Desidero porre una domanda alla vostra rubrica del teologo su questo argomento: com’è possibile che la crocifissione di Gesù non sia stato un peccato ancora peggiore del peccato originale, quando ci fu solo una disobbedienza?Se Gesù alcune volte nei Vangeli sfugge ai suoi persecutori che già all’inizio della sua predicazione volevano metterlo a morte, come mai a un certo punto decise di darsi a loro? Perché era necessaria la sua morte, visto che una certa tendenza della teologia moderna ripensa criticamente il concetto di sacrificio ed espiazione?Credo in Dio e Gesù e nello Spirito Santo, ma ancora tanti pensieri restano irrisolti nel ragionare mio e di molti.Pema Shan
Risponde don Francesco Vermigli, docente di Teologia dogmatica
La domanda che ci viene fatta, in realtà è composta di tre quesiti differenti. Per quanto tutti abbiano a che fare con la passione di Gesù, i quesiti toccano aspetti diversi attorno alla sua morte salvifica. Sintetizzando: gravità della crocifissione, in confronto al peccato originale; accettazione della morte da parte di Gesù, a un determinato momento della sua vita; necessità di questa morte per la nostra salvezza. Si tratta di quesiti che chiedono risposte assai complesse.Alla prima ci pare di poter rispondere così. La crocifissione del Figlio di Dio è di per sé un atto di una gravità inimmaginabile; per quanto quest’atto ponga di riflesso anche il problema circa la consapevolezza che i crocifissori avessero su chi fosse Colui che veniva ucciso. Così il Vangelo di Marco racconta che solo dopo aver visto il modo in cui muore Gesù, il centurione riconosce chi è il crocifisso (Mc 15,39). Se però vogliamo porre quest’atto in parallelo al peccato originale, direi che siamo su ordini di grandezza differenti. Il peccato originale è l’atto unico e primordiale con cui un individuo di specie umana ha rifiutato la chiamata all’alleanza con Dio, condizionando ogni successivo appartenente alla famiglia degli uomini. La crocifissione di Gesù rientra dunque nella serie di atti che sono il frutto disordinato e malvagio di quel rifiuto iniziale.Alla seconda domanda proviamo a rispondere in sommi capi. La storia di Gesù è fatta di una progressiva attuazione della sua missione salvifica; vale a dire che con il tempo cresce la salvezza che egli porta per gli uomini. Quando è giunta la «sua ora», cioè il compimento della sua salvezza, egli la vive in pienezza; anche se questo significa abbandonarsi allo scatenamento delle forze oscure che lo condurranno alla morte (cf. Gv 12,27; 13,1). La «sua ora» è un’ora luminosissima, ora di salvezza, di grazia, di gloria e di amore; ma quest’ora provoca per contrasto misteriosamente (mysterium iniquitatis) l’«ora delle tenebre», perché nell’attuale condizione del mondo ferito dal peccato, più cresce l’amore e la salvezza, più si scatenano le forze oscure della morte e della menzogna: così chiaramente intende Lc 22,53 («questa è l’ora vostra e il potere delle tenebre»).Ed è su questo punto che vorremmo agganciarci per rispondere alla terza e ultima domanda. Non sembra si possa parlare di necessità della morte di Gesù; se per necessità si intende precisamente un dover essere da sempre in questo modo. Possiamo dire che la volontà salvifica di Dio si attua in una realtà che conduce alla morte di Colui che è lo stesso Salvatore. La salvezza di Dio nasce dalla sua eterna volontà di bene; è un’opera di amore e benevolenza, che non porta con sé necessariamente che quest’opera si concluda con la morte e la morte cruenta. Se questo è accaduto, è per le ragioni a cui abbiamo accennato sopra: che, cioè, l’amore di Dio per l’uomo, in questa condizione, avviene nella forma della lotta contro le potenze del male.Si tratta di quesiti assai complessi, dicevo. Abbiamo provato a rispondere, scoprendo poi nel nostro ragionamento rimandi tra di essi molto più profondi di quanto una prima lettura potrebbe far percepire. Anche in ragione di questo fatto ringraziamo l’estensore della domanda.