Perché la Chiesa non accetta la teoria del «ritorno alle origini»?
La teoria di Origene sull’«apocatastasi», cioè il ristabilimento finale di tutta la creazione in uno stato di perfetta beatitudine, mi convince. Alla fine del mondo penso che non potranno esserci due regni: quello di Dio e quello del Male. Tutto dovrà riconciliarsi con l’Amore. Perchè la Chiesa, fin dal Concilio di Costantinopoli del 553, rifiuta questa teoria dichiarandola eretica? Può darsi che i Vangeli abbiano bisogno di uno sviluppo nell’interpretazione? Come l’Antico Testamento si è reso più esplicito con il Nuovo, così il Nuovo Testamento potrebbe aver bisogno di una esegesi più approfondita.
Grazie per la vostra competenza nelle risposte.
Piergiorgio Castellucci
Come di tradizione, su ciò che non si conosce direttamente, possiamo rispondere solo per negativo, ossia cercando di eliminare le contraddizioni. Così anche in questa domanda non possiamo far altro che una teologia per negativo. La Chiesa nel suo magistero segue spessissimo questa via, e si muove, più che per definizioni positive, per eliminazione di quanto ritiene essere incompatibile colla diretta rivelazione.
Che l’Antico Testamento possa essere diventato più esplicito col Nuovo Testamento siamo d’accordo, perché i Vangeli e gli altri scritti del Nuovo Testamento sono sempre all’interno della Rivelazione. Ma questa si è fermata coll’ultimo degli Apostoli, in quanto tutto quello che Dio aveva da dire, lo ha detto, e perciò i Vangeli non possono essere ampliati con altre rivelazioni, possono solo essere approfonditi nei loro contenuti.
Venendo al tema del lettore, la «apocatastasi», che significa «reinizio», sarebbe detta in termini attuali una forma di reset totale del mondo, un ritorno allo stato originario. Ora questo «ritorno all’inizio» a quale stato originario si riferisce? A quando Dio era uno e unico? A quando ha creato gli spiriti? A quando ha creato i corpi? A quando ha creato gli uomini…? Di per sé il vero stato originario sarebbe il ritorno al Dio uno e unico, e dunque quanto Dio ha creato sarebbe stato un diversivo, e noi e il mondo torniamo al nulla assoluto solo perché Dio non sapeva come passare il tempo? Assurdo. Dunque «inizio» non lo è tanto come tale, ma significa già qualcosa di dato al quale noi ci rifacciamo come inizio. Ovviamente il nostro sarebbe molto tardivo rispetto sia agli spiriti, sia alla materia in generale che sembra essere ben prima dell’uomo.
E allora «inizio» significa solo da Adamo ed Eva in poi? Non è proprio l’«inizio», ma possiamo parlarne. Dio potrebbe, come pensa il lettore, riportarci a un punto nel quale siamo tutti in comunione con lui, come prima del peccato, e lasciando il demonio in balia del suo egno di Male. O addirittura potrebbe anche salvare il demonio, e farlo ritornare «Lucifero», il portatore di luce. Dio insomma potrebbe fare quello che vuole e nessuno glielo nega. Il problema sta dalla parte opposta: che senso ha che Dio abbia creato un mondo, come il nostro, per poi annullarlo, ossia svalorizzare e squalificare gli aspetti più importanti dell’uomo, come la libertà, la autodeterminazione esistenziale, la conoscenza, il pensiero, la volontà, nonché la storia umana? Di più: che senso potrebbe avere l’incarnazione, la morte e la resurrezione del suo Figlio, il Cristo, se poi alla fine buoni e cattivi risono insieme allo stesso modo?
Già Qoelet diceva che se dopo morte non c’è niente, un uomo non vale più di un cane, e Dio si sarebbe incarnato per questo niente? È su queste cose che la Chiesa batte, infatti se tutti alla fine risiamo nel Bene Divino, è annullato totalmente il valore dell’opera di Cristo, dei Vangeli e del cristianesimo e di ogni religione. L’eresia di quella teoria è nella minaccia che sta nell’annullamento della medesima opera salvifica da Dio stesso attuata.
È da qui che possiamo capire meglio la posizione della Chiesa che rifiuta quella teoria. Si consideri che l’uomo a immagine di Dio è libero di autodeterminarsi, allo stesso modo del demonio, e Dio rispetta eternamente questa decisione. Non esiste e non potrà mai esistere, poi, un «regno del male» o inferno, perché quello che così lo si dice non sono località verso le quali approda l’anima cattiva, ma l’inferno è uno stato dell’anima dovuto a una sua scelta. Come quando uno decide di farsi assassino: non c’è nel mondo un’isola dove chi la abita diventa assassino, ma è un atto col quale si uccide una persona.
Dio per l’eternità rispetta la decisione sia dei demoni che degli uomini che non vogliono essere in comunione con Lui. E questa scelta è l’inferno, e questa scelta è il regno del male che si apre dentro di noi, ed è già presente in questa vita. Origene poteva dire che è desiderio di Dio che tutti gli uomini e gli spiriti, e anche il creato, fossero sempre in comunione con lui, e dunque nel Bene eterno, ma possono esserci spiriti e uomini che non lo vogliono e a Lui si rifiutano e vorranno sempre rifiutarsi. Dio rispetta questa decisione e (mi si permetta il dire) a malincuore lascia che queste sue creature vadano per la loro strada… eternamente. E siccome nel mondo dello spirito non c’è il tempo, per questo l’atto di rifiuto di Dio per i demoni è un atto eterno, mentre gli uomini, rispetto ai demoni, hanno un certo tempo in questo mondo, e questo poco tempo è tuttavia sufficiente per ripensare sul rifiuto e sul futuro personale.
Perché l’uomo non faccia questo devastante errore, cioè di respingere Dio, che è l’inferno dell’anima, il Figlio di Dio s’incarna nella storia umana e instaura una via di salvezza. Allora si capisce il Vangelo: Dio è talmente preoccupato per le sorti eterne dell’uomo, che fa di tutto per salvarlo da una decisione incontrovertibile ed eterna, al punto d’inviare il Figlio affinché decidano di rimanere in Lui quante più figli e sue creature possibili, eternamente legati alla comunione della vita divina e del bene eterno. Questo atto o scelta di permanere in unione con Dio è il paradiso dell’anima, mentre la scelta (che uno può liberamente fare) di rifiutare l’amore e la comunione con Dio è l’inferno. Nel mondo senza tempo queste due scelte hanno il valore d’eternità.