Leggendo i quattro vangeli, ho notato che le informazioni sulla nascita di Gesù sono piuttosto essenziali. Mi piacerebbe spiegare a mia figlia, con cui abbiamo fatto il presepe, da dove vengono la grotta, i personaggi e tutti gli animali, distinguendo quello che conosciamo come realtà storica dagli elementi simbolici. Ho sentito che molte cose vengono dai vangeli apocrifi, o da tradizioni successive. Potete dirmi qualcosa di più?Daniela MariniRisponde don Filippo Belli, docente di Sacra ScritturaLa nascita del presepe la conosciamo bene. San Francesco, di ritorno dal suo viaggio in Oriente durante il quale aveva visitato anche i luoghi santi in Palestina, ebbe l’idea di realizzare una «messa in scena» delle parole del Santo Evangelo riguardo la nascita di Gesù, in modo da potervisi immedesimare vivamente. Da allora si è diffusa la pratica di realizzare in vari modi la scena della natività nelle chiese, nelle case e in tanti altri luoghi pubblici. Venendo alla domanda posta vorrei innanzitutto fare alcune considerazioni. 1. Quando parliamo di realtà storica non possiamo intenderla secondo i canoni attuali di accertamento dei fatti. Non c’erano telecamere o microfoni a Betlemme quella notte. Dobbiamo fidarci dei racconti dei vangeli con il presupposto ragionevole che ci dicano la verità storica di ciò che è accaduto. Del resto li leggiamo per questo motivo. 2. Quando parliamo di simbolo non possiamo intendere qualcosa che non sia reale, ma piuttosto di una modalità di dire certe cose che altrimenti non sarebbero esprimibili, ovvero la profondità dei fatti. La sete è simbolo del desiderio, per cui possiamo dire che l’anima ha sete di Dio, ma l’anima non beve Dio, ma parlare di sete di Dio coglie una profondità della nostra esperienza reale, di un fatto reale, ovvero che desideriamo Dio. Così il bambino Gesù è reale, ma anche simbolico, giacché ci dice la grande condiscendenza di Dio nel piegarsi in tal modo sulla nostra piccolezza. 3. I Vangeli apocrifi sono una serie di scritti successivi ai Vangeli che tentano di riempire i vuoti di dettagli dei vangeli canonici, immaginando, riportando antiche tradizioni e interpretando i dati. Non sono sicuramente affidabili dal punto di vista storico come lo possono essere i vangeli canonici, e di fatto non aggiungono molto a essi, se non curiosità e particolari che a volte sono rimasti nella tradizione popolare e artistica.La cosa straordinaria è che il racconto del Vangelo di Luca della nascita di Gesù offre molti più dettagli di quello che a prima vista possiamo immaginare. Il primo elemento con cui si realizza un presepe è la grotta o la stalla. Il vangelo, in effetti, non ce ne parla, ma ci offre alcuni indizi che hanno favorito la rappresentazione classica. Uno in particolare. Per tre volte l’evangelista Luca narra che il bambino si trova adagiato in una mangiatoia, in greco phatne, in latino praesepium (Lc 2,7.12.16). Il dettaglio così ripetuto non deve essere un dettaglio casuale. Luca ha ricevuto dalla tradizione che ha utilizzato per scrivere il suo evangelo tale preciso dettaglio della prima «dimora» del Figlio di Dio: una mangiatoia. Ora, dalla mangiatoia al suo uso per gli animali e quindi alla stalla, il passo di immaginazione è facile da fare. Quindi un primo elemento classico di alcuni presepi, ovvero la stalla, con il fieno e la paglia, in cui è posto il bambino Gesù, ha una sua pertinenza col racconto evangelico. Ma spesso compare nei presepi anche la grotta. Anche qui il testo del vangelo ci viene in aiuto. Il testo di Luca ci trasmette un altro famoso dettaglio sulla nascita di Gesù a Betlemme: «Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7). Il fatto che Gesù sia posto nella mangiatoia è giustificato dall’indisponibilità per la piccola famiglia dell’«alloggio». Di cosa si tratta esattamente? La parola greca che ora è tradotta con «alloggio» è katalyma. In greco il termine ha il significato di luogo di