Sacramenti o benedizioni dati a una persona che non è più cosciente hanno valore? Se una persona è in coma, o in stato di sedazione, il prete può dargli l’unzione degli infermi? Può assolverlo dai suoi peccati, come se si confessasse, se i familiari lo richiedono sapendo che questo risponderebbe alla sua volontà?Lettera firmataRisponde padre Valerio Mauro, docente di Teologia sacramentariaLa domanda del lettore potrebbe dare adito a diverse angolature di interpretazioni e risposte. Potremmo distinguere tra la possibilità e l’opportunità di conferire sacramenti o benedizioni a persone che non sono in grado di comprendere o prendere parte attivo al rito. Un utile punto di partenza possano essere le diverse sottolineature che la teologia contemporanea mostra nei confronti dell’unzione degl’infermi. Secondo una prospettiva l’unzione viene data a un credente malato, mettendo in evidenza la sua situazione esistenziale. Secondo un’altra, invece, l’unzione è per un malato che appartiene alla Chiesa, ponendo l’accento sulla dimensione ecclesiale. È ovvio che le due prospettive sono complementari e nessuna delle due esclude l’altra, ma al tempo stesso due diverse prospettive di interpretazione. Se mettiamo in primo piano la situazione esistenziale della persona, una realtà di coma o sedazione indotta, siamo di fronte ad una incapacità di prendere parte attiva e responsabile al rito, come invece si dovrebbe avere secondo la mens della liturgia. Questo non vuol dire che il rito di benedizione o la stessa unzione perdano valore. La fede cattolica, precisata al Concilio di Trento, attesta che il rito sacramentale ha efficacia in coloro che «non frappongano un ostacolo». Questa espressione particolare, che in latino suona non ponentibus obicem, fu inserita durante la discussione del testo per affermare la validità persino del battesimo dei bambini. Ma il dono spirituale del sacramento raggiunge la sua pienezza nella risposta di fede del credente. E non possiamo sapere quale consapevolezza reale si abbia in alcune situazioni della vita. La stessa assoluzione in articulo mortis è consigliata dalla tradizione come ultