Mi ha sorpreso apprendere che uno dei responsabili della manomissione del freno della cabina della funivia, che ha provocato la morte di 14 passeggeri, fosse una «persona molto religiosa». Non penso ci siano dubbi sulla condanna di fronte alla gravità delle colpe “confessate”, ma mi domandato perché gravi comportamenti sociali ed economici, quando non provocano tragedie, non siano percepiti così incompatibili e lesivi della coscienza cristiana, come invece avviene ricorrentemente per le questioni che riguardano il comportamento sessuale e la famiglia. Non dico che quelle «sociali» non siano considerate delle colpe, ma il «peso» comunemente attribuito nel giudicare la coerenza dei comportamenti è palesemente diseguale.Perché il concetto di «grave perturbamento» della coscienza cristiana che è attribuito ai comportamenti difformi che riguardano le tematiche sessuali e familiari, non viene applicato anche all’evasione fiscale, alla diseguaglianza e al privilegio socioeconomico che offendono profondamente la legalità civica e la dignità dei poveri. Tradizionalmente sulle questioni economiche e lavorative si è infatti preteso di applicare un’etica separata e indipendente, finendo per renderle compatibili con una «retta coscienza» cristiana.In passato c’è stato il timore di «fare politica», ma oggi non ci sono più alibi e anche l’esercizio della carità non può essere disgiunto dal concreto perseguimento della giustizia. Se non lo facciamo, rischiamo oggi un peccato più grave, quello dell’ipocrisia ma soprattutto di inaridire e condannare all’indifferenza la nostra fede.Daniele GabbrielliRispone don Leonardo Salutati, docente di teologia moraleMi permetto di non concordare con il lettore riguardo alla differenza di giudizio su comportamenti ugualmente gravi. Purtroppo, infatti, se, come ritiene il lettore, non vi è adeguata percezione della gravità di alcuni comportamenti in ambito economico e sociale, dobbiamo obiettivamente registrare, a livello di opinione pubblica, un’identica, se non maggiore, attenuazione nella percezione della gravità su tematiche riguardanti la sessualità e la famiglia. È sufficiente esaminare le statistiche e le maggioranze parlamentari dei vari paesi al riguardo. Inoltre, meriterebbe verificare se l’impressione riportata dal lettore non dipenda piuttosto da una maggiore copertura mediatica dedicata ai temi sensibili che riguardano sessualità e famiglia, piuttosto che a una, supposta, poca attenzione a tematiche economico sociali da parte della Chiesa. Senza considerare che il dibattito che da vari anni si è sviluppato su tematiche riguardanti la sessualità e la famiglia, dipende in gran parte dalla complessità e dalla novità degli argomenti che hanno richiesto i dovuti approfondimenti per illustrare la ragionevolezza della visione cristiana.Sulle tematiche economico-sociali, infatti, la morale cristiana ha una lunghissima tradizione di pensiero, che ha contribuito a illuminare e formare la coscienza cristiana fino a quando la visione cristiana è stata considerata con la dovuta attenzione. Non dobbiamo infatti scordare che a partire da circa il 16° secolo, per motivi che sarebbe troppo lungo qui illustrare, si è verificato nella società un inesorabile allontanamento dall’insegnamento cristiano e dalla verità del Vangelo, sulla base del principio che tutto ciò che era antico o cristiano era cosa da considerare con sufficienza alla luce della modernità scientifica. Un principio che non è diminuito in autorevolezza, nonostante gli autorevoli riconoscimenti al contributo cristiano alla promozione sociale da parte di chi non si è fatto condizionare, nel corso del tempo, da pregiudizi infondati. Tra i tanti vorrei ricordare in particolare Keynes e Schumpeter, tra l’altro neppure cattolici, per l’autorevolezza di cui godono ancora oggi in ambito economico. Senza dimenticare che il sistema welfaristico europeo, che continua a resistere alle imposizioni dell’approccio neoliberista, è frutto della visione cristiana che ha permeato l’Europa nel corso dei secoli.Ancora oggi continuano a essere guardati con sufficienza dall’establishment economico finanziario dominante, filoni di ricerca sorti in ambito ecclesiale, realmente validi, rispettosi della dignità di ogni uomo e di ogni ruolo, capaci di elaborare modelli che, rifiutando l’impostazione mainstream dell’individualismo metodologico, risultano altrettanto efficienti e in grado di contribuire alla crescita socio-economica della società garantendo equità e giustizia. Basti pensare alla prospettiva di «economia civile», a «economia di comunione», alla stessa Dottrina sociale della Chiesa. Dall’ottobre del 2020 è in corso un’iniziativa promossa da Papa Francesco, chiamata «Economy of Francesco», sorta proprio per combattere la palese ingiustizia economico sociale dominante che si radica nell’individualismo e nell’egoismo, che meriterebbe ben altra considerazione rispetto a quella sin qui ottenuta.Il discorso potrebbe utilmente continuare, ma dovendo concludere vorrei invitare a riflettere sul fatto che tragedie come quella della funivia oppure come quelle dei tanti incidenti sul lavoro, non solo in Italia, senza attenuare le responsabilità individuali, sono anche il frutto del clima che respiriamo, dove l’interesse economico spesso prevale sul rispetto della vita, sulle esigenze della sicurezza e del bene comune. Non a caso san Paolo nella sua prima Lettera ai Corinzi (6,9-11), ci ammonisce sulla gravità sia di alcuni comportamenti che riguardano sessualità e famiglia, come pure di quelli che riguardano l’ambito economico e sociale quando sono guidati dalla «pleonexeia», ovvero l’avidità e l’avarizia, considerati, alla stregua dei primi, peccati mortali.