I vescovi Usa sembra che siano propensi a negare l’Eucaristia ai politici che sono favorevoli esplicitamente all’aborto. Naturalmente non giudico la coscienza di nessuno, compresa quella del presidente degli Stati Uniti, ma sarebbe opportuno ricordargli che accostarsi all’Eucaristia è un atto pubblico e non privato. Il cristiano è consapevole che questo rendimento di grazie durante la liturgia è anche impegnarsi a vivere come Gesù ci hai insegnato. In sostanza il seguace di Cristo non può essere contro l’aborto in chiesa ed essere possibilista fuori chiesa. Nel Vangelo sono riportate le parole del Salvatore che dice: «sono i malati che hanno bisogno del medico e non i sani!». Chiedo al teologo come si possano conciliare due atteggiamenti così diversi.Angelo GiroldoRisponde p. Maurizio Faggioni,docente di Teologia moraleLa questione cui si riferisce il lettore con la sua lettera garbata è spinosa e merita di essere brevemente contestualizzata. Il sentire del popolo cristiano sull’aborto è chiaro e costante nel tempo e altrettanto chiaro e costante è l’insegnamento della Chiesa: l’aborto è un «crimine nefando» – così si legge in Gaudium et spes 51 – in quanto soppressione di una vita umana nel suo sorgere ed è tanto più grave se pensiamo che questa vita innocente è da Dio affidata totalmente alle nostre mani. Il rifiuto dell’aborto si impone alla coscienza non solo alla luce della fede, ma anche alla luce della sola ragione umana.Dagli anni ‘60 legislazioni permissive sull’aborto hanno cominciato a farsi strada in molti Paesi occidentali e si è posto di conseguenza il problema generale dell’adesione dei cattolici e, in particolare, dei politici cattolici ad aggregati e partiti che hanno nel programma aspetti eticamente discutibili o addirittura inaccettabili riguardo all’aborto e ad altri temi eticamente significativi come l’eutanasia. Nel 1974 la dichiarazione sull’aborto procurato aveva affermato che «la legge umana può rinunciare a punire, ma non può rendere onesto quel che sarebbe contrario al diritto naturale» (De abortu procurato 21): l’aborto non può mai configurarsi come un diritto perché non esiste un diritto al male. Evangelium vitae, nel 1995, aveva dato alcuni criteri concreti perché un politico cattolico, non potendo fare altro, potesse intervenire e collaborare per far approvare una legge sull’aborto che fosse meno permissiva e, quindi, oggettivamente migliore di un’altra più imperfetta (cfr. EV 73). Ci si muove – è chiaro – su un terreno insidioso ed è necessario un discernimento prudente per non diventare complici di morte e causa di scandalo. Su questo punto esiste una Nota circa l’impegno dei cattolici nella vita politica pubblicata nel 2002 dalla Congregazione per la dottrina della fede, allora guidata dal cardinal Joseph Ratzinger. Le situazioni concrete non sono mai completamente sovrapponibili e chiedono valutazioni attente e circostanziate perché il realismo e la necessità di mediazioni da cui non può prescindere nessuna azione politica non scivolino in un deleterio relativismo, scambiato per legittimo pluralismo, e che si arrivi a professare una duplice verità morale, quella privata e quella pubblica.Negli Stati Uniti l’aborto era disciplinato in modi diversi nei vari stati e in 30 di essi era sempre proibito finché, nel 1973, una famosa sentenza nota come Roe contro Wade ha stabilito il diritto della donna di scegliere liberamente l’aborto senza ingerenze statali nella sua privacy. Si sono così affermati nella società americana due fronti: i pro-life, per la vita e contro l’aborto e pro-choice, per la scelta abortiva, come se tenere un bambino non fosse anch’essa una scelta e che scelta. In tempi recenti i vescovi statunitensi si sono posti il problema dei politici cattolici che, militando nel partito Democratico, si trovano a sostenere una linea programmatica a favore dell’aborto. Nel 2004 il cardinal Ratzinger, rispondendo a una precisa domanda del presidente della Conferenza episcopale statunitense, scrisse una lettera riservata– ma reperibile in internet – che dava indicazioni sul tema: un sacerdote può dare la