ATHE GRACCI: La «pioniera» dell’adozione a distanza
di Graziella Teta
Questa è la storia d’amore fra una mamma d’Italia e un figlio di madre Africa. Lei si chiama Athe, lui Alfred. S’incontrano nelle strade di Abidjan, in Costa d’Avorio, nel dicembre del 1980. Il bambino ivoriano si avvicina alla signora «pallida»: si parlano in francese, lei lascia qualche soldo e il suo indirizzo. È l’inizio di una corrispondenza epistolare che durerà oltre un decennio, da cui traspare il forte sentimento materno di lei per quel «figlio adottato» a distanza, sostenuto nei momenti di incertezza e difficoltà dell’adolescenza, diventato poi adulto, padre di una bambina cui ha dato il nome Athe, a ricordo di quella «mamma italiana» che l’ha aiutato a crescere.
La storia la racconta lei stessa, Athe Gracci, insegnante per una vita, filantropa e scrittrice, nel suo ultimo libro «Madre Africa, Mamma Italia», con sottotitolo «Quando Athe si inventò l’adozione a distanza» (Tagete Edizioni, 2011). Quando è stato presentato, lo scorso aprile al Museo Piaggio di Pontedera davanti a un gran pubblico, si sono levati molti applausi dai tanti giovani studenti presenti conquistati dalla vitalità di questa signora alle soglie dei 90 anni, che tre decenni fa s’inventò appunto, senza saperlo, l’adozione a distanza. Oggi è pratica diffusa tramite numerosissime associazioni laiche e religiose, ma all’epoca era frutto per lo più di speciali circostanze e occasionali incontri, come quello fortuito che ha unito per un pezzo di vita Athe ad Alfred.
Dopo quel primo incontro, lei ha continuato per anni ad inviare denaro «le mie economie» le chiama al ragazzo africano, spesso all’insaputa del marito Enolo Biasci, cui tocca talvolta frenare gli impulsi umanitari della sua generosa moglie, che sono il tratto distintivo di una personalità dedita agli altri. Soldi che servono per gli studi e il sostentamento del giovane; e poi tanti pacchi con vestiti, scarpe, regalini per farlo sentire amato. Ma non è sempre un rapporto idilliaco, anzi. Dalle commoventi lettere di Athe (che compongono l’emozionante libro) emergono anche incomprensioni, risposte attese e mai giunte, delusioni e amarezze, sacrifici non sempre ricambiati con altrettanto generoso impegno ed affetto. Nel 1984 Athe e il marito (nuovamente in trasferta di lavoro per la Piaggio, dove lavora) tornano ad Abidjan: Afred e la sua mamma «spirituale» si ritrovano; lei conosce da vicino la quotidianità del giovane, fatta di povertà e solitudine, uguale a quella di migliaia di coetanei che vivono nel difficile Paese africano. Lui è rimasto solo (la sorella muore, madre naturale e fratello partono alla ricerca di un lavoro). Tornata in Italia, Athe s’impegna per aiutarlo e lo fa con grande spirito d’iniziativa: contatta e coinvolge ambasciate, ministeri, assistenti sociali, istituzioni e comunità religiose, amici italiani e africani. Soprattutto lo consiglia e lo incoraggia con le sue missive: «Dovrai lavorare bene a scuola, dovrai avere fiducia nei tuoi professori, e dovrai avere la forza di realizzare i sogni tuoi di riuscita. Ricorda che non sempre sono i soldi a contare Ti aiuterò per quanto potrò».
Un decennio trascorre tra gioie e delusioni: qualche intoppo negli studi, l’indecisione su «che cosa fare da grande» Alfred dà più di una preoccupazione a «mamma Athe», e lei lo sostiene sempre con amorevole comprensione. Ma anche insistendo affinché completi gli studi, conseguendo il B.E.P.C. (equivale alla licenza media): «Ti è indispensabile la miglior cosa da fare dopo è frequentare l’apprendistato, guadagnare e studiare allo stesso tempo. Come ho fatto io, mio marito, e molti giovani di oggi Mio genero è architetto, ha lavorato per guadagnarsi i soldi per gli studi. Lavorava da un fornaio la mattina dalle 5 alle 14, dopo studiava ». Quando Alfred le scrive che vorrebbe vivere in Italia, lei lo dissuade e gli fa comprendere che la sua vita deve essere in Costa d’Avorio: «Qui saresti sradicato e infelice Ama il tuo Paese, che ha bisogno di uomini capaci, di lavoratori onesti e coraggiosi». E aggiunge: «Non so l’impressione che voi ricevete dagli europei: qui la vita è dura c’è tanta disoccupazione per i giovani».
Anche la vita di Athe è dura, tra problemi di salute e vari interventi chirurgici, l’impegno a scuola, la famiglia da mandare avanti. Di tutto questo racconta a suo «figlio» che, ormai adulto, è riuscito ad avviare un’attività commerciale, si è sposato ed è diventato padre. Dalle ultime lettere, che risalgono a vent’anni fa, Athe fa trasparire la gioia di essere riuscita, seppur a distanza, ad educare il ragazzo all’impegno negli studi e nel lavoro, esortandolo sempre all’onestà e alla responsabilità. Gli scrive: «Ora sei un uomo, vorrei pregarti di non lasciare mai tua moglie e la bimba, di lavorare onestamente per la loro vita, e di amare il tuo Paese». E chiede ad Alfred di non dimenticare la sua «mamma italiana» che, come tutte le madri del mondo, vorrebbe essere amata e ricordata.
Oggi Athe rivela di non aver avuto più notizie: «E’ tanto che non so più nulla del mio Alfred, ma sono sicura che l’educazione che ha avuto avrà aiutato il suo cammino». Confessa che la nostalgia di lui spesso l’assale, abbinata a quel «mal d’Africa» che coglie quanti hanno conosciuto davvero quella terra meravigliosa e terribile.
Da quando è in pensione (1992), Athe Gracci si dedica con passione al volontariato nel carcere Don Bosco di Pisa. E scrive: poesie e racconti (inseriti in numerose antologie), e libri di memorie sulle sue esperienze tra Italia, Francia e Africa. Ha partecipato a numerosi concorsi letterari, vincendo premi nazionali e internazionali, tra i quali «Gronchi», «Melbourne» e «Pepa» per la narrativa e «La Rocca» per la poesia. Nominata nel 2004 Cavaliere della Repubblica Italiana, nel 2007 arricchisce il suo palmarès: la Presidenza della Repubblica le invia una lettera di riconoscimento per la sua attività a favore dei giovani detenuti nel carcere Don Bosco di Pisa; il Comune di Pontedera l’onora del titolo di «cittadina esemplare» per la cultura, la memoria, la solidarietà; la Biblioteca del Duomo di Pontedera le assegna il premio «Una penna a Pontedera». Athe è anche promotrice del gemellaggio fra Fourchambault (di cui è cittadina onoraria) e Pontedera; e autrice di vari libri sulla città francese e sui toscani che vi hanno vissuto e lavorato.
Con Tagete Edizioni (Michele Quirici e Valentina Filidei) di Pontedera ha pubblicato, tra l’altro, «I miei studenti reclusi» (2003), sulle sue esperienze nel carcere pisano, e l’ultimo libro «Madre Africa Mamma Italia» (2011), realizzato con il contributo di Comune di Pontedera e Banca Popolare di Lajatico. Il suo presidente, Enrico Fabbri, scrive nel suo commento introduttivo al libro: «L’adozione a distanza non si limita alla distribuzione di aiuti e beni di prima necessità, ma crea con il bambino un legame unico, indispensabile per la sua crescita, morale, sociale, culturale. Athe Gracci è stata il pioniere in questo campo. Con immenso amore ha speso tanta parte della sua vita per gli emarginati, i bisognosi, gli ultimi». Una lezione di vita e di coraggio che Athe sa trasmettere anche ai giovani.