante sia come dinamo, e produce corrente indotta continua. Commenta Guidi: «Mentre Pacinotti inventava la prima dinamo-motore a corrente continua, nelle strade del suo tempo giravano i barrocci che trasportavano carbone. A lui si deve il primo treno a trazione elettromagnetica, così il primo fucile con lo stesso meccanismo ».
Potrebbe continuare per ore, Carlo Guidi, ad affascinare l’interlocutore con storie di geniali inventori e relative invenzioni di due, tre secoli fa, giunte fino a noi grazie anche al suo pregiato lavoro di restauratore di strumenti scientifici. Ne ha riportati in vita decine e decine, tanto che ha perso il conto. Ci sono il banco per le forze centrifughe e l’apparecchio per lo studio degli urti elastici di Carlo Alfonso Guadagni (metà del ‘700), i telescopi a riflessione di Wright e di Short, il cannocchiale di Fraunhofer di ottone verniciato in nero, il commutatore di Matteucci, gli emisferi di Magdeburgo (1600) per dimostrare gli effetti della pressione atmosferica, il telescopio a riflessione di Short, l’apparecchio per la composizione delle forze, il modello per lo studio e la misurazione dei rapporti fra circonferenze, e tanti altri. Tutti visibili nello straordinario «Museo degli strumenti per il calcolo», a Pisa, gestito dalla Fondazione Galileo Galilei (il Museo merita assolutamente una visita, anche virtuale sul sito www.fondazionegalileogalilei.it).
Museo che a breve ospiterà una realizzazione di Guidi: un grande compasso in ottone, copia in scala 6 a 1 di un’opera di Galileo (alto 1,70 metri, di 18 kg), manovrabile per calcoli matematici e geometrici. Non solo restauri, dunque, ma anche creazioni: Guidi ha già esposto nel Museo anche la sua ricostruzione funzionante dell’«anello» di Pacinotti (realizzata nel 2007, richiesta per trasmissioni televisive).
E ancora: anni fa ha costruito, per un filmato realizzato da un regista francese, una simulazione del cannocchiale di Galileo. Carlo sorride al ricordo: «All’epoca avevo la barba, e così mi è stato chiesto anche di interpretare Galilei, bis anche per dei giapponesi; i filmati ora si trovano alla Limonaia a Pisa».
A proposito di Galileo, Guidi è lapidario: «Non si restaura Galileo», poi spiega: «È un genio lontano; io, sorta di San Tommaso dei marchingegni storici, mi entusiasmo per gli oggetti concreti, dei secoli XVII, XVIII e XIX, che posso toccare, smontare, ricostruire». Una straordinaria passione quella di Guidi, classe 1940, «Pisano dal 1200 », funzionario dell’Università di Pisa, in pensione da 10 anni, dopo una vita dedicata, come tecnico, al Dipartimento di Fisica. Racconta: «Sin da piccolo mi cimentavo a smontare la mia radio a galena poi a costruire tubicini per esperimenti sui raggi cosmici, affascinato da ogni genere di meccanismo. Dopo una scuola di elettrotecnica e marconigrafia, a 17 anni ottenni il mio primo contratto di lavoro con l’Istituto nazionale di fisica nucleare di Frascati (Roma).
Poi, dagli anni ’60, l’impegno all’Università di Pisa». Autore di pubblicazioni di taglio scientifico, relatore a convegni, coltiva da sempre l’interesse per «le cose vecchie», cominciando da quelle scovate all’Università poi restaurate con amore e sapienza. «Ogni oggetto è una sfida, cui mi accosto quasi con reverenza: il restauro è preceduto da un’attenta fase di analisi, ricerca, poi l’intervento con utilizzo di tecniche, tecnologia e materiali dell’epoca. Niente plastica, per carità!».
Una ricerca quasi maniacale la sua: per restaurare l’orologio di Julien Le Roy (Parigi, XIII secolo), di cui era sopravvissuto solo il quadrante, ha realizzato carrucole e ganci lavorati a mano; per ricostruire il pendolo andato perduto ha utilizzato un pezzo di un battiscopa in legno pregiato del quale fosse certa la lunga stagionatura, e la moglie Melania (docente di matematica per 40 anni) ha ricostruito le cordicelle con fili di cotone grezzo. «Spesso mi trovo di fronte a materiali introvabili: il fucile di Pacinotti aveva particolari in ebanite, che ho recuperato dieci anni fa agli stabilimenti Solvay dov’erano le vasche di lavorazione proprio in ebanite. Mi sono imbattuto anche in un particolare tipo di bronzo speculare utilizzato per antichi strumenti ottici. A volte basta un particolare per risolvere l’intervento di restauro che, nella fattispecie, si tratta di recupero funzionale non solo estetico».
Investigatore del tempo, Carlo Guidi abbonda in curiosità, intuito, spirito di osservazione. E oggi c’è anche internet ad aiutarlo nelle ricerche. A volte occorrono poche settimane, altre volte anche dieci anni per «risolvere» il mistero rappresentato da un meccanismo settecentesco. Come è accaduto per la macchina delle forze centrifughe di Carlo Alfonso Guadagni (primo direttore della cattedra di Fisica Sperimentale fondata a Pisa da Francesco I), rimasta nel limbo per un decennio poi restaurata ad arte da Guidi. Più rapido, ma non meno impegnativo, il restauro dell’unica coppia di orologi astronomici «gemelli» di Graham: «Precisissimi, potrebbero non fermarsi mai perché dotati di un meccanismo di recupero di carica».
Nella famiglia Guidi («tutte donne: moglie, tre figlie, una nipotina e un’altra in arrivo, oltre ai generi s’intende») il «tocco» di Carlo è spesso richiesto per interventi casalinghi di riparazione e manutenzione. «Gli oggetti mi ubbidiscono», ammette con sincera modestia Carlo. E confida al cronista che, mentre restaura e ripara, fa il nonno, va in giro in bicicletta, canta come basso in una corale parrocchiale, trova il tempo per coccolarsi «un paio di invenzioni» che serba gelosamente. Di più non è dato sapere. Un altro mistero, stavolta del XXI secolo.