Una coppia, un aborto spontaneo: «Il nostro dolore non riconosciuto»
Siamo una coppia di sposi che ha vissuto il lutto della morte del primo figlio per un aborto spontaneo. Vi scriviamo sperando di trovare risposta a due domande.
1. La Chiesa da sempre si impegna a difendere ed accogliere la vita dal concepimento fino al suo termine naturale. In occasione della 41° giornata per la vita del 3 febbraio scorso il messaggio dei vescovi recitava: «La difesa dell’innocente che non è nato deve essere chiara, ferma e appassionata (…). Incoraggiamo quindi la comunità cristiana e la società civile ad accogliere, custodire e promuovere la vita umana dal concepimento al suo naturale termine». Perché quando i fratelli della nostra parrocchia sono venuti a conoscenza della nostra perdita (avevamo dato il lieto annuncio a poche persone, ancora) hanno tentato di minimizzarla? Ci siamo sentiti dire: «Ne farete un altro». Davvero, hanno pronunciato queste parole, come se gli esseri umani fossero intercambiabili. Perché non ci sono state parole o gesti di compassione per nostro figlio? Perché era morto naturalmente?
2. La reazione della comunità ci ha fatto sorgere dei dubbi. Non abbiamo potuto fare un funerale, non c’è un luogo dove poterlo piangere, non c’è stato riconoscimento del nostro dolore. Forse sbagliamo noi? Allora chiediamo: nostro figlio adesso è in Paradiso? Esiste? E un giorno potremo conoscerlo?
Lettera firmata
L’esperienza sinteticamente narrata nella lettera non è rara e le parole accorate della coppia mi hanno richiamato alla mente situazioni simili nelle quali sono stato coinvolto come medico e come sacerdote. L’aborto spontaneo si verifica in circa il 15-20% delle gravidanze di cui la donna si rende conto. Una percentuale ancora più elevata di aborti spontanei avviene nelle prime fasi della gravidanza subito dopo il concepimento e di questi la donna spesso non si rende conto perché si manifestano come un semplice ritardo nella comparsa del ciclo. Le cause sono molteplici e non sono tutte perfettamente note. In una bassa percentuale di donne in età fertile – circa l’1 % – gli episodi di aborto spontaneo non restano purtroppo isolati, ma si ripetono due o più volte configurando il quadro ancora più delicato, sia dal punto di vista clinico, sia psicologico, dell’aborto spontaneo ripetuto.
Nel caso dei nostri lettori la gravidanza era giunta al terzo mese e – lo si comprende bene dalle loro parole – si era già instaurato fra la madre e la sua creatura un dialogo muto fatto di emozioni, sensazioni e fantasie. La madre percepiva fisicamente e psichicamente la presenza del suo bambino nel proprio spazio interiore e cominciava a condividere con il padre del bambino la trepidazione di un’attesa. Gli esami ematochimici e strumentali venivano a confermare la verità di quella presenza desiderata, amata e custodita. Poi d’improvviso quella relazione appena iniziata è venuta a interrompersi, il grembo si è fatto deserto e il distacco del figlio dalla madre, evento di per sé traumatico, qui si è fatto tragico perché preludio non di nascita, ma di morte.
Spesso la donna vive l’aborto spontaneo non solo come l’esperienza dolorosa della perdita di un figlio, ma con il senso di colpa – del tutto immotivato – di non aver saputo custodire quella vita fragile a lei affidata. In questo frangente la coppia dei nostri lettori avrebbe desiderato trovare un sostegno e un conforto nella ristretta cerchia degli amici che erano stati messi al corrente del «lieto annuncio», ma hanno trovato soltanto l’invito maldestro e quasi offensivo a «farne un altro», come se gli esseri umani fossero «intercambiabili», come se la morte di una creatura non nata fosse un evento da liquidare velocemente in quanto avvenuta «naturalmente» e non in seguito a un aborto volontario.
I due genitori, ancora feriti per la perdita precoce di un figlio, si chiedono se davvero quelle persone avevano colto il dramma umano che essi sperimentavano e se avessero mai riflettuto sull’insegnamento della Chiesa che proclama la piena dignità personale di ogni vita umana sin dal concepimento (cfr. Dignitas personae 5). Dal concepimento esiste una creatura umana che Dio guarda e benedice con amore: «Non ti erano nascoste le mie ossa / quando venivo formato nel segreto, / ricamato nelle profondità della terra. / Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi» (Sal 138, 15-16). La madre e il padre di questa creatura morta prima del nascere avevano posto su quel piccolo essere in divenire lo stesso sguardo tenero e incantato di Dio.
Ora che quella vita fragile è stata strappata dalla madre come un frutto strappato dall’albero prima del tempo, ora che quell’esserino delicato non è più nel seno di sua madre, la fede apre ai genitori la possibilità di attraversare ed elaborare il lutto della morte del figlio. Il lutto di un non nato è tanto più straziante in quanto si piange qualcuno che, proprio perché è all’inizio della sua avventura terrena, doveva essere destinato alla vita e non alla morte.
Vorrei dire a quei genitori ciò che la nostra fede ci sussurra nel cuore: il vostro bambino non è morto, ma vive nel Signore. Non è scivolato nel nulla, ma è stato accolto nelle braccia di Dio. Date una identità al vostro bambino. Immaginate le sue sembianze. Mettetegli un nome. Affidatelo alla misericordia di Dio che si è rivelata in Cristo, come fa la Chiesa quando celebra l’eucaristia per i bambini non battezzati. Dio che ha creato la sua anima lo potrà accogliere, per sua grazia e per il desiderio ardente dei genitori, nella gloria. A volte l’aborto è così precoce che non è possibile neppure raccogliere i poveri resti della creatura e non esiste neppure «un luogo dove poterla piangere», ma i genitori possono parlare con il figlio, pregare per lui, chiedere alla comunità cristiana di pregare con loro e accompagnarli nel loro dolore con il conforto della speranza teologale.
Le domande dei nostri due lettori: «Nostro figlio adesso è in Paradiso? Esiste? E un giorno potremo conoscerlo?» trovano una risposta autorevole in un bel documento che la Commissione Teologica Internazionale ha pubblicato nel 2007 e che riguarda precisamente La speranza della salvezza per i bambini che muoiono senza il battesimo. Nell’ultima pagina del documento si leggono parole consolanti: «La grande misericordia di Dio che vuole salvi tutti gli uomini e la tenerezza di Gesù verso i bambini che gli ha fatto dire «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite» ci consentono di sperare che vi sia una via di salvezza per i bambini morti senza battesimo».
Il percorso di elaborazione del lutto forse non sarà breve, né semplice, ma, alla fine, dopo aver restituito il figlio alla madre e al padre attraverso la certezza della comunione con lui nel Signore, la donna potrà essere restituita al desiderio della maternità e potrà rinnovare con il suo sposo la capacità di accogliere, come un dono prezioso, il frutto dell’amore.
Maurizio Faggioni