Innanzitutto vorrei farvi i complimenti per la rubrica “Risponde il teologo”. È veramente interessante e fonte di molte riflessioni.Vorrei poi porre anch’io una domanda. Premetto che ho letto gran parte delle «risposte»” presenti nella rubrica, e anche il libro di Athos Turchi «I dubbi della fede». Purtroppo però, non sono stato capace di trovare la risposta che cerco.La domanda riguarda la preghiera, e particolarmente la preghiera per gli altri. Se da un lato, posso forse arrivare a comprendere/accettare il significato della preghiera come relazione personale con Dio, mi è molto più difficile capire il significato e l’efficacia della preghiera a favore di altre persone (per la loro salute, felicità, redenzione…). Nel fondo, sembra equivalente a chiedere che la realtà sia diversa da quello che è. Detto con altre parole: posso forse (con fatica…) comprendere che il mio pregare possa «cambiare» me, ma come può «cambiare» gli altri (o la realtà che ci circonda o il futuro)?Marco
Risponde padre Athos Turchi, docente di filosofia
Sostenere che non ha senso o non ha valore la preghiera per gli altri è come abbuiare mezza Bibbia, dove la supplica per gli altri, per qualsiasi ragione, domina incontrastata. Si pensi alla forza della preghiera di Abramo per gli abitanti di Sodoma (Gn 18,23), alla preghiera di Mosè (Es 32,11) per il popolo tutto di Israele quando questi rinnegò Dio stesso. Per non parlare delle preghiere di Gesù, praticamente tutte in favore degli altri fino alla croce: «Padre non imputar loro questo peccato: non sanno quello che fanno» (Lc 23,34).Ma il lettore ne chiede la ragione: perché? Se, come pensano i buddisti e gli induisti, ogni ente e quindi ogni uomo ha senso solo in relazione al «Dio» e non vi sono relazioni trasversali e orizzontali tra le cose, se non accidentali, allora la sua domanda avrebbe un fondamento, in quanto nessuno potrebbe far niente per l’altro, dato che il rapporto vitale di ogni persona è solo verticale col «Dio». Perciò se ogni persona umana non avesse nessun rapporto con le altre e ogni individuo umano fosse un’isola o un atomo o una monade irrelazionata col diverso è chiaro che la preghiera per gli altri non avrebbe senso, e a questo punto non saprei se lo abbia anche per se stessi, come giustamente dubita il lettore.L’essere umano, l’umanità per contrario è una comunità dove la vita si realizza comunitariamente e perciò siamo responsabili gli uni degli altri. Di più. L’umanità è come un corpo dove ogni membro, cioè ogni uomo, vive grazie alla vita e alla collaborazione delle altre membra. Giorni fa, per esempio, mi sono fatto male all’alluce del piede: subito gli occhi hanno individuato il male, la mente era concentrata sul dolore, le mani hanno cominciato a curarlo e gli orecchi ascoltavano i consigli per il migliore dei medicamenti. Così gli uomini «dovrebbero» interagire tra loro prendendosi cura gli uni degli altri, come dice Dio a Caino: dov’è tuo fratello? Però il male originale non sempre ci permette di comprendere questo assunto fondamentale della vita umana.Ma la ragione più profonda sta nel fatto che «la natura umana» è unica ed è concretizzata dalle persone maschili e femminili nei loro rapporti d’amore. L’essere umano è unico. Esso è un plesso, una struttura binaria di uomo e di donna che sono i due cooprincipi che costituiscono l’unica natura umana che quindi si realizza nell’estensione dei rapporti tra le persone quando si amano correlativamente. Infatti è la relazione d’amore tra le persone che è ragione della loro comunione e unità, dato che l’amore non è un «affettucolo» ma è la stessa vita sostanziale delle persone umane. Così c’è un solo «essere umano»: l’amore tra uomo e donna. E questo amore si ripresenta in ogni matrimonio, in ogni società, in ogni amicizia, in ogni popolo, in ogni luogo dove uomini e donne si correlano tra loro secondo la legge e le norme dell’amore. È vero che il peccato d’origine ha devastato questo connubio che Dio aveva creato, ma non è persa l’essenza. Per questo ci si ama e ci si amerà sempre: perché l’amore è la vita ed è la sorgente e il luogo dove gli uomini, o meglio uomini e donne sono se stessi, ritrovano la loro pienezza, perfezione, libertà, valore e significatività.La preghiera per gli altri: parenti, amici, nemici, sconosciuti… è chiedere a Dio il bene di tutte quelle membra che sono le nostre stesse membra, anzi direi di più, che sono i nostri «amati e amanti». Pregare per gli altri è fare il nostro bene perché il bene altrui è vitalità che si riversa nei nostri cuori. La preghiera di Gesù per Pietro che stava per essere «vagliato» da Satana («io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede», Lc 22,31) non è solo per il bene di Pietro, ma anche per l’opera di Cristo, per la sua Chiesa, per i suoi fedeli, che avevano bisogno della pietra angolare inattaccabile da Satana. Anche il mistero stesso dell’Incarnazione ripresenta sotto forma ontologica la preghiera vocale per gli altri: il Figlio che è Dio, e quindi (si noti) di natura divina, non ritenne ciò un privilegio da non condividere con nessuno (come capita ai re di questo mondo, che non vogliono mischiarsi coi plebei), ma – Lui che era Dio – si fece uomo, assunse nella divinità l’umanità e la divinità volentieri si umiliò compromettendosi coll’umanità: questa è la madre di tutte le preghiere. La mamma la prima cosa che fa abbraccia il figlio, ma quando non può fare questo gesto d’amore, prega perché Dio lo faccia per lei. La preghiera per gli altri, dunque, sostituisce un abbraccio d’amore doveroso, ma non sempre possibile.