Antonio Natali: «Le nostre città care e dimenticate»
di Lorella Pellis
La stanza del direttore degli Uffizi è una «camera con vista» mozzafiato. È qui che ci accoglie Antonio Natali. Dal giugno 2006, quando ha assunto il nuovo incarico, è il suo regno, dalle otto di mattina alle sette la sera. I predecessori «abitavano» al piano di sotto. Anche il mobilio è cambiato: «Ora qui è tutto rigorosamente più austero, anche se incasinato», spiega con un sorriso Natali. E racconta come il panorama che offre la finestra abbia per lui un significato particolare: «Si vedono San Miniato al Monte e San Salvatore al Monte, due chiese cui sono molto legato. E poi si vede il cimitero delle Porte Sante, dov’è sepolto mio padre, morto nel 2004. Ho fortemente voluto che babbo fosse sepolto lì. Lui amava molto il verde. È stato cremato e ho voluto incidere sulla lapide che copre le sue ceneri un verso d’una poesia sua: di tanto verde la dolcezza strema. Lui era essenzialmente un poeta. Mi sento piccino piccino rispetto alla sua cultura: non è falsa modestia, è consapevolezza».
Parole che testimoniano un legame fortissimo e che suscitano in noi molti ricordi e anche un po’ di commozione. Perché quel babbo, Elvio Natali, è stato per tanti anni una presenza significativa anche per Toscana Oggi, con la sua collaborazione qualificatissima e umile al tempo stesso. «Purtroppo aggiunge suo figlio non mi ha passato la sua gentilezza d’animo: io sono molto reattivo, prendo fuoco con niente. Babbo era di grande dolcezza e umanità, ma mi ha lasciato l’aspirazione a una vena poetica cui mi sforzo comunque di attingere sempre».
Professore, partiamo dall’attualità: il nuovo sfregio alla Loggia de’ Lanzi in piazza della Signoria. È così difficile difendere le nostre opere d’arte?
«È sempre più difficile perché, pur aumentando gli strumenti di controllo, sempre maggiore è il degrado della società e delle persone che ci stanno intorno, che non sono immorali ma amorali perché nessuno gli hai mai insegnato che cos’è la morale. La colpa quindi è nostra, ma finché la situazione è questa io sono per le cancellate, per chiudere tutto quello che è possibile chiudere».
E gli Uffizi godono di buona salute? Come va il flusso dei visitatori?
«Il flusso è calato e calerà ancora. Quando a dicembre mi fu chiesto cosa significasse il calo del 3,7 per cento, dissi che era quasi un trionfo rispetto al tracollo economico e alla gente disoccupata. Bisogna ringraziare Dio se la gente viene ancora al museo, ma credo che il brutto debba ancora venire. Tuttavia c’è anche da dire che se a Firenze per mangiare e per dormire i turisti spendono un’esagerazione, succede che vengono anche in meno agli Uffizi. Dunque capovolgerei quello che in genere viene detto, ovvero che la gente non viene più perché la cultura non tira. No, non vengono più perché questa città è cara, e comunque risulta che il calo degli Uffizi sia inferiore a quello del turismo».
Da quando lei dirige la Galleria, che novità ci sono state? E il cantiere dei Nuovi Uffizi a che punto è?
«Da parte mia ho badato a mantenere la linea dei miei predecessori. Comunque come nuova direzione abbiamo inaugurato la Sala della Niobe, la Sala dell’Ermafrodito e il Ricetto delle iscrizioni, la nuova Sala del Pollaiolo e il nuovo Scalone. Di recente abbiamo sistemato 1500 metri di cordone per proteggere tutte le statue e fatto altre cose per la sicurezza. Abbiamo fatto mostre all’estero, in America e Spagna, con opere dai depositi, e in Italia con il progetto La città degli Uffizi, partito da Figline Valdarno. C’è il richiamo agli Uffizi ma sono appunto opere provenienti dai depositi: quindi nessun visitatore che viene a visitare la Galleria si è lamentato o si lamenterà, perché abbiamo lasciato e lasceremo le sale intatte. Quanto ai Nuovi Uffizi, il cantiere non riguarda me ma la soprintendenza gemella, quella ai Beni architettonici. Io sono l’inquilino che aspetta le stanze per arredarle, in questo caso per metterci le opere. Riguardo alla loggia di Isozaki, è nelle mani di Dio, nel senso che spesso si cambia idea, ogni governo ha un’idea in proposito. Se si farà non so dirglielo: se devo stare alle ultime esternazioni non verrà fatta, se devo stare ai programmi sì».
Parliamo di politica. Il ministro Bondi è toscano, dovrebbe avere a cuore Firenze e i suoi musei. Lei però ha denunciato ad alta voce la carenza di personale che metterebbe addirittura a repentaglio la sicurezza delle opere…
«A repentaglio la sicurezza no, perché quando i custodi sono pochi, io chiudo le sale per quanti ne mancano. Però poi ci si presenta agli stranieri così, come quando si offre ospitalità in una casa e poi se ne chiude mezza perché non ci si può andare…».