sosta, alloggio, albergo, dimora. Diciamo che di per sé il termine non ha una connotazione unica, dipende dai contesti. Ma l’idea generale è di un luogo di dimora provvisorio, di passaggio. Potrebbe essere un albergo, un caravanserraglio, come anche la stanza degli ospiti di una casa. Ma il testo di Luca ci fa capire che la questione non è tanto, come spesso si è pensato, che Maria e Giuseppe non abbiano trovato alloggio presso un albergo e quindi si sono diretti in altro luogo (vuoi una grotta o una stalla abbandonata). Il racconto non da l’idea di due luoghi distinti, ma di un unico luogo (una casa) nel quale non c’era posto dove solitamente si accoglievano gli ospiti, per la qual cosa hanno trovato posto dove stavano gli animali. Ora, il villaggio di Betlemme, come l’archeologia ci ha mostrato, era costituito per una buona parte da grotte sul fianco della montagna, che sistemate e chiuse con eventuali opere murarie fungevano da abitazioni. Tali grotte e anfratti nella roccia usate come dimore, avevano all’interno uno spazio dove stavano le poche bestie domestiche, che in inverno offrivano il vantaggio di scaldare l’ambiente. Così si può immaginare che la Sacra Famiglia sia stata accolta da una famiglia nell’angolo adibito alle bestie, dove c’era la mangiatoia. La grotta poi è elemento classico del presepe anche perché la tradizione ininterrotta ha individuato il luogo della nascita di Gesù proprio in una grotta che ancora oggi si venera a Betlemme.Il bue e l’asino, sempre presenti nei presepi, anch’essi non sono un’invenzione amena e decorativa, ma costituiscono un elemento che fin dagli inizi della tradizione natalizia sono stati rappresentati. Infatti, la fede cristiana ha collegato il racconto di Luca con un testo di Isaia che dice: «il bue conosce il suo proprietario e l’asino la mangiatoia del suo padrone, mentre Israele non conosce, il mio popolo non comprende» (Is 1,3). Persino il bue e l’asino – dice il Signore attraverso il profeta – sanno riconoscere a chi appartengono, mentre il popolo ostinato e ribelle non riesce. Il collegamento del testo di Isaia con il Vangelo è, ancora, attraverso la parola «mangiatoia» (phatne). È stato facile per il primi cristiani che cercavano di comprendere il Vangelo chiedersi: perché una mangiatoia? C’erano animali? Che significato ha la mangiatoia? Così hanno trovato questo testo di Isaia in cui si cita una mangiatoia e hanno pensato che la parola di Isaia potesse illuminare il mistero della nascita di Gesù. Quindi il bue e l’asino, pur non essendo presenti nel racconto evangelico, ci stanno proprio bene nel presepe. Essi indicano a tutti l’atteggiamento adeguato di fronte al mistero che viene manifestato nella grotta di Betlemme: chi è quel bambino che i pastori ammirano, che i Magi adorano, che Giuseppe e Maria custodiscono e contemplano con ineffabile tenerezza? È il Signore, Colui a cui tutto appartiene, e la creazione stessa (raffigurata dal bue e dall’asino) lo riconosce come tale. Questi bravi animali sanno a chi appartengono, come profetizza Isaia. Così ognuno di noi, può riconoscere in quel Bambino adagiato in una mangiatoia, chi è il suo Signore, Colui al quale appartiene. Per quello che riguarda i pastori, poi, il testo di Luca è esplicito: C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge… Non c’è bisogno quindi di giustificare troppo la loro bella e variopinta presenza nei presepi.Per concludere, i nostri presepi così vari e fantasiosi, hanno molti elementi di decoro, di immedesimazione, di ambientazione che sono il frutto della creatività, cultura e arte di chi li realizza. Ma ci sono alcuni elementi essenziali, e in genere sempre presenti, che hanno un buon fondamento nei racconti dei vangeli. Così il dato evangelico e la fantasia umana concorrono a realizzare quella immedesimazione necessaria al Mistero di Dio, il quale si è fatto carne proprio perché attraverso un’esperienza umana noi potessimo più facilmente accoglierlo.