ALESSANDRO CENI TOZZI: Poeta e pittore, ma una cosa alla volta
Quando arrivo al cancello di casa sua, mi accoglie l’abbaiare, in verità non molto festoso, di due bellissimi pastori maremmani: Brusco (un nome un carattere) e Siena (omaggio alle origini di Ceni). Domate momentaneamente le fiere, velocemente Ceni mi fa entrare in casa.
Nell’ingresso spicca la bandiera della Torre, la contrada del nonno materno: «Ha vinto l’ultimo Palio dopo decenni di digiuno e ora starà qua per un anno intero. Sento molto il Palio».
Poeta e pittore, egualmente talentoso egualmente difficile: in quale delle due arti si manifesta meglio la complessa personalità di Alessandro Ceni? Non si può dire, ci sono stati periodi in cui le due arti si sono alternate: da giovanissimo ha cominciato con la pittura, è subentrata quasi subito la poesia; quindi ha cercato che si intrecciassero, ma la cosa non ha funzionato e ha prevalso la poesia per parecchi anni. Poi per un’esigenza che continuava a premere per esprimersi anche in maniera diversa, la pittura è tornata a farsi viva.
Quella di Ceni è una poesia non certo facile per il pubblico, si ha quasi l’impressione che scriva solo ed esclusivamente per se stesso. In realtà, mi spiega, chiunque scriva o lavori in una dimensione creativa, parte da se stesso: è inevitabile, perché la poesia in particolare è una forma di conoscenza che non si può fare che attraverso se stessi, con un viaggio interiore spesso duro e doloroso. Il suo lavoro finisce quando vede che la poesia «regge». Poi va agli altri. Poi sta al lettore entrare dentro la poesia. E a quel punto ci si accorge che la poesia non è così intima come si può immaginare: «Parte da me ma in realtà è proiettata verso l’esterno: la poesia è fatta per essere presa da altri».
Però è indubbio che la poesia si legge meno della prosa. La risposta di Ceni spiazza per la sua «brutale» semplicità: la poesia non è per tutti, checché se ne dica. La poesia è per pochi. La poesia va verso tutti, ma pochi in realtà la penetrano o se ne fanno penetrare fino in fondo. Non è un racconto non è un romanzo non è un saggio: la poesia lavora con la profondità delle parole. E il raro lettore che è preso dalla poesia lo sarà per sempre. La poesia è un binario stretto, perché le cose più serie sono anche le più difficili: un poeta non può pensare alle vendite, «il poeta scrive perché ha la necessità impellente di dire le cose come stanno».
In Italia, si legge poca poesia. Paradossalmente c’è molta più attenzione in provincia che nei grandi centri, salvo Milano, Roma e Bologna. Firenze è completamente immobile, vive di se stessa. Ha avuto un ultimo lampo negli anni ’30 con gli ermetici: allora a Firenze venivano tutti. Poi il nulla.
In altre nazioni la poesia viene letta molto di più (e i poeti vendono); in altre nazioni alle letture delle poesie si riempiono i teatri, in Italia quando si ritrovano in cinquanta è un enorme successo. Purtroppo, anche perché il livello della poesia italiana è sempre stato molto alto, e lo è tutt’oggi.
Ancora l’angoscia che torna, se mai si fosse assentata: nelle creazioni di Ceni è forte questa componente che «d’altra parte è di tutto il genere umano: c’è chi fa finta o pensa di non averla, c’è chi la sfugge. Io non sfuggo niente». Se l’artista ha un compito è quello di prendere in sé tutto nel bene e nel male. Ceni sente profondamente il dolore, sente il dolore anche delle cose, degli oggetti, (in quanto presenze nella nostra esistenza) che improvvisamente si possono rompere, che possono rimandare a qualcos’altro, a un momento, a un’immagine. Sente una catena di dolore che è la nostra esistenza e che probabilmente è l’esistenza del mondo intero. Questo non significa che si debba vivere nel dolore: c’è un verso di Dylan Thomas che parlando della lacrima dice: «Una volta assaggiata, è buona». Assumere il dolore senza rifiutarlo può farti gustare il senso reale della vita, quindi anche la gioia, la risata convinta, il mangiare con gusto, il vino con gli amici, il piacere delle cose.
Chi volesse conoscere la pittura di Alessandro Ceni, può visitare da lunedì la mostra che si inaugura nei locali del Lyceum in via degli Alfani 48 a Firenze, rimanendovi per circa un mese.