Perché Gesù è chiamato «figlio di Davide»?
Dio promette a Davide che il Messia sarebbe nato nella sua dinastia; Giuseppe è discendente di Davide. Perchè nascendo solo da Maria, per opera dello Spirito Santo, Gesù viene chiamato «virgulto di Iesse», che è il padre di Davide?
Alessandro Boschi
Matteo pone Giuseppe nella discendenza di Davide come ultimo anello della lunga genealogia che apre il Vangelo (Mt 1,1-16): «Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo». Il dato è confermato dalla genealogia parallela del Vangelo di Luca (Lc 3,23-38): «Gesù quando incominciò il suo ministero aveva circa trent’ anni ed era figlio, come si credeva, di Giuseppe, figlio di Eli» (Lc 3,23). Questi testi sembrano confermare dei dati della tradizione preesistente agli stessi Vangeli. In ogni caso, se Giuseppe (e dunque Gesù) era di stirpe davidica, doveva trattarsi di un ramo collaterale e di modesta importanza, non di origine aristocratica.
Ma la domanda posta dal lettore chiede in che modo Gesù possa considerarsi discendente di Davide, se la sua nascita non è opera umana ma dello Spirito santo («Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo»: Lc 1,35; cf. Lc 1,26-27.31-32). Se, soprattutto, la discendenza davidica gli viene assicurata da Giuseppe, il padre solo legale di Gesù. La questione non è nuova. Anche se era (ed è) difficile sostenere l’appartenenza di Maria alla discendenza di Davide (è più probabile che essa appartenga alla tribù di Levi, come la «parente» Elisabetta e lo stesso Zaccaria), già gli antichi scrittori ed alcuni vangeli apocrifi (es. il Protovangelo di Giacomo) sostenevano il contrario.
Forse la questione può essere risolta in maniera differente: per comprendere un mosaico non è cosa buona guardarlo troppo da vicino. In sostanza, le attese di Gesù come compimento delle speranza messianiche hanno fatto sì che la comunità primitiva gli cercasse in ogni modo delle origini davidiche, di per sé non necessarie date anche le implicazioni politiche. La monarchia di Davide, dopo l’esilio babilonese, infatti ricupera un senso messianico solo a partire dall’epoca maccabaica (II secolo), un tipo di messianismo, tuttavia, che coesiste con altri del tutto differenti.
Nonostante la professione di fede di Paolo nell’esordio della lettera ai Romani («[Gesù] nato dalla stirpe di Davide secondo la carne», Rom 1,3), lo stesso Gesù sembra prendere le distanze da una origine davidica pura e semplice. Nel suo ministero a Gerusalemme, per esempio, ragionando secondo le prospettive esegetiche del suo tempo, ne rimette in discussione il senso: «Come mai dicono gli scribi che il Messia è figlio di Davide? Davide stesso [= il Salmo 110], infatti, ha detto, mosso dallo Spirito Santo: Disse il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io ponga i tuoi nemici come sgabello ai tuoi piedi» (Mc 12,35). E aggiunge: «Davide stesso lo chiama Signore: come dunque può essere suo figlio?» (Mc 12,37). Analogamente, Gesù è «sommo sacerdote» non certo perché appartenesse alla tribù di Levi: «sacerdote alla maniera di Melchìsedek, e non invece alla maniera di Aronne» (Eb 7,11): la tradizione lo attribuisce alla tribù di Giuda (Eb 7,14). Ma egli parlava di se stesso come «Messia», o non piuttosto come «Figlio dell’Uomo», o «Figlio di Dio»? Questo riporta alla prospettiva di Paolo: colui che è figlio di Davide è anche Figlio di Dio (cf. Rom 1,3-4). Gesù piuttosto vuole opporsi ad un messianismo che considera inadeguato per comprendere in pieno la sua missione. Un messianismo esclusivamente davidico aveva un valore troppo nazionalistico per avere un ruolo preminente nella teologia e nella fede cristiana.