Quello che la Bibbia dice su Mosè corrisponde alla verità storica?
Il ritorno dalla visita al museo egizio di Torino, i miei nipoti 18 e 14 anni mi hanno detto: sai nonno la guida ci ha detto che in base alle recenti scoperte archeologiche, gli Ebrei in Egitto non sarebbero stati trattati da schiavi, anzi avrebbero avuto un salario e Mosè non sarebbe esistito. Affermazioni che hanno destato sconcerto. Chiedo una risposta convincente al riguardo perché devo rassicurare i miei nipoti che ciò che si legge nel libro dell’Esodo è verità.
Alberto Torricini
La questione posta dal lettore è importante, nel senso che all’interno della sua domanda si pone quella della credibilità dei fatti narrati dalla Bibbia. Alla fine dell’Ottocento ci fu una discussione piuttosto accesa in America riguardo proprio a questo: la Bibbia dice il vero, oppure, analogamente a quanto avviene in buona parte della letteratura antica, può presentare racconti di tipo mitico? In sostanza, la discussione nacque nel momento in cui si cominciarono a usare criteri scientifici nella lettura del testo sacro, creando così il timore di uno svilimento dei contenuti che esso presenta. In estrema sintesi, si trattava di uno scontro tra un movimento detto «fondamentalista» e uno «razionalista» (o del «modernismo»). Nota è per esempio la questione sul racconto della creazione che si trova nella Genesi: si tratta di mito o invece il cosmo, la terra e l’uomo si sono davvero formati così? Sorse così un movimento «creazionista» contrapposto a uno «evoluzionista». Ancora oggi, negli USA in particolare, molti studenti devono scegliere fra insegnamenti scolastici «creazionisti» ed «evoluzionisti».
Con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha assunto totalmente il principio che è necessario usare tutti i criteri scientifici a disposizione per interpretare la Bibbia, considerando che essa, pur essendo ispirata da Dio, è comunque stata scritta da uomini vissuti in epoche diverse, con problematiche differenti e, soprattutto, con modalità e categorie culturali a volte molto lontane l’una dall’altra. La Parola di Dio non è espressa in un modo «fondamentalista», per così dire, ma deve essere interpretata correttamente anche a partire dai dati della storia, dell’archeologia, della paleografia, della filologia, della papirologia, della storia delle religioni, della critica testuale e di altre ancora.
Pertanto, per entrare nel vivo della domanda posta, va detto che la storicità della narrazione di Mosè è stata messa in discussione già da molto tempo. In effetti, le componenti delle vicende narrate soprattutto nel libro dell’Esodo restano ancor oggi controverse. Per fare un esempio: se io leggo la versione ebraica dell’Esodo vedo, soprattutto nell’ultima parte del libro, un materiale diverso, o anche disposto diversamente, rispetto a quello della sua versione greca (la famosa traduzione dei Settanta), che era avvenuta a partire dal III secolo a.C. Il testo ebraico che usiamo di solito è quello detto Masoretico, che però è di un codice medievale. La versione greca, a quale originale ebraico faceva riferimento? Quindi, a quale testo devo rivolgermi per sapere come erano davvero andate le cose? E poi, anche se trovassimo l’Originale del libro dell’Esodo, dobbiamo leggerlo come se fosse una fonte storica, ossia come un documento attestante un fatto sicuramente accaduto, e in quelle modalità? Il testo usato nella chiesa cattolica oggi tiene conto di tutte queste problematiche. Mosè probabilmente è esistito, ma è anche probabile che la sua storia si sia caricata di fatti e di simboli che oltrepassano il dato storico. Difficile comunque dare per certo che gli egiziani trattassero bene i figli di Giacobbe. Forse qualcuno sarà stato pagato, ma, proprio alla luce della storia antica, una cosa del genere, soprattutto in modo generale e per tutti, è improbabile. Verosimile che sia mitica la narrazione del bambino lasciato nel Nilo e poi trovato dalla figlia del Faraone, o anche quella dell’episodio del mar Rosso.
Tuttavia, rimane fermo il contenuto religioso del testo. Che i fatti narrati corrispondano o meno perfettamente a quanto davvero accaduto – cosa che peraltro non sapremo mai, a meno di avere una macchina del tempo- sul piano dei contenuti religiosi non cambia niente. Per il credente non deve essere importante fare un’operazione del tipo «La Bibbia aveva ragione», tentativo estremo di usare l’archeologia per dimostrare «scientificamente» che tutto quello che vi si trova scritto è avvenuto sine glossa, ma piuttosto deve essere per lui importante capire come Dio, attraverso linguaggi e culture lontane da quelle di oggi, abbia espresso un pensiero che è oggi ancora valido. Il sistema è quello, detto molto sinteticamente, di distinguere l’esegesi dall’ermeneutica, ossia di distinguere quello che doveva essere il significato del testo all’epoca in cui era stato composto, e dunque da persone con una cultura molto diversa dalla nostra, e quello, tenuto conto dell’esegesi, che il testo ci dice ancora oggi, con la nostra cultura e i nostri problemi. Infine: come faccio a spiegare tutta questa roba complicata a dei bambini o a dei ragazzi? Il criterio penso sia quello di dire sempre la verità, ovviamente con un linguaggio consono. L’importante è non contrapporre mai la scienza alla Bibbia.
Si tratta di due linguaggi diversi che non vanno confusi. La scienza serve alla religione, e la religione alla scienza, ma sono due cose differenti. Il primo mi serve per spiegare come avvengono le cose, e anche eventualmente le cause di queste cose; la Bibbia, piuttosto, mi spiega il perché (ossia: riguarda la questione del senso del vivere e del cosmo). La Bibbia, in ultima analisi, è per il credente un insieme di testi ispirati da Dio, i quali pertanto contengono una verità importante per la vita. Gli uomini che l’hanno scritta, che sono stati ispirati da Dio, rimangono uomini. Per questo è necessario distinguere il mezzo culturale dalla fonte stessa dell’ispirazione; diversamente, ci troveremmo nella situazione di non sapere cosa rispondere alle eventuali contraddizioni storico-letterarie che talvolta i testi biblici possono presentare, e dunque mettere (o far mettere) in discussione la stessa fede in Dio.
Giovanni Ibba