Perché adesso alla Messa si dice “Fratelli e sorelle”
Il nuovo Messale ha introdotto l'uso di "fratelli e sorelle" in varie parti della Messa (ma non nel Credo e nel Gloria). Ecco perché
La recente riforma liturgica del Messale ha introdotto alcune modifiche alle preghiere della Messa. Nell’Atto penitenziale si confessano le colpe anche alle sorelle: l’uso del solo vocabolo maschile «fratelli» utilizzato fino a ora, non escludeva certamente le sorelle; tuttavia, con questa aggiunta si è voluto rimarcare giustamente la presenza dell’universo femminile. Bene. Ma se questa è la logica, si sarebbero dovuti modificare anche altri passaggi delle preghiere della Messa. Nel Gloria, invece, si continua a recitare «…pace in terra agli uomini amati dal Signore..» senza citare le donne; nel Credo si continua a dire «…per noi uomini e per la nostra salvezza…» senza citare le donne. Si tratta solo di una mera svista?
Massimo Piccini
Risponde don Roberto Gulino, docente di Liturgia
La domanda del nostro amico lettore ci permette di richiamare alcuni aspetti che hanno caratterizzato la nuova traduzione italiana del Messale Romano, ormai in uso dalla Pasqua 2021.
Ricordiamo brevemente il perché abbiamo avuto una nuova traduzione italiana. Nel 2008 è stata promulgata per tutta la Chiesa cattolica di rito romano una «terza edizione emendata» del Messale latino di san Paolo VI, pubblicato nel 1970, che è divenuta normativa e modello esemplare per tutti i cattolici di rito romano sparsi nel mondo. Ogni Conferenza episcopale (compresa quella italiana) ha provveduto quindi a tradurre questo nuovo testo latino nella propria lingua.
Sicuramente tra i criteri principali seguiti per la versione italiana, oltre alla fedeltà al testo latino del 2008, possiamo segnalare la necessità di rendere concordi le citazioni bibliche inserite all’interno del Messale con la nuova traduzione italiana della Bibbia (approvata dalla Cei nel 2007), l’esigenza di garantire la celebrabilità, e quindi necessariamente anche la cantabilità, dei testi di preghiera proposti in italiano e una rinnovata attenzione, per quanto possibile, alle sensibilità culturali del nostro tempo.
Circa quest’ultimo aspetto, tra le varie esigenze degli ultimi decenni, possiamo annotare un’attenzione più mirata a utilizzare un linguaggio inclusivo che rispetti la diversità dei generi maschile e femminile, per evitare il rischio di una cultura talvolta ancora sessista e maschilista, e promuovere il principio di uguaglianza della dignità tra uomo e donna.
Per questo motivo, nella formula del Confesso all’interno dell’Atto penitenziale, per due volte è stato inserito il binomio «fratelli e sorelle», così come anche nella proposta di Introduzione allo stesso Atto penitenziale («Fratelli e sorelle, per celebrare degnamente i santi misteri…» e proposte simili) e nella parte della Preghiera eucaristica in cui si ricordano i defunti («Ricordati anche dei nostri fratelli e sorelle che si sono addormentati nella speranza della risurrezione…», cfr. II Preghiera eucaristica; «Accogli nel tuo regno i nostri fratelli e sorelle defunti, e tutti coloro che in pace con te…», cfr. III Preghiera eucaristica).
L’espressione «fratelli e sorelle» non era estranea alla precedente versione italiana del Messale, promulgata nel 1983, anche se meno frequente (era indicata per esempio nelle possibili varianti dell’invito rivolto ai fedeli dopo la Presentazione dei doni e prima della Preghiera sulle offerte: «Pregate, fratelli e sorelle, perché questa nostra famiglia…» e proposte simili).
Tale attenzione a un linguaggio maggiormente inclusivo non è adottabile in altri testi di preghiera, come per esempio quelli citati, il Gloria e il Credo, per un principio ancora più importante, ossia la fedeltà al testo originale.
Nel caso del Gloria, sappiamo bene come la parte iniziale di questo antichissimo inno liturgico riportato nel Messale è ripresa dal testo del Vangelo di Luca, capitolo 2, versetto 14 («Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama»).
Per il testo del Credo, nella prima versione proposta dal Messale, viene riportata la professione di fede denominata «Niceno-costantinopolitana» che ci attesta le definizioni dottrinali avvenute nel Concilio di Nicea (325) e nel Concilio di Costantinopoli (381) in riposta alle prime eresie. Anche in questo caso siamo di fronte a un testo molto antico e decisamente importante per la definizione della nostra fede in cui non si sono volutamente apportate modifiche.
Non si tratta quindi di una svista, ma di una scelta precisa in favore di una maggiore fedeltà della traduzione rispetto ai testi originali.
Concludo con alcune parole pronunciate da papa Francesco durante il suo discorso alla Plenaria della Congregazione per il culto divino e la Disciplina dei Sacramenti il 14 febbraio 2019: «Sappiamo che non basta cambiare i libri liturgici per migliorare la qualità della liturgia. Fare solo questo sarebbe un inganno. Perché la vita sia veramente una lode gradita a Dio, occorre infatti cambiare il cuore. A questa conversione è orientata la celebrazione cristiana, che è incontro di vita col “Dio dei viventi” (Mt 22,32)».
Mi auguro e prego affinché ogni revisione dei testi e/o dei riti liturgici ci porti tutti a un’autentica conversione del cuore. (Amen).