Perché Natale è il 25 dicembre?
I Vangeli non danno, mi sembra, nessuna indicazione precisa sulla data della nascita di Gesù.
Come è stata stabilita la data del 25 dicembre?
La prima comunità cristiana ha come unica festa il ricordo settimanale della Pasqua di Gesù: nel primo giorno della settimana, il giorno del Signore (cf Ap 1,10), l’eucaristia celebra il mistero della salvezza. Legato al mistero della morte e risurrezione di Gesù e provocato dalle persecuzioni nasce per primo e si diffonde in culto dei martiri. Dall’Oriente fino a Roma, passando per l’Africa, questi testimoni della fede sono ricordati nel giorno anniversario della loro nascita al cielo, il dies natalis. In un secondo momento la domenica dà origine al ricordo annuale della Pasqua, dalla quale derivano i periodi a lei collegati: l’ottava e il tempo pasquale fino a Pentecoste, la settimana santa e la preparazione quaresimale che la precede. Questa liturgia complessa trova forma nel IV secolo, quando il cristianesimo entra nel tessuto sociale dell’impero romano, prima come religione lecita, poi come religione di stato. È il tempo del primo grande dibattito teologico sulla figura di Gesù Cristo, che porterà alle definizioni del concilio di Nicea e di Costantinopoli. Troviamo in questo periodo le prime testimonianze sulla festa di Natale. La ricerca storica è concorde nell’attestarne la presenza contemporanea in Oriente e in Occidente, sia pure con date e contenuti diversi. Sulle origini, invece, abbiamo solo alcune ipotesi che vedremo dopo.
La prima testimonianza della celebrazione di una festa di Natale a Roma la troviamo nel cosiddetto Cronografo del 354. Si tratta di un lussuoso almanacco illustrato, composto per un ricco cristiano. Accanto a varie informazioni che riguardano lo svolgimento della vita civile, sono riportate due liste di anniversari per la vita ecclesiale. La prima enumera i vescovi di Roma non martiri e risulta essere stata redatta nel 336, con successivi aggiornamenti. La seconda ricorda i martiri, di cui si faceva memoria nella chiesa romana, indicando la data della «nascita» al cielo e il luogo della sepoltura. In cima a questa lista troviamo: «Nell’ottavo giorno prima delle Calende di Gennaio è nato Cristo in Bethleem di Giudea». Poiché nell’uso latino si contano il primo e l’ultimo elemento di una serie l’ottavo giorno prima del 1° gennaio corrisponde proprio al 25 dicembre.
Come mai la chiesa di Roma abbia deciso di festeggirare la natività di Gesù il 25 dicembre non è certo: possiamo fare solo alcune ipotesi. Per la prima, esiste una tradizione antica che collega il giorno della nascita di Gesù con l’ipotetico giorno del suo concepimento che corrisponderebbe al giorno della sua morte (il 25 marzo). Ma si tratta di calcoli senza alcun sostegno storico, che appartengono a considerazioni simboliche, probabilmente portate avanti una volta che la data era già stata fissata.
L’ipotesi più accreditata fa riferimento alla festa pagana del «Sole vittorioso», a cui l’imperatore Aureliano aveva dedicato un tempio il 25 dicembre del 274. Si trattava di un culto venuto dall’oriente, ricordato nella data di allora del solstizio d’inverno, quando la luce solare cominciava a farsi più viva (Natalis Solis Invicti). Questa «eliolatria» (adorazione del sole) aveva trovato un grande favore popolare e l’autorità imperiale ne sfruttava il culto, piegandolo alla devozione verso l’imperatore (la parola natalis indicava anche i giorni della sua apoteosi, con l’assunzione della porpora).
Un collegamento tra festa pagana e culto imperiale lo troviamo anche in oriente, dove si celebrava il solstizio d’inverno il 6 gennaio, sotto l’idea di manifestazione (epiphania) del sole. Epifania era anche l’apparizione del dio in favore degli uomini come pure la salita al trono del re o la sua entrata trionfale in una città. Nei territori dell’impero, dunque, abbiamo una festa largamente diffusa, legata al culto pagano del sole che trionfa, e sfruttata dal potere imperiale; la distinzione dei giorni, tra 25 dicembre in occidente e 6 gennaio in oriente, dipendeva dalle date diverse in cui l’astronomia dell’epoca collocava il solstizio d’inverno.
