Transessualità e matrimonio. Cosa dice la dottrina cristiana
Nei giorni scorsi una coppia fiorentina – già sposata civilmente – ha chiesto il matrimonio religioso. La donna però è divenuta tale solo in seguito ad un’operazione chirurgica: la legge italiana le ha consentito il cambio di sesso all’anagrafe, e quindi la possibilità di sposarsi civilmente. Sulla possibilità del matrimonio religioso, invece, ci sono molti dubbi. Il cardinale Antonelli ha fatto sapere di voler conoscere meglio i fatti, e le persone, prima di pronunciarsi. Per aiutare i lettori a considerare questa vicenda con maggiore consapevolezza, Toscanaoggi ha chiesto un intervento a padre Maurizio Faggioni, docente di morale della vita fisica alla Facoltà Teologica dell’Italia centrale e uno dei maggiori esperti a livello nazionale su questi temi.
La condizione transessuale è una delle situazioni più difficili e delicate nell’ambito di un gruppo di patologie psichiatriche comunemente denominate «disordini della identità di genere».
L’identità di genere è la percezione che ciascuno di noi ha di essere maschio o femmina: essa precede l’assunzione di uno stile di comportamento maschile o femminile, precede l’orientamento erotico-sessuale, precede i vissuti, le esperienze, le scelte sessuali. L’identità di genere si fissa normalmente nei primissimi anni di vita, in una interazione fra fattori fisici (quale l’azione degli ormoni sul cervello fetale) e fattori educativi e ambientali. Nella stragrande maggioranza delle persone l’identità di genere si definisce conformente al sesso corporeo, così che la persona si sente bene nella sua pelle, riconosce il suo corpo come proprio e si percepisce espressa e rivelata a sé e agli altri dal suo corpo sessuato.
Nei disturbi dell’identità di genere questa armonia fra corpo e autocoscienza è problematica o, addirittura, impossibile. In alcuni casi la persona sente il disagio per il suo genere; in altri casi desidera alternare momenti in cui vive in un genere e momenti in cui vive nell’altro genere, adottandone vestiti e manierismi tipici; in altri casi ancora la persona trova più confacente vivere stabilmente in un genere che è opposto al proprio sesso corporeo. Nei casi di transessualismo vero e proprio la persona avverte il corpo sessuato dissonante rispetto alla propria identità di genere e prova la sensazione – davvero penosa – di essere un uomo prigioniero in un corpo femminile o una donna prigioniera in un corpo maschile, con un desiderio forte e persistente di sbarazzarsi di un sesso percepito come estraneo.
Il nodo fondamentale del transessualismo non sta, quindi, in un modo di fare sesso o nell’orientamento del proprio desiderio erotico. Il nodo fondamentale è nel cuore della persona e nell’insostenibile opposizione fra ciò che una persona sente di essere e ciò che il corpo, con il suo linguaggio, dice e comunica. Si tratta di una situazione tragica che porta la persona a chiedere che siano cancellati dal corpo i segni del sesso che sente estraneo e si ricostruiscano – attraverso la chirurgia e gli ormoni – le fattezze del sesso che sente proprio.
Dal punto di vista della frequenza si avrebbe un caso di transessualismo ogni 30.000 maschi adulti e uno ogni 100.000 femmine adulte. Quale causa o quale complesso di cause stia alla base del transessualismo non è noto.
In Italia la materia è regolata dalla legge n.164 del 14 aprile 1982, Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso, la quale permette, a seguito di intervenute modificazioni dei caratteri sessuali, di cambiare l’attribuzione del sesso fatta alla nascita, con tutte le conseguenze giuridiche, inclusa la possibilità di sposarsi nel nuovo sesso.
