Origini dell’uomo: la scienza nega la Genesi?
Mio figlio sta studiando, a scuola, le origini dell’universo, la nascita della vita sulla terra, l’evoluzione dalla scimmia all’uomo. La professoressa di scienze, a quanto pare, è stata molto chiara nel sottolineare che tutto questo è la verità dimostrata e accertata dagli scienziati, e che non c’entra niente con quello che racconta la Bibbia, facendola apparire come una favoletta superata. Credo che invece il racconto della Genesi meriti rispetto, e che forse il discorso sul rapporto tra scienza e fede andrebbe impostato in maniera più seria. Mi sembra che, anche tra gli scienziati, ci sia chi ammette la possibilità di una «scintilla divina» che abbia trasformato materia inerte in vita, e che abbia dato all’uomo la coscienza e il libero arbitrio.
Paolo Marinetti
Detto questo, da un punto di vista filosofico, sposterei la domanda e la proporrei da altra angolazione. Intanto lascerei perdere le «scintille» ancora più oscure e complicate delle evoluzioni, e mi concentrerei sull’uomo.
Se l’uomo è un fenomeno della evoluzione e come tale è una cosa qualsiasi, allora che si discenda da una scimmia o da un albero è la stessa cosa, perché se lo appiattiamo nella materialità e se fosse una cosa tra le cose, non c’interessa il problema e non potremmo spiegare neppure come sorga.
Se l’uomo invece – come rivela la domanda – è un valore ossia è un soggetto razionale e libero e perciò in quanto tale non è riducibile alla pura fisicità, allora le cose cambiano. Siamo dinnanzi a una persona che si chiede della sua esistenza, di cosa ci fa, di qual è il suo ruolo, del perché c’è. La forza delle domande e la coscienza di esse rivelano un essere soggetto e responsabile di se stesso, assoluto e valorico. Ora in quanto assoluto il soggetto è sciolto anche da chi è causa della sua nascita (in filosofia: causa fiendi). Egli può esser nato da gorilla, da amebe, o anche da Dio stesso, tutto ciò diventa «relativamente» secondario, perché il problema è lui stesso in quanto tale: questa è la grandezza dell’uomo. In quelle domande l’uomo non interroga i suoi «genitori», ma il senso dell’essere universale, o se c’è, quel Dio che dà senso all’essere universale, perché il valore di esser soggetto non è «derivato» da altri, ma è una proprietà personale, individuale, soggettiva. Ripeto: da qualsiasi matrice tale soggetto possa esser venuto.
La scienza non vede questo aspetto, e forse non è deputata a vederlo, ma la scienza non può porsi come «filosofia», ossia come quella scienza che è alla ricerca del senso e dei valori degli enti e non semplicemente di come sono fatti.
In altri termini: un conto è dire che l’Iliade è l’insieme di parole prese dal vocabolario, e un conto è guardare alla grandezza del contenuto e del messaggio. Un uomo materialmente è un’ammucchiata di atomi, ma è ottusità mentale pensare che sia solo quello. A noi filosoficamente interessa il resto. E la proposta di un Dio che dà valore all’uomo in quanto su di lui impegna la sua immagine, è una risposta più interessante del mucchio di atomi. Che poi tale soggetto venga dalle amebe, a me pare secondario, d’altronde la Bibbia ci dice che Dio lo prepara dalla terra, e una scimmia potrebbe anche essere più dignitosa del fango.
La scienza non vuol ammettere la diversità e l’originalità dell’essere umano rispetto alle cose. E un uomo-cosa per la tecnica e la scienza è più interessante e manipolabile di un uomo-soggetto, del quale l’anima, la dignità, il valore lo renderebbero intoccabile. Lo scontro – al di là delle teorie evoluzionistiche – è ancora quello tra materialismo e religione, che procedono innanzi tutto da una presa di posizione aprioristica sul mondo. Genesi, a prescindere da come siano andati realmente i fatti, mi sembra che dell’uomo dia una spiegazione razionale più completa e sensata dei materialismi.