Sposarsi in Quaresima? Sì ma con sobrietà
Approfitto di questa rubrica per una mia curisiosità. Ho sempre saputo che in Quaresima non ci si può sposare; adesso invece ho conosciuto qualcuno che si sposa proprio in questo periodo. Forse il fatto di non sposarsi è solo un’usanza e non una regola, oppure chi lo fa è perché ha avuto dei permessi speciali?
Anna Fabbri
È il lieto annunzio sulla vita coniugale: «All’inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una sola carne. L’uomo dunque non separi ciò che Dio ha congiunto» (Mc 10,6-9).
Nel caso di due battezzati, inseriti definitivamente in Cristo e nella Chiesa, il reciproco scambio del consenso coniugale avviene in Cristo e nella Chiesa: ha un valore sacramentale. Questa dimensione liturgica delle nozze cristiane è cresciuta lungo la storia, insieme alla consapevolezza del valore ecclesiale del consenso fra gli sposi.
Fin dai primi secoli, l’intervento del sacerdote è stato caratterizzato da una solenne benedizione, dopo l’espressione pubblica del consenso coniugale. Il consenso avveniva all’inizio fuori della chiesa (in facie ecclesiæ), seguito poi da una celebrazione all’interno dell’edificio sacro. Col tempo, si celebrò tutto in chiesa: prima la liturgia essenziale del consenso; poi, dopo che l’uomo e la donna erano stati dichiarati marito e moglie, la Messa, al cui interno era prevista la benedizione sugli sposi. Con la riforma liturgica seguita al Vaticano II, abbiamo un’unica celebrazione, all’interno della quale avviene sia il consenso che la benedizione sugli sposi.
Si chiarisce adesso il senso della domanda posta dalla lettrice. Nei tempi passati, la legislazione ecclesiastica esortava a rispettare il clima penitenziale dell’Avvento e, soprattutto, della Quaresima. La celebrazione delle nozze, con l’abituale clima di festa, strideva con l’austerità richiesta in quei tempi liturgici. Per questo, si proibiva la «celebrazione solenne» delle nozze, cioè non si celebrava la Messa né si impartiva la benedizione sugli sposi. Così, il Rituale Romanum, approvato da Pio V dopo il concilio di Trento, nella sua revisione del 1952 da parte di Pio XII, afferma che il matrimonio si può contrarre in qualunque tempo dell’anno, ma la benedizione solenne delle nozze è normalmente vietata in Avvento e in Quaresima. Da questa norma deriva il pensiero comune per cui non ci si può sposare in quaresima. Era vietata la celebrazione solenne delle nozze, con la benedizione sacerdotale sugli sposi. Di fatto, le nozze erano sconsigliate in questo periodo, ma in caso di necessità si potevano celebrare, limitandosi al consenso degli sposi davanti al parroco e a due o tre testimoni.
La legislazione attuale è concorde con la riforma liturgica, che lega molto strettamente la benedizione al consenso degli sposi, benedizione impedita solo dalla mancanza di un ministro ordinato. Resta sempre l’invito a tenere conto dei tempi penitenziali, soprattutto della Quaresima, evitando ogni sfarzo o solennità non adeguata. Gli unici giorni, però, durante i quali evitare le nozze, sono il Venerdì e il Sabato santo (CEI, Rito del Matrimonio. Premesse generali, 32).
Ogni matrimonio, celebrato alla presenza di un ministro ordinato, vede il consenso degli sposi sul patto coniugale seguito dalla benedizione sulla nuova coppia. Con il patto coniugale, gli sposi liberamente e scambievolmente si donano e si ricevono in modo irrevocabile (CEI, Rito del Matrimonio. Premesse generali, 2). La benedizione rivela l’opera dello Spirito Santo nel sacramento: è rendimento di grazie al Dio della creazione e dell’alleanza, memoria dell’opera di Cristo sposo, invocazione fiduciosa allo Spirito nella cui forza si realizza il mistero della celebrazione (CEI, Rito del Matrimonio. Presentazione 6).
In questo quadro d’insieme, secondo la tradizione teologica latina, gli sposi sono considerati i ministri del sacramento del matrimonio. Nella visione orientale, invece, è la benedizione del sacerdote che rende sacramentale il patto coniugale (cf Catechismo della Chiesa Cattolica, 1623). Le due tradizioni non devono essere viste in contrasto l’una con l’altra, ma come espressioni diverse di un unico e grande mistero di fede: «Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola. Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa» (Ef 5,31-32).