Dal punto di vista della morale cattolica, la questione degli interventi di correzione dell’aspetto dei genitali (il cosiddetto fenotipo) e del corpo è molto dibattuta, anche perché non tutte le voci della medicina sono concordi e i risultati degli interventi non sono sempre quelli attesi. Alcuni moralisti cattolici sono contrari all’intervento. Altri ritengono che, quando sia fallito ogni tentativo psicoterapeutico o farmacologico e la persona viva una situazione di angoscia insostenibile e tale da metterne in pericolo la vita, allora l’intervento di modifica dell’aspetto corporeo potrebbe essere accettato, sempre che esso riesca davvero a ridare pace ed equilibrio al soggetto.
La sessualità umana è una realtà complessa che caratterizza la persona a tutti i livelli e deriva dal convergere armonioso di dimensioni fische e psichiche. Nel transessuale questa convergenza e questa armonia non si danno. Secondo i moralisti che sono favorevoli all’intervento di correzione, non si tratta di anteporre la autoscienza ai dati corporei, perché il sesso di una persona non è riducibile alla coscienza che se ne ha, ma questi moralisti sottolineano che esiste il dovere umano di ristabilire – nei modi e con i mezzi praticabili – la massima armonia possibile fra mente e corpo.
Riguardo all’accesso al matrimonio la morale cattolica è negativa. In senso negativo si esprimeva la lettera, a firma del card. Ratzinger, inviata il 28 maggio 1991 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede ai Vescovi tedeschi (vedi sotto). Più recentemente, il 21 gennaio 2003, una Notificazione della Conferenza Episcopale Italiana (testo integrale) ricordava che un cambiamento del sesso allo stato civile non poteva comportare una parallela modifica nell’atto di battesimo.
Tra i moralisti cattolici, anche chi ammette la liceità degli interventi di correzione, non ritiene che l’intervento sia sufficiente a definire un uomo o una donna in tutta la loro realtà e complessità. L’antropologia cristiana vede nell’amore coniugale la realizzazione della chiamata dell’uomo e della donna ad uscire da se stessi per incontrare, nella comunione totale, l’altro da sé: una donna è l’altro da sé per un uomo e un uomo è l’altro da sé per una donna. Nel matrimonio l’uomo e la donna si impegnano l’uno con l’altro in quanto persone sessuate con tutto il loro essere, anima e corpo. La visione cristiana del matrimonio si radica in quel principio del libro della Genesi in cui il Creatore creò l’uomo e la donna l’uno per l’altro e l’uno di fronte all’altro, diversi e complementari per incontrarsi nell’amore. Nonostante i notevoli risultati della medicina, anche per quanto riguarda la possibilità di avere rapporti fisici nel nuovo sesso, non sembra che un soggetto che abbia assunto le fattezze di un maschio o le fattezze di una donna possa dirsi uomo o donna nel senso forte che i Cristiani – e non solo loro – hanno finora dato a queste parole.
L’impossibilità di essere ammessi alle nozze cristiane non significa affatto che le persone transessuali le quali si siano sottoposte all’intervento correttivo debbano essere considerate escluse dalla comunità ecclesiale. Al contrario, proprio il profondo disagio che, a volte per anni, ha accompagnato la loro vita, le ingiuste discriminazioni e lo sfruttamento che spesso hanno subito e subiscono, chiedono alla comunità cristiana, in nome della misericordia di Dio, di avere per questi fratelli e sorelle sentimenti di ancor più sollecita accoglienza, di autentica stima e di fattivo sostegno.
TESTI
nostra traduzione:
[ ] Si tratta di una persona da assegnarsi secondo la biologia a un sesso, la quale si sente psicologicamente appartenente a un altro sesso e che, dopo particolari interventi medici, presenta solo fenotipicamente quest’altro sesso. Di conseguenza tale persona non può essere ammessa alla celebrazione del matrimonio sacramentale, perché ciò equivarrebbe a sposare una persona che appartiene biologicamente al proprio sesso [ ].
Card. Joseph Ratzinger
Città del Vaticano, 28 maggio 1991