Credo che ormai capiti spesso, nelle parrocchie, che a chiedere il battesimo per un bambino sia una coppia di genitori conviventi. Mi chiedo, in quel caso, cosa sia giusto fare: certo, per il bene del bambino è giusto battezzarlo, ma ai genitori non dovrebbe essere chiesto di sposarsi?Lettera firmataRisponde padre Valerio Maurio,docente di Teologia sacramentariaIl lettore si pone giustamente una domanda che, partendo dalla concretezza della vita, si interroga sulla opportunità o meno di una determinata azione pastorale. Che genitori conviventi chiedano il battesimo per i propri figli è un dato sempre più comune nelle nostre comunità. D’altra parte, appartiene alla fede vissuta della Chiesa che i battezzati sono chiamati a vivere il loro amore coniugale attraverso il sacramento del matrimonio, cammino di santificazione e donazione reciproca, vissuto nello scorrere quotidiano dei giorni. In questa frase sono inserite alcune precisazioni che sono sottintese nella questione posta, non formalmente ma di fatto. Così, per semplificare i contorni del problema, l’ipotesi sulla quale proviamo a ragionare prevede che non vi sia alcun ostacolo al matrimonio sacramentale di una coppia che chiede il battesimo per il proprio figlio.Un primo punto è certamente il bene del bambino che, per la nostra fede, è proprio il battesimo, qualora vi siano le condizioni sufficienti perché possa continuare il suo cammino di fede nella comunità ecclesiale. Di per sé la convivenza dei genitori non si presenta come un ostacolo. I genitori possono dare garanzie adeguate sul futuro del bambino, manifestando la volontà a seguirlo e accompagnarlo nel suo cammino di fede.È vero, d’altra parte, che la situazione ipotizzata offrirebbe al pastore e alla comunità alla quale la coppia si rivolge l’opportunità di una reale evangelizzazione. Mostrare il valore del santo battesimo, dei suoi doni e della trasformazione di vita che offre e richiede sono un’occasione privilegiata per annunciare i fondamenti della fede. E certamente vale la pena aiutare i genitori del bambino a interrogarsi sulla loro vita di coppia, sull’amore che li unisce e su un futuro da continuare a costruire. Tuttavia, non sembra opportuno proporre la celebrazione sacramentale del matrimonio come condizione per il battesimo del figlio. Perché sempre più siamo chiamati a vivere la fede in una logica di libertà responsabile, come risposta riconoscente verso il dono ricevuto.Questa riconoscenza matura attraverso tempi e modi legati alle storie personali, comprese quelle di coppia. Allora, l’ipotesi del lettore dovrebbe rimodularsi abbandonando la prospettiva di una richiesta fatta alla coppia, in modo più o meno pressante, per trasformarsi in un’attenzione pastorale al cammino di quella famiglia. L’attenzione non si fermerà alla celebrazione del battesimo, ma continuerà nel tempo, senza stancarsi, con l’obiettivo di far nascere nei due genitori il desiderio di consacrare il loro amore e la loro fecondità nel sacramento del matrimonio. Allora, con un’espressione tanto umana quanto teologica, sceglieranno di essere scelti nell’accoglienza reciproca, scoprendo la vocazione di partecipare come coppia all’amore di Cristo.E mi piace chiudere questa riflessione con parole di ben altro spessore, che confermano l’orizzonte sul quale siamo invitati ad agire come comunità cristiana: «Il sacramento del matrimonio non è una convenzione sociale, un rito vuoto o il mero segno esterno di un impegno. Il matrimonio è un dono per la santificazione e la salvezza degli sposi… Il matrimonio è una vocazione in quanto è una risposta alla specifica chiamata a vivere l’amore coniugale come segno imperfetto dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Pertanto, la decisione di sposarsi e formare una famiglia deve essere frutto di un discernimento vocazionale» (Francesco, Amoris laetitia, 72).