Perché il prete nell’omelia non commenta quasi mai il salmo?
Mi sono accorto, dopo tanti anni di omelie dopo le letture, che il salmo responsoriale non viene mai commentato dal sacerdote, viene letto e anche cantato, ma mai che io abbia sentito un commento o una spiegazione per capirne l’origine ed il senso. Le letture durante la Messa vengono proclamate dal lettore ad alta voce per essere ascolate e in seguito spiegate nei particolari per essere meglio comprese. Poichè questo non viene fatto per il salmo, faccio a voi questa domanda: a che serve leggerlo se poi non viene spiegato?
Carlo Tozzetti
Risponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentaria
La riforma liturgica suscitata dal Concilio Vaticano II ha riordinato quella parte della Messa che prende il nome di Liturgia della Parola. La pubblicazione del nuovo Lezionario fin dall’inizio ha previsto che fra le letture vi sia anche un salmo, detto responsoriale perché invita l’assemblea ad intercalare la sua recitazione con una risposta presa spesso dal testo stesso del salmo.
Si tratta di una lettura particolare, dalle caratteristiche proprie, che le Premesse al Lezionario indicano nei loro tratti distintivi. Di per sé, la natura del salmo chiede che venga canto e non proclamato: «Il salmo responsoriale di norma si proclami in canto. Vi sono due modi per cantare il salmo dopo la prima lettura: il modo responsoriale e il modo diretto. Nel modo responsoriale che, per quanto possibile, è da preferirsi, il salmista o cantore del salmo proclama i versetti, e tutta l’assemblea partecipa con il ritornello. Nel modo diretto, il salmo, senza ritornello da parte dell’assemblea, è cantato dal solo salmista o cantore del salmo, o da tutti insieme» (Premesse al Lezionario, n° 20). Il canto, infatti, è talmente consono alla struttura del salmo che ne favorisce la meditazione e la sua comprensione spirituale (cf Premesse al Lezionario, n° 21). Qualora le circostanze concrete della composizione dell’assemblea non permettano che lo si canti in modo adeguato alla severa sobrietà liturgica, sarebbe meglio recitarlo in modo piano, favorendo il più possibile la sua meditazione (cf Premesse al Lezionario, n° 22).
Il salmo responsoriale ha quindi una peculiarità propria, che viene messa in risalto anche dalla persona specifica, chiamato a cantarlo: il salmista. Le indicazioni delle premesse sia al Messale che al Lezionario distinguono il salmista dal lettore, preposto a proclamare le letture. Questa distinzione di compiti risale ai primi secoli della tradizione liturgica, mostrando una vera e propria diversità di ministero. Se ne conservano le tracce, attraverso le disposizioni del Concilio di Trento, fino al 1962, quando la revisione del Pontificale romano ha semplificato e ridotto le varie figure di ministri. La riforma liturgica del Vaticano II, senza ricostituire il salmista come un ministero specifico, prevede però il compito e la figura di chi deve cantare il salmo nella liturgia: «Per svolgere questo compito di salmista è molto opportuno poter disporre, in ogni comunità ecclesiale, di laici esperti nell’arte del salmeggiare e dotati di una buona pronuncia e dizione. Vale anche per i cantori del salmo quanto detto sopra per la formazione dei lettori» (Premesse al Lezionario, n° 56).
Questa lunga premessa non pretendeva di soddisfare la curiosità specifica del lettore, ma dare un quadro di riferimento alla sua domanda, sul perché l’omelia non riguarda mai (o quasi mai) il contenuto del salmo responsoriale. In realtà non esiste una risposta che sia del tutto soddisfacente e convincente. Certamente il Vangelo ha un posto preminente nella vita spirituale dei credenti e non se ne può tralasciare il commento. Certamente i brani delle letture liturgiche hanno un valore non trascurabile, specialmente quando illuminano il mister di Cristo e della Chiesa sua Sposa. I salmi, però, da sempre fanno parte della tradizione spirituale del popolo d’Israele e poi della comunità cristiana. Inseriti da sempre nella liturgia, non sono una lettura fra le altre, ma un canto, che porta l’assemblea a vivere in atteggiamento di lode l’ascolto della Parola di Dio. Sappiamo che i salmi sono stati spesso oggetto di commento fin dall’antichità. Sono giunte a noi raccolte di varie omelie sui salmi, da parte dei grandi autori ecclesiastici come Origene, Basilio di Cesarea, Giovanni Crisostomo, lo Agostino, che spesso prendeva spunto dal salmo responsoriale per impostare la sua omelia liturgica. Abbiamo le omelie sui salmi di Bonaventura e Tommaso. In tempi recenti abbiamo interventi del Magistero che spiegano i salmi e il loro messaggio.
Papa Giovanni Paolo II ha più volte fatto riferimento ai salmi della liturgia che presiedeva, inserendone il messaggio nei suoi discorsi o partendo da essi per uno slancio di fede da comunicare nell’omelia. Così il 18 settembre del 1984 la sua riflessione sul Cuore di Cristo parte dal commento di alcuni versetti del salmo 103. Dieci anni dopo, il 21 del 1994, durante il suo periodo di riposo a Cogne, Giovanni Paolo II ha preso spunto dal salmo 33 per esprimere il suo stupore davanti alle montagne che lo circondavano: «Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode». Infine il 28 marzo del 2001 ha iniziato una serie di commenti ai salmi durante le udienze generali del mercoledì. In occasione della giornata mondiale di preghiera per la pace di questo anni, l’attuale pontefice Benedetto XVI ha chiuso la sua omelia citando e spiegando più passi del salmo 85.
Questi piccoli accenni mostrano come sia possibile e di fatto accade che l’omelia prenda uno spunto più o meno importante dal salmo della liturgia del giorno. Certamente non si tratta di un compito facile, perché il linguaggio dei salmi è pieno di rinvii simbolici a un mondo distante dal nostro. Però l’uomo dei salmi è sempre lo stesso e resta molto vicino alla nostra esperienza personale: è un uomo che vive nella fatica e nella riconoscenza, fra dubbi e speranze, vivendo sempre in un dialogo con il Creatore, permettendogli di collocare la sua esistenza sotto lo sguardo protettore di Dio. La domanda del lettore si trasforma, allora, in un invito perché preti e diaconi siano più attenti alle ricchezze del salterio e non abbiano timore d’intraprendere la fatica feconda di spezzare per chi li ascolta la parola dei salmi.