Perché San Paolo scrive che la donna deve essere «in piena sottomissione»?
In una lettera di Paolo di Tarso a Timoteo si legge: «La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre». Come si giustifica questa scarsa considerazione di San Paolo, che considero grandissimo, verso la donna?
Gian Gabriele Benedetti
Il testo in questione è tratto dalla prima lettera a Timoteo. È certo che brani di questo genere scandalizzino un po’ la nostra sensibilità attuale. Nessuno si permetterebbe di pronunciare simili parole, soprattutto in pubblico e apoditticamente.
Ora, occorre perlomeno precisare alcune cose del contesto in cui queste parole furono scritte, capirne il significato, ma anche cercare di comprendere se esse hanno ancora un valore oggi e quale.
Quattro considerazioni su questo testo mi sembrano importanti.
La prima è che praticamente tutta la prima lettera a Timoteo è, direi, una messa in guardia da abusi, deviazioni, confusioni che possono minare la vita della Chiesa. Paolo stesso indica lo scopo dello scritto: «voglio che tu sappia come comportarti nella Casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente» (1Tm 3,14-15). Non deve sorprendere allora di ritrovare in numerosi punti della lettera richiami, ammonizioni e correzioni. Fa parte del ministero apostolico, come succede anche oggi. Evidentemente sul punto in questione c’era qualche problema, diciamo dei rischi di abuso. È proprio in forza della novità cristiana, la quale aveva introdotto una sostanziale uguaglianza (non c’è Giudeo né Greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma tutti siete Uno in Cristo Gesù Gal 3,28) che potevano accadere fatti spiacevoli, soprusi, protagonismi, come molti punti delle lettere paoline ci testimoniano.
La seconda considerazione è che se è vero che Paolo ha qualcosa da dire sul comportamento delle donne in assemblea, è vero anche che lo stesso fa per gli uomini richiamandoli a una preghiera che sia sincera: voglio dunque che in ogni luogo gli uomini (leggi i maschi) preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche (1Tm 2,8). Ce n’è dunque anche per loro. Ma la stessa cosa vale per ogni categoria di persona: vescovo, presbitero, diacono, schiavo, insegnanti, ecc. ai quali Paolo rivolge severi ammonimenti.
La terza considerazione parte da una constatazione: nella stessa lettera ci sono due accenni al un ruolo positivo e costruttivo della donna nella vita della Chiesa. In 3,11 Paolo sembra alludere alla possibilità di un ministero diaconale anche femminile (la cosa a dire il vero è molto discussa, ma non si può escludere) e in 5,3ss anche le vedove sono ritenute una risorsa per la Chiesa, qualora non deviino dal loro status. Nonostante la durezza del linguaggio, non si può dire allora che Paolo abbia una visione totalmente e assolutamente negativa della donna. Tanto più se teniamo in conto tutto l’epistolario paolino e non soltanto la nostra lettera.
Infine, è da ricordare che Paolo scrive in un contesto culturale certamente diverso dal nostro, nel quale la donna era vista in modo sicuramente diverso da come oggi la consideriamo e che l’idea della sua sottomissione all’uomo era l’idea fondamentale (è arrivata fino ai giorni nostri comunque!). In questo caso Paolo, come anche in altri – vedi gli schiavi – non fa rivoluzioni, ben cosciente che la vera rivoluzione avviene con il cambiamento del cuore e non con cambiamenti strutturali immediati (che invece seguiranno nel tempo grazie anche al cristianesimo). È da considerare per esempio che in ambito giudaico era impensabile (e lo è tutt’ora in gran parte dell’ebraismo) che una donna partecipi attivamente e ministerialmente alla liturgia sinagogale. Anche le motivazioni teologiche addotte, la primazia creaturale dell’uomo sulla donna e la fragilità della prima donna alle lusinghe del peccato sono tipicamente giudaiche e alle queste Paolo si attiene da buon giudeo.
Detto tutto questo, abbiamo cercato di «giustificare» Paolo e le sue affermazioni nel loro contesto.
Ma dobbiamo domandarci se queste parole abbiano ancora un valore per noi oggi e quale, o se non dobbiamo invece tralasciarle come retaggi culturali ormai sorpassati. Ma quest’ultima soluzione significherebbe non lasciare che la Parola di Dio illumini il nostro cammino e decidere da noi stessi quello che vale in essa e quello che si può abbandonare. Essa però non sarebbe più, secondo l’espressione della lettera agli Ebrei, viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e del corpo, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12)
Mi permetto quindi tre brevi riflessioni.
La prima, forse molto utile oggi in un contesto in cui si vuole a tutti i costi eliminare la differenza sessuata tra maschio e femmina, consiste nel fatto che è nella struttura stessa delle cose che l’uomo e la donna siano diversi. La differenza sessuale non è un mero dato fisiologico e funzionale, ma stabilisce anche caratteristiche diverse come temperamento fondamentale, come attitudini generali, e quindi anche come ruolo nell’economia globale della vita, soprattutto familiare e sociale, ma anche ecclesiale. Non a caso la Chiesa cattolica si rifiuta di cedere a istanze egualitarie che non rispettino, per il bene della donna stessa, tale differenza. Le parole di Paolo richiamando ciascuno dei due sessi ai loro fondamentali difetti e derive possibili (l’ira e la vis polemica per gli uomini e la chiacchiera, la vanità e la volontà di riscatto per la donna) non fanno che avvertire tutti noi ancora oggi di questo dato fondamentale che, se vissuto bene, assicura un ordine e una pacifica convivenza.
In secondo luogo, per entrare nel vivo, gli ammonimenti di Paolo sono buoni in sé, tenendo conto delle possibili derive e abusi che un comportamento smodato possono ingenerare. Senza generalizzare e assolutizzare, non è tanto raro trovare nelle nostre comunità cristiane combriccole di donne che soprattutto con chiacchiere, pettegolezzi, pretese, minano la serenità della vita comunitaria. Quindi le parole di Paolo in questi casi valgono ancora, eccome!
Infine la finale di questo brano mi sembra sia un bell’elogio a ciò che è più proprio alla donna, e cioè la maternità, con la quale essa esprime al meglio la sua precipua condizione femminile. Se è vero che tutti siamo peccatori, Paolo vede nella maternità, nella cura e educazione dei figli la possibilità concreta per ogni donna di riscattare a pieno se stessa, di nobilitare la propria vita davanti a Dio e agli uomini vivendo ciò che è più importante vivere: le virtù teologali e la santità e sapienza, ma non in astratto, ma nella concreta maternità. Quanto abbiamo oggi bisogno di donne che facciano figli, e che li educhino nella fede, nella carità e santificazione. Che queste parole di Paolo ci siano di aiuto e sprone a favorire questa grande opera della vita che è la maternità.
don Filippo Belli