comunione a un politico notoriamente favorevole all’aborto? Qui non si tratta della scomunica che, secondo il canone 1398, colpisce coloro che procurano l’aborto o cooperano direttamente a eseguirlo, ma ci si riferisce, in modo più ampio, a di chi dà una collaborazione anche solo morale all’aborto. Per collaborazione in senso morale si intende, come spiega la lettera, la promozione di campagne di opinione a favore dell’aborto o il voto a leggi permissive. Un sacerdote dovrebbe entrare in dialogo con un politico che si accosti alla comunione per fare insieme discernimento sulla sua posizione e verificare onestamente se si danno le condizioni necessarie per accostarsi degnamente alla santa comunione.Il problema si è riproposto con la nomina a presidente degli Stati Uniti di Joe Biden che, dopo John Fitzgerald Kennedy è il secondo presidente cattolico e che si comunica abitualmente. Nell’ambito di un documento sull’Eucaristia nella vita della Chiesa, è stato proposto di inserire una sezione nella quale si riflette sull’ammissione alla santa comunione dei cattolici che ricoprono cariche pubbliche e accettano senza manifestare disagio o addirittura favoriscono l’aborto come diritto. Il presidente Biden è guardato con sospetto dai pro-choice per il suo retroterra cattolico, ma sta scontentando i pro-life, tendenzialmente nelle file del partito Repubblicano e vicini all’ex-presidente Trump. Biden è accusato, fra l’altro, di aver sbloccato fondi federali per facilitare l’accesso all’aborto. A motivo dell’organizzazione dei servizi sanitari negli Stati Uniti, diversa da quella di stampo europeo, una questione concreta, oltre a quella della normativa giuridica, è infatti quella del ricorso o meno a fondi federali, cioè pubblici, per permettere l’accesso all’aborto da parte dei ceti meno abbienti. In vista dell’approvazione del documento, il presidente della Conferenza episcopale ha informato e chiesto lumi al Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, cardinal Ladaria. La sua risposta, datata 7 maggio 2021, riprende esplicitamente la lettera del cardinal Ratzinger e ha dato orientamenti di grande prudenza che tengono conto del clima di contrapposizione che serpeggia nella Chiesa cattolica statunitense e della polarizzazione su alcuni temi rispetto ad altri. Egli raccomanda di evitare il rischio che «la formulazione di una politica nazionale» su una questione «di natura potenzialmente contenziosa», possa diventare «fonte di discordia piuttosto che di unità all’interno dell’episcopato e, più in generale, della Chiesa negli Stati Uniti». Egli chiede che si trovi convergenza sul fatto che «il sostegno alla legislazione pro-choice non è compatibile con l’insegnamento cattolico», ma anche esorta i singoli vescovi a dialogare con quei politici cattolici che sono più vicini ai pro-choice, in modo da «comprendere la natura delle loro posizioni e la loro comprensione dell’insegnamento cattolico». Nelle parole del cardinal Ladaria risuona la secolare saggezza della Chiesa che non cede neppure di un passo su valori non negoziabili, come la vita umana, ma sa che l’inveramento dei valori nella realtà storica può risultare arduo e controverso. I vescovi, il 19 giugno 2021, hanno votato sul progetto di documento e hanno deciso a larga maggioranza – per la precisione 168 favorevoli contro 55 contrari e 6 astenuti – di procedere nella direzione più rigorosa. Vedere, però, che un quarto dei vescovi è contrario ad alcuni aspetti del documento preoccupa e fa presagire che a novembre, quando verrà presentato per l’approvazione definitiva, risulterà un testo molto divisivo e suscettibile di indebite strumentalizzazioni politiche.Che dire a questo punto della situazione personale di Joe Biden? Davanti a Dio Joe Biden è un credente con le sue responsabilità private e pubbliche e per questo la Chiesa giustamente pone a lui, e non solo a lui, ma a tutti noi la domanda se la nostra esistenza, nella molteplicità di suoi aspetti, è davvero sintonica con il sacramento che celebriamo. La «coerenza eucaristica» non è, infatti, un’esigenza dei soli politici, ma di ogni credente.