ADRIANO CACCIATORE: Il pioniere della Brugiana
di Renato Bruschi
La comunità terapeutica «Monte Brugiana» è un’oasi di pace piantata ad un palmo di cielo. Sorge sulle pendici del monte Brugiana, l’ultimo avamposto delle Apuane che divide la città di Massa da Carrara, e si raggiunge percorrendo una lunga strada sterrata, che attraversa boschi di pini, castani e abeti, fino ad arrivare a pochi decine di metri dalla vetta, dove un tempo «si trovavano solo spine e pietre». Qui, a partire dalla metà degli anni Ottanta, Adriano Cacciatore, con altri volontari, edificando dal nulla, dà vita al primo nucleo di quella che diventerà l’attuale comunità, formata da oltre cento persone.
Ma com’è iniziata la storia di Adriano Cacciatore che da «tecnico grafico» si ritrova a essere, prima tra i fondatori di San Patrignano e poi il responsabile di una comunità di recupero dalla tossicodipendenza? «Beh, il presente ci racconta è sempre l’esito di un percorso che nel mio caso è fatto da tanti prima. Durante la guerra, la mia famiglia si è trasferita da Genova in Puglia e nel 1946 siamo arrivati sul litorale apuano. Mio padre faceva il rappresentante di commercio.
Dopo il compimento degli studi ho iniziato a lavorare come tecnico grafico, a Genova presso l’azienda di uno zio, pur risiedendo a Marina di Carrara». Sono questi gli anni giovanili, caratterizzati da un «ateismo impegnato e motivato», condiviso con i due fratelli Renzo e Lodovico, sempre teso però alla ricerca della verità e di risposte che faticano ad arrivare. Finché, in pieno Sessantotto, la lettura di alcuni libri, e la scoperta delle filosofie orientali, nonché esperienze personali e familiari, spingono per una svolta radicale: la conversione alla fede cristiana arriva non solo come accettazione di un corpo dottrinale, e quindi di riposte intellettuali ai tanti dubbi, ma come un vero e proprio «cambio di prospettiva esistenziale». Ed aggiunge: «Sono arrivato alla fede dalla porta orientale, facendo, per così dire, un lungo giro tra le filosofie indiane. Di conseguenza diventare cristiano ha significato, prima di tutto, imparare ad abbandonarsi alla volontà di Dio che si manifesta attraverso le circostanze».
E da qui in avanti la lunga catena di «svolte esistenziali» sarà sempre il frutto di un «mettersi nelle mani di Dio», a cominciare da quell’annuncio di giornale, scoperto «casualmente» più giusto dire «provvidenzialmente» che ricercava un tecnico grafico per un’azienda di Rimini e per il quale Adriano matura l’idea di trasferirsi con la famiglia in Romagna. «La conversione significa anche interpretare il linguaggio di Dio che si manifesta nella concatenazione degli eventi. E così scopri che Dio ti sorprende con qualcosa che è sempre più grande delle nostre attese, e che va oltre i nostri progetti. Un disegno che si individua lungo il percorso, tappa, dopo tappa e ti conduce dove non pensavi mai di arrivare».
Siamo agli inizi degli anni Settanta e in questa fase prende forma l’esperienza degli «approfondimenti spirituali»: appuntamenti settimanali ai quali partecipano diversi amici tra cui Vincenzo Muccioli e i coniugi Moratti. Durante uno di questi incontri, che avevano anche un risvolto terapeutico, e dopo che venne aiutata, con successo, una tossicodipendente del Trentino, si delinea l’idea di aprire, nei poderi della moglie di Muccioli, a San Patrignano, un centro per accogliere i giovani che avevano manifestato l’intenzione di uscire dal tunnel della droga. Va notato che in quegli anni nessuno pensava che si potesse guarire dalla tossicodipendenza e ciò che si stava avviando aveva, quindi, i tratti dell’esperienza pionieristica. Com’è facile immaginare, si determinarono non poche incomprensioni che portarono alle celebri «traversie giudiziarie» del 1978 e che si conclusero con le assoluzioni in Corte di Appello e in Cassazione.
Una dura prova che, tuttavia, non scoraggiò il gruppo riminese, ma creò le premesse per il distacco di Adriano Cacciatore da Vincenzo Muccioli e da San Patrignano diventata, nel frattempo, una cooperativa. La separazione si concretizzò nel definitivo trasferimento a Tirrenia, dove diede vita ad una nuova comunità di recupero. Nella cittadina pisana, ancora una volta, fu raggiunto da una proposta che richiedeva una scelta «coraggiosa e profetica»: spostare il piccolo gruppo a Massa, in una zona aspra, completamente abbandonata e lontana dal centro abitato. Furono alcuni genitori, guidati da un medico a proporre ad Adriano tale trasloco. Dopo le necessarie valutazioni e dopo aver preso visione del luogo, arrivò la decisione definitiva. E così nacque la comunità «Monte Brugiana».
«I primi anni non furono facili ricorda Adriano . Non avevamo la simpatia di tutti e la diffidenza era assai diffusa. Ma ci fu di grande appoggio il vescovo Bruno Tommasi che si appassionò al nostro gruppo. Veniva spesso in comunità a celebrare la Messa, intrattenendosi volentieri con i giovani ospiti». Da quel momento con la Diocesi apuana è nata una relazione sempre più intensa, corroborata dal sostegno di tre vescovi (Tommasi, Binini e ora Giovanni Santucci) e suggellata dalla nomina di un cappellano a disposizione della comunità, nella persona di don Marco Baleani.
Oggi, tra i cavalli di battaglia del percorso di recupero, c’è il «riciclaggio» e l’ergoterapia. Gran parte di ciò che si vede è derivato dalla trasformazione o dal recupero, di qualcosa d’altro, e il lavoro costituisce la base per ritrovare la fiducia in se stessi. «Per questo diamo grande valore ai giardini, alla cura dell’ambiente, alla lavorazione della terra, all’allevamento del bestiame. Chi entra in comunità, vi rimane per circa tre-cinque anni, a seconda dei percorsi, e gradatamente ritrova la forza per cambiare e rientrare nella società, liberato dalla dipendenza che lo rendeva schiavo di se stesso». Nel salutarci, Adriano sottolinea infine che «ogni pezzo di questo mosaico, non deriva da un progetto ma è venuto spontaneamente, a seguito di quell’abbandono in Dio che ha caratterizzato da sempre la mia esperienza cristiana».