Se non ci fosse stato il peccato originale l’uomo vivrebbe ancora nell’Eden?
Una curiosità: se è vero che l’uomo è stato cacciato dall’Eden a causa del peccato, questo significa che inizialmente era destinato a vivere per sempre nel Paradiso terrestre? Che se Adamo ed Eva fossero stati più ubbidienti oggi l’umanità vivrebbe ancora lì? E in quel caso, saremmo stati immortali o ci sarebbe stata comunque la morte?
Piero Sottili
Le domande che si fa il lettore e le risposte che si dà, stando materialmente al libro di Genesi, sono corrette. I capitoli due e tre di Genesi infatti dicono che l’uomo coabitava con Dio nonostante fosse una delle creature, anzi Dio stesso lo andava a trovare alla brezza della sera (Gn 3,8) in quell’ Eden dove viveva. L’uomo creato a immagine di Dio aveva come destinazione la comunione con Dio, come quando una famiglia adotta un bambino e lo porta a vivere in casa propria. E senza che accadesse il peccato niente dice che avrebbe perso questo suo stato. Perciò è da ritenere che saremmo ancora lì.
D’altra parte, da come Genesi si esprime in quei primi capitoli sembra che parli di una realtà al di fuori del tempo, sembra dirci che solo il peccato ha gettato nella temporalità l’uomo che, fatto a immagine di Dio, prescindeva dal tempo, addirittura non si parla neppure di «figliolanza», la quale si manifesta (Gn 4,1) una volta che l’uomo è uscito dal senza tempo dell’Eden ed entrato nel divenire della storia del tempo e della morte, e per questo necessita di procreare e di generare perché l’umanità sopravviva alla finitezza del mondo stesso. Per quello che si evince dal sintetico racconto di Genesi forse, ancor oggi, ci sarebbero stati solo Adamo ed Eva, poiché se quella loro vita fosse stata fuori dal tempo non ci sarebbe stato … tempo per la generazione. A meno che con Adamo ed Eva s’intenda il genere umano in quanto tale, allora potremmo entrare in una logica diversa. Queste sono supposizioni e fantasie, perché la realtà e i fatti sono andati diversamente. L’uomo ha peccato, è stato cacciato da una vita immortale (Gn 3,24) perché non venisse in possesso dell’Albero della vita, ossia potesse da quel momento in poi vivere sempre nel male, come il diavolo, usufruendo della vita eterna in atto.
Che l’uomo sia immortale poi è dato a vedere dai temi contenuti nella dottrina della nostra fede. Infatti dicendo: credo nella resurrezione dei morti e la vita eterna, non significa altro che ciò che chiamiamo morte è il momento della purificazione, è il momento sacro, cioè, in cui ritorniamo nell’Eden. È come se la vita umana, a causa del peccato, abbia bisogno di un bagno purificatorio, che è la storia quotidiana che viviamo, e, una volta pronti e ripuliti, Dio stesso colla morte ci richiama eternamente alla comunione con lui. Dio fin dall’inizio avvisò l’uomo di non mangiare dell’albero del bene e del male altrimenti «dovrai morire» (Gn 2,17). In quel momento l’uomo avrebbe potuto dire a Dio: e che vuol dire morire? Perché mai aveva visto un fatto del genere. Per questo si può supporre che l’uomo non sia stato creato mortale, ma eterno in quanto radicato nella comunione o essere divino, ma dopo il peccato l’uomo si è scollato dalla radice eterna della comunione con Dio, ed entrato nella mortalità corporale ritrova nella morte stessa il momento d’ingresso alla vita eterna, grazie ad essa rientra nell’Eden. Il paradiso è la eterna comunione con Dio che Genesi descriveva come un giardino, ma che il giardino vero è la vita o l’essere di Dio stesso, al quale siamo destinati.
Due sono i modi di essere immortali: il primo è quello assoluto di Dio, che è L’Immortale; il secondo è quello relativo nostro e degli angeli, che una volta creati non si muore più, e noi siamo immortali in ragione di quell’anima che ci forma e ci determina a immagine di Dio.
Gesù infine parla continuamente di esser venuto a fare la volontà del Padre, come ci richiamasse all’ubbidienza grazie alla quale è possibile abitare nel cuore stesso di Dio e diventarne suoi amici. Ed è difficile non collegare questa sua espressione alla primordiale disobbedienza dei nostri Progenitori. Dunque quello che dice il lettore sembra corretto. Il peccato originale è alla base della vita che oggi viviamo, con i suoi mali e colle sue gioie, con i progressi e con i regressi, vita che Gesù Cristo stesso, il Figlio di Dio, è venuto a condividere affinché, grazie alla sua morte, da quel momento in poi la morte non fosse più segno del peccato, ma il nuovo segno della vita eterna, alla quale eravamo sfuggiti, ma che per la misericordia di Dio siamo riagganciati dalla croce di Cristo e di nuovo reinseriti grazie alla sua resurrezione.
Athos Turchi