“Prendi la croce e seguimi”. Cosa significa questo invito di Gesù?
«Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Gesù dice queste parole prima di essere condannato alla crocifissione: sapeva già di quale morte doveva morire? Oppure usa semplicemente un’immagine che doveva colpire le persone, visto che la crocifissione era una pratica frequente?Gianni Pasquinucci
Risponde don Francesco Carensi, docente di Sacra ScritturaNonostante la condanna a morte per crocifissione praticata dai romani fosse ben conosciuta in Palestina, non si può dimostrare che nel giudaismo coevo il «prendere/portare la croce» fosse già un modo di dire per esprimere le sofferenze nella vita o la prontezza ad andare verso la morte. Indubbiamente, quando l’evangelista riporta questa frase, da lui e dai suoi destinatari essa viene ricompresa alla luce della crocifissione di Gesù che era già avvenuta. Che Marco consideri tale espressione fondamentale per indicare la sequela di Gesù da parte del discepolo, lo si deduce anche dalla scena con Simone di Cirene nel racconto della passione (Mc 15,21). Assieme alle altre ingiunzioni (rinnegare sé stessi e seguirlo), con essa Gesù chiede al discepolo la disponibilità a condividere interamente il suo cammino, passando per prove e tribolazioni, fino alla morte (cfr. Mc 8,31).Gesù quando dice di prendere la croce non intende profetizzare sulla sua morte o sostenere una concezione dove il dolore e la sofferenza sono necessari per conseguire la vita eterna. La croce che è uno strumento di morte e il patibolo riservato agli schiavi e non ai cittadini romani diventa per il discepolo di ogni tempo il modo di seguire il Signore assumendo come criterio di vita non la strada del successo, ma la via del dono.Ultimo riferimento non è la ricerca egoistica di se stessi, ma uscire dalla propria autorefenzialità per condividere il cammino faticoso di ogni fratello e sorella che incontriamo ogni giorno. Portare i pesi gli uni degli altri significa alleggerire tante persone che non possono da soli sostenere certi carichi. In fondo essere cirenei che aiutano l’altro a sentire meno il peso della vita. La logica di un Dio che si fa uomo, viene ad abitare in mezzo a noi e svuota se stesso assumendo la condizione di servo facendosi obbediente fino alla morte (Filippesi 2) è la prova che la croce non è un incidente di percorso o semplicemente un fallimento umano ma la naturale conclusione di chi non ha messo come termine di riferimento il proprio prestigio o un’esigenza di auto conservazione ma ha dato tutto fino alla fine.Certamente in un mondo ingiusto il giusto non può che soccombere. Nella predicazione di Gesù emerge l’esigenza di un amore fino alla fine che poi la comunità cristiana vede adempiuto nella morte di croce e che chi scrive i vangeli ha ben presente che le parole di Gesù non sono semplicemente una predizione del futuro, ma la testimonianza di chi consegna la propria vita al Padre e ai fratelli.Al cristiano si ripresenta la tentazione di «svuotare la croce», come denuncia Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi (1,17), così come al non cristiano la croce e la sua logica appaiono disumane se non un falso tentativo di interpretazione della sofferenza. Questo da sempre. Ma oggi – in questi nostri tempi contrassegnati nel mondo occidentale dal benessere materiale, dall’abbondanza di ricchezze e di comodità, dalla ricerca di piacere a basso prezzo, dalla convinzione che tutto ciò che è tecnicamente possibile ed economicamente ottenibile è per ciò stesso lecito e auspicabile – dobbiamo constatare che la rimozione della croce è quotidianamente attestata in mille modi, a volte rozzi, a volte molto sottili, e il fondamento stesso del cristianesimo ha perso evidenza, risulta sbiadito, annebbiato. Molto spesso pensiamo di predicare un cristianesimo facile fatto di emozioni o eventi, illudendoci che sono importanti per attrarre le persone. Ma Gesù non ha mai usato parole o modalità per creare audience. Molte persone si allontanano, ritenendo il discorso duro da comprendere. Ma la vera vita che Gesù è venuto a donare chiede di essere accolta, con delle conseguenze esistenziali che sono scandalose per la mentalità mondana. Quando vediamo persone fragili a causa della sofferenza, della malattia, e tormentate dal male che assume varie forme, noi vediamo in esse il Cristo sofferente. Ed è ovvio che Dio non vuole il male, la sofferenza, la malattia. Il Signore è il Dio della vita. Ma facendosi carne abbraccia le realtà piagate dell’uomo, facendosene carico e vincendole con l’amore. Allora se ci facciamo carico dei pesi dei nostri fratelli e sorelle sofferenti con l’amore possiamo alleviare tanta persone che devono portare a volte carichi pesanti e ciò diventa la strada per vincere il male e già poter vedere anche nel buio della notte i segni di un’alba nuova che è annuncio di risurrezione che in quel mattino di Pasqua ha cambiato la storia.