Rinuncia all’accanimento terapeutico o «eutanasia passiva», cosa dice la Chiesa
Una persona che, gravemente disabile, da molti anni completamente inferma e bisognosa di assistenza continua, al momento in cui non riesce più a respirare autonomamente (nonostante la bombola d’ossigeno) rinuncia a essere attaccata a una macchina per la ventilazione automatica. Accetta quindi di avvicinarsi alla morte naturale, chiedendo di avere cure palliative per alleviare il momento del trapasso. In questo caso si deve parlare di suicidio assistito, di eutanasia? O si tratta semplicemente di aver evitato l’accanimento terapeutico, lasciando alla natura di fare il suo corso?Lettera firmata
Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale
La lettera del nostro lettore sembrerebbe chiedere chiarimenti su temi che sono stati più volte trattati in questa rubrica, come accanimento terapeutico, suicidio assistito, eutanasia, proporzionalità delle cure. A ben guardare, però, egli non ci propone un problema di carattere generale, ma un caso particolare i cui contorni e dinamiche andrebbero meglio conosciuti per poter offrire più orientamenti operativi. Diciamo, in generale, che un paziente può interrompere un presidio medico-chirurgico quando il suo impiego risulta oltremodo gravoso o sproporzionato rispetto ai risultati attesi o ha il solo effetto di prolungare la vita in modo penoso, inchiodando il paziente alla sua malattia. Esiste anche il diritto di morire in pace.Ovviamente sono del tutto soggettive sia la percezione della sostenibilità o meno di un mezzo terapeutico e l’accettabilità o meno delle condizioni di vita che esso mantiene e prolunga. Una situazione esemplare è quella presupposta dal protocollo Sabatelli in uso presso il Policlinico Gemelli di Roma per i pazienti cui è stata diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica (Sla). Il punto d’arrivo di questa terribile patologia è la morte per soffocamento quando i muscoli respiratori cessano di espandere la gabbia toracica. Se il paziente non è prontamente sostenuto con la ventilazione artificiale, muore per soffocamento. L’andamento della patologia è, sotto questo punto di vista, prevedibile ed è possibile pianificare per tempo il tipo di intervento che il paziente preferisce: intubare e quindi tracheotomizzare oppure non intervenire e praticare la sedazione profonda per evitare l’atroce sofferenza di una morte per asfissia. In pratica si può decidere di continuare a contrastare la Sla con la ventilazione artificiale oppure di non iniziare il sostegno ventilatorio e lasciare che la morte subentri, conformemente alla storia naturale della patologia.Esaminiamo più da vicino questo secondo caso: la rinuncia alla ventilazione meccanica. Non si tratta – è chiaro – di eutanasia, ma di rinuncia a un mezzo terapeutico che il paziente giudica sproporzionato rispetto ai risultati. Non si potrebbe neppure parlare di rinuncia all’accanimento dal momento che l’accanimento – rigorosamente parlando – non ha solo la caratteristica della gravosità, ma anche quella dell’inutilità, una caratteristica che gli americani dicono «futilità». Nel caso della Sla la ventilazione artificiale consegue l’effetto di mantenere la respirazione e permette al paziente di sopravvivere per un tempo anche abbastanza lungo e, pertanto, non è inutile rispetto agli effetti che si propone, anche se può risultare un presidio troppo gravoso per un paziente e, quindi, essendo sproporzionato, può essere interrotta o non iniziata.Non ogni sospensione di interventi terapeutici configura un’eutanasia per omissione, detta anche eutanasia passiva. Non è neppure da definirsi un suicidio assistito che – secondo l’ordinanza della Corte costituzionale del 2018 conseguente alla tragica storia del DJ Fabo – consiste nell’aiuto ad assumere farmaci in dosi tali da procurare rapidamente la morte. Merita riascoltare una pagina di Samaritanus bonus dove si sottolinea che «la sospensione di ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione dei trattamenti non deve essere desistenza terapeutica. Tale precisazione si rende oggi indispensabile alla luce dei numerosi casi giudiziari che negli ultimi anni hanno condotto alla desistenza curativa – e alla morte anticipata – di pazienti in condizioni critiche, ma non terminali, a cui si è deciso di sospendere le cure di sostegno vitale, non avendo ormai essi prospettive di miglioramento della qualità della vita. Nel caso specifico dell’accanimento terapeutico, va ribadito che la rinuncia a mezzi straordinari e/ sproporzionati “non equivale al suicidio o all’eutanasia; esprime piuttosto l’accettazione della condizione umana di fronte alla morte” (Evangelium vitae, n. 65) o la scelta ponderata di evitare la messa in opera di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare. La rinuncia a tali trattamenti, che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita, può anche voler dire il rispetto della volontà del morente, espressa nelle cosiddette dichiarazioni anticipate di trattamento, escludendo però ogni atto di natura eutanasica o suicidaria» (Samaritanus bonus V, 2)Il caso descritto dal nostro lettore rientra nella tipologia della rinuncia legittima di un mezzo terapeutico? Difficile dirlo senza conoscere la persona, le circostanze, le motivazioni, le patologie in atto e la loro evoluzione. Il modo di presentare il caso fa pensare a un desiderio eutanasico, a qualcuno che, per una qualche ragione, vuole anticipare il momento della propria morte: «avvicinare la morte naturale». Una rinuncia a un mezzo efficace che sia motivata da una volontà di morte può sconfinare in un’eutanasia omissiva. L’eutanasia, infatti, si colloca a livello non solo di mezzi, ma anche di intenzioni. Però non si può neppure escludere a priori la legittimità morale della richiesta di non intraprendere la ventilazione artificiale. Nel caos ideologico creato dalla bioetica laica occorre operare un attento discernimento, aiutare il soggetto a chiarire a se stesso le sue ragioni, decodificare prudentemente le sue richieste a volte espresse impropriamente in un orizzonte eutanasico e, soprattutto, bisogna sempre garantire vicinanza, empatia, comprensione, cura.