Perché l’ira è considerata un peccato se anche Gesù si arrabbia?
So che l’ira è un peccato, e che non ci si deve arrabbiare. Però nel Vangelo leggiamo che Gesù scacciò i mercanti dal tempio rovesciando i tavoli. In alcune occasioni quindi anche l’ira può essere giustificata?
Lettera firmata
Il racconto cui si riferisce la lettrice si trova in tutti e quattro i Vangeli. In Giovanni l’episodio viene collocato all’inizio dell’attività pubblica di Gesù, in occasione di una festa di Pasqua. Gesù «fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto [nel Salmo 69,10]: “Lo zelo per la tua casa mi divorerà” (Gv 2,15-17). È allora ai Giudei chiedono a Gesù: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?» (Gv 2,18)», questi risponde con un’affermazione inaudita: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». È l’occasione per evidenziare l’incomprensione dei Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
L’evangelista spiega ai suoi lettori che Gesù non si riferiva l tempio erodiano «ma parlava del tempio del suo corpo». E conclude: «Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù».
Lo stesso Vangelo di Giovanni interpreta questo episodio come un segno, tanto che «mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome». E si aggiunge che «Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo» (Gv 2,19-25).
Nei primi tre Vangeli, i Vangeli Sinottici, l’episodio del tempio è invece collocato al tempo ministero di Gesù in Gerusalemme nei giorni avanti la sua passione: «entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano e quelli che compravano nel tempio; rovesciò i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe e non permetteva che si trasportassero cose attraverso il tempio. E insegnava loro dicendo: «Non sta forse scritto: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni? Voi invece ne avete fatto un covo di ladri». Così in Marco 11,15-17 e nei racconti paralleli di Matteo e Luca.
L’evangelista registra che «lo udirono i capi dei sacerdoti e gli scribi e cercavano il modo di farlo morire»: una delle molte situazioni in cui questo accade nel Vangelo. E aggiunge: «avevano paura di lui, perché tutta la folla era stupita del suo insegnamento» (Mc 11,18).
Quindi non dobbiamo vedere nel gesto di Gesù un’azione provocata dalla rabbia, né tanto meno dall’ira – nell’Antico Testamento anzi, Dio è descritto come colui che è «lento all’ira»! – , ma il gesto del profeta inviato dal Signore per ristabilire la sacralità del luogo dove Dio ha posto la sua dimora: «mi divora lo zelo per la tua casa, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me (Salmo 69,10). Quindi una vera e propria “gelosia” di Gesù per la casa del Signore, nei confronti di chi si è approfittato del luogo per farne un covo di ladri: d’altra parte, è ancora il Vangelo di Giovanni a dirlo, verrà «l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre» (Gv 4,21).
Anche Marco, Matteo e Luca, richiamando dal canto loro le parole del profeta Isaia, aprono ad una dimensione universale per il luogo in cui ci si trovava, il monte di Dio e il tempio: «Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli» (Is 56,6-7).
Stefano Tarocchi