Di fronte a questa realtà, la Chiesa in espansione scelse di «cristianizzare» il sentimento religioso diffuso. Vi era il sostegno di alcuni passi biblici, già interpretati in senso cristologico come la profezia sul «sole di giustizia [che] sorgerà con raggi benefici» (Mal 3,20) o il salmo 18,6 («Là pose una tenda per il sole che esce come sposo dalla stanza nuziale»), insieme alla teologia giovannea su Gesù luce del mondo (Gv 1,9; 8,12). Abbiamo già un’immagine del «Cristo-sole» sul suo carro trionfale, che risale alla metà del III secolo, in un mosaico cristiano del mausoleo della gens Giulia nel cimitero del Vaticano. Di fronte al diffuso culto pagano, la Chiesa propose ai fedeli l’adorazione del vero Sole, il Signore Gesù, nel giorno della sua nascita al mondo. L’operazione trovò l’appoggio dell’imperatore Costantino per ovvi motivi politici.
La festa dell’Epifania nasce in Oriente sulla stessa falsariga, ma con date e contenuto diverso. In Egitto e in Arabia il 6 gennaio era consacrato alla festa del solstizio d’inverno. Il primo tentativo di cristianizzazione è opera di una setta cristiana gnostica del II secolo, come dice Clemente alessandrino: «Gli adepti di Basilide festeggiano anche il giorno del battesimo del Signore Secondo loro, questo fu l’anno 15 di Tiberio» il 10 o 6 gennaio. Per questa eresia gnostica il battesimo di Gesù corrispondeva alla sua nascita come salvatore perché solo allora lo Spirito di Dio avrebbe riempito l’uomo Gesù di Nazareth. Nella fede ortodossa, il 6 gennaio diventa la festa della nascita di Gesù, comprendendo l’adorazione dei pastori e dei magi, per la chiesa di Gerusalemme; in Egitto è unita al battesimo nel Giordano; altrove unisce natività, adorazione dei magi e nozze di Cana. I liturgisti discutono sul processo che ha portato alla sintesi di queste memorie: per alcuni si tratta della fusione di tradizioni precedenti, per altri di una festa concepita fin dall’inizio in modo tale da riunire le prime fasi dell’opera di redenzione.
L’ipotesi della sostituzione al culto pagano del sole è sostenuta dalla maggior parte degli storici della liturgia, ma non possiamo dimenticare lo stimolo offerto dalle prime affermazioni dogmatiche di Nicea (321). La fede nella divinità dell’uomo Gesù di Nazareth trovò un particolare sostegno in una festa che faceva memoria della sua nascita o manifestazione nella carne. Dalla metà del IV secolo le due forme di memoria sono oggetto di scambio reciproco fra le tradizioni liturgiche. A Roma l’Epifania del 6 gennaio mantiene il suo significato di «manifestazione» attraverso l’episodio dell’adorazione dei magi. Il Natale romano è accolto come “natività” nelle chiese di Siria, Egitto e Palestina. In ogni tradizione, pur ricordati con date diverse, Natale ed Epifania vogliono ricordare il medesimo mistero: la nascita nella carne del Figlio di Dio e la sua manifestazione al mondo. La Chiesa bizantina prega così ai vespri della vigilia di Natale: «Ogni creatura da Te uscita, o Signore, ti dà il suo omaggio di gratitudine: gli angeli il canto; i cieli la stella; i magi i doni; i pastori l’ammirazione: la terra la grotta; il deserto il presepio; e noi una vergine Madre». La liturgia latina unisce le manifestazioni di Gesù: ai magi, cioè a tutti i popoli; nel battesimo, cioè come Figlio amato dal Padre; alle nozze di Cana, cioè della sua gloria. Così canta l’antifona al cantico delle lodi: «Oggi la Chiesa, lavata dalla colpa nel fiume Giordano, si unisce a Cristo, suo Sposo, accorrono i magi con doni alle nozze regali e l’acqua cambiata in vino rallegra la mensa, alleluja».
La celebrazione del mistero della natività e manifestazione di Gesù ci introduce nelle primizie della Pasqua di Gesù, quel mistero pasquale centro dell’anno liturgico e dal quale nasce ogni ricorrenza festiva della Chiesa. Dalla liturgia siamo condotti davanti all’inizio della nostra salvezza che troverà compimento in paradiso, come dice un responsorio di Natale: Hodie illuxit dies redemptionis novae, praeparationis antiquae, felicitatis aeternae, «Risplende per noi il giorno di una nuova redenzione, giorno preparato da secoli, gioia senza fine».