Giorni fa il presidente della Toscana, Claudio Martini, seguendo l’esempio del Louvre e del Guggehneim, ventilava l’ipotesi dell’apertura della Galleria degli Uffizi bis ad Abu Dhabi…
«Da un uomo che si proclama di sinistra mi aspetterei valutazioni diverse sulla cultura. Se si fanno i nomi del Louvre e del Guggeheneim allora si potrebbe nominare anche la National Gallery o il Victoria and Albert museum di Londra, dove si entra gratuitamente. Dico che è necessario cercare una via che salvi la nobiltà delle cose e nello stesso tempo tenga di conto dell’economia del Paese. Io credo di aver dimostrato con le mostre che faccio all’estero con i depositi che non sono alieno dal cercare ritorni economici per il mio Paese. Credo però che ci voglia un po’ di garbo nel proporre le cose, magari sentendo prima le parti interessate. Se Martini voleva semplicemente dire quello che noi stiamo facendo da anni, allora ovviamente non c’è obiezione, se invece si pensa ad altro bisogna essere prudenti. Comunque consiglio ai politici accorti di pronunciarsi soltanto quando hanno interpellato i tecnici e visto che si parlava degli Uffizi io non sono stato interpellato».
Tra tre mesi i fiorentini voteranno per Comune e Provincia e l’anno prossimo ci saranno le elezioni regionali. Cosa chiede ai nuovi amministratori?
«Meno conformismo possibile, che vuol dire prendere coscienza, impegnarsi a lungo termine, avere la lungimiranza dei politici di un tempo. Bisogna a parer mio impostare tutti insieme una politica culturale che badi a redimere Firenze dalla dimenticanza in cui è caduta, Uffizi e Accademia a parte. Avere quel tanto di spregiudicatezza intellettuale per dire che, se anche una mostra non ottiene il ritorno sperato in denaro ma si valuta che ci sia stato un ritorno culturale per la città, non è una mostra fallita».
Un «orso maremmano» con la passione per la chitarra
Com’è la vita di un esperto d’arte fuori dal suo ambito? Ci potremmo immaginare che un «topo di museo» non sia poi così diverso dal topo di biblioteca. Per Antonio Natali in buona parte è vero, anzi di più: in lui coabitano entrambi i tipi di «roditore». «Considero giorno di ferie ammette quando posso scrivere cose che piacciono a me e quando posso andare in biblioteca. Sto qui tutto il giorno, cene e incontri la sera li ho ridotti al minimo e infatti passo per essere un orso. Viaggio pochissimo: abbiamo una casa all’Elba e una in Maremma, appena potevo andavo… Viaggi all’estero li faccio, centellinati ma li faccio».
Nella vita di Natali le donne di certo non mancano: oltre alla moglie (che insegna religione) la sera a casa ritrova infatti le tre figlie di 13, 18 e 21 anni. Che, quest’inverno, gli hanno regalato una nuova chitarra, vecchia passione di quand’era studente. «Sì spiega la suonavo e componevo canzoni. Ancora so suonicchiarla ma i polpastrelli non reggono, mi fanno male. Prima avevo il callo…». Ci potremmo anche immaginare che uno come Natali prenda uno stipendio da favola, ma stavolta ci sbaglieremmo, e non di poco. «Io per Roma esclama non esisto, adesso arrivo a quasi 1800 euro al mese. La verità è che se mia moglie Paola non insegnasse, io non potrei fare il direttore degli Uffizi: questo mese ha preso più di me».
Tra le doti particolari di Natali, come si può notare, c’è l’assenza di peli sulla lingua. Ce lo conferma: «Posso mandare a quel paese una persona e lui mi ci può mandare, non cambia niente. È una dote da maremmano: non conosco l’odio, il risentimento, proprio non mi vengono».
Singolarissimo è poi il rapporto con la fede. Natali si definisce infatti «praticante non credente». «Non è soltanto un gioco di parole», spiega. «Davvero io penso di essere tale. In maniera quasi veterotestamentaria compio il rito domenicale e, quando lo compio, un pochino c’investo. Questo però non ha niente a che vedere con la fede, anche se la presuppone. Io sono davvero convinto che per qualsiasi cosa si faccia bisognerebbe chiedersi cosa avrebbe fatto Lui, e se si va con questo metro voglio vedere chi si definisce credente». Ma l’occhio della fede emerge ancora dal rapporto con le opere d’arte, così il mistero dell’aldilà si è reso evidente in circostanze particolari dopo la scomparsa del padre Elvio. «Ho avuto momenti in cui ho percepito decisamente una presenza. Al concorso per la cattedra di ordinario andai a fare l’esame che babbo era già morto. Ti danno tre buste per fare una lezione, quattro ore di tempo per il tema estratto da te. Io ne presi immediatamente una senza pensare. Lessi ed era una cosa fatta apposta per me. Per completezza giuridica dovemmo aprire anche le altre due ed io capii che fu il babbo a darmi quella busta».