Produzione di armi e etica cristiana: «La corsa agli armamenti è una piaga»
Produrre o vendere armi è lecito per la Chiesa? La risposta del teologo
Vendere armi, lavorare in una fabbrica che produce armi, o investire soldi in azioni di aziende attive nella produzione di armi, è lecito per la Chiesa?
Risponde don Leonardo Salutati, docente di Teologia morale
Sono pochi i documenti del magistero cattolico che trattano in dettaglio gli aspetti morali del commercio delle armi anche se in molti discorsi dei papi vi sono passaggi che deplorano l’ampiezza di questo commercio, accusandolo di alimentare dei conflitti mortali e di stornare importanti risorse che avrebbero una più adeguata destinazione verso le necessità della salute e dell’educazione. Anche papa Francesco, che già nel settembre 2015 toccò l’argomento davanti al Congresso degli Usa, si è più volte pronunciato con decisione al riguardo.
Solo il documento pubblicato nel giugno 1994 dal Pontificio consiglio Justitia et Pax, intitolato Il commercio internazionale delle armi. Una riflessione etica, risponde alla domanda posta dal lettore in modo approfondito ed eticamente argomentato, rivelandosi ancora oggi assolutamente pertinente per il suo approccio e i criteri di discernimento offerti. Primariamente rivolto a chi è investito di responsabilità politiche o commerciali, offre indicazioni anche tutti i cittadini che si vogliono fare un’opinione su di un’attività che dovrebbe essere sempre sottoposta a un responsabile controllo politico.
Notiamo preliminarmente che il documento preferisce usare l’espressione «trasferimento» di armi piuttosto che commercio, termine che comprende anche le forniture gratuite, e ricorda che tale attività pone un problema etico specifico, poiché vi è un rapporto stretto e indissociabile tra armi, violenza, rispetto della vita umana e dei diritti umani.
Al cuore della riflessione vi è il principio di responsabilità, in base al quale nessun venditore di armi può rinunciare alla propria responsabilità morale davanti agli eventuali effetti negativi di questo commercio in termini di mantenimento della pace, di povertà della popolazione dello stato acquirente, di sicurezza nazionale e internazionale, di minaccia ai sistemi democratici.
Strettamente collegati al commercio delle armi sono i casi in cui sorge il diritto, se non addirittura il dovere, di legittima difesa, quando un complesso di ben precise condizioni, adeguatamente illustrate dal Catechismo della Chiesa Cattolica, richiedono l’utilizzo di mezzi capaci di provocare anche la morte. Per cui qualora uno stato non abbia la capacità di produrre le armi necessarie a garantire la sua legittima difesa, ha il diritto di equipaggiarsi, fornendo in tal modo l’unica legittimazione e fondamento morale al commercio delle armi.
Le dimensioni della provvista di armi non devono però oltrepassare i limiti determinati dal principio della sufficienza che, volendo opporsi «all’accumulazione eccessiva di armi o al loro trasferimento indiscriminato», precisa che «ogni Stato può possedere unicamente le armi necessarie per assicurare la propria legittima difesa». Di conseguenza l’esercizio del commercio di armi non può esimersi dalle proprie responsabilità invocando la legge del mercato della domanda e dell’offerta, ma «Ogni Stato esportatore di armi è legittimamente autorizzato – e talvolta obbligato – a rifiutare a un altro Stato le armi che gli sembrano superare i limiti imposti da questo principio».
Ovviamente un paese produttore di armi che decida di applicare il principio di sufficienza vedrebbe ridurre notevolmente la sua produzione, per questo il documento richiama la necessità di «pianificare la riconversione, la diversificazione o la ristrutturazione dell’industria militare», non ignorando che una tale operazione si presenta esigente. Tuttavia, sottolinea che tali difficoltà «per quanto reali, non possono legittimare il mantenimento di un’industria degli armamenti semplicemente in nome dei rischi legati alle ristrutturazioni o in vista della salvaguardia dei posti di lavoro». Come pure «è privo di qualsiasi fondamento morale» l’argomento spesso invocato che «se uno Stato si rifiuta di fornire armi, un altro lo farà al suo posto».
Nonostante la favorevole ricezione del documento negli ambienti militari e politici dell’epoca, soprattutto in forza del suo incentrarsi sull’etica della responsabilità, il commercio delle armi non è stato né moralizzato né posto sotto un diretto controllo politico che, se è efficace a livello di potere esecutivo, è praticamente inesistente a livello parlamentare, almeno tra i principali esportatori di armi.
Alla luce poi dell’odierna situazione mondiale, risuona quanto mai attuale l’ammonimento del Concilio Vaticano II quando, riflettendo sulla strategia della deterrenza, della dissuasione e dell’equilibrio degli armamenti, invita gli uomini a convincersi «che la corsa agli armamenti … non è una via sicura per conservare saldamente la pace … Le cause di guerra, anziché venire eliminate da tale corsa, minacciano piuttosto di aggravarsi gradatamente … È necessario pertanto ancora una volta dichiarare: la corsa agli armamenti è una delle piaghe più gravi dell’umanità e danneggia in modo intollerabile i poveri; e c’è molto da temere che, se tale corsa continuerà, produrrà un giorno tutte le stragi, delle quali va già preparando i mezzi» (Gaudium et spes n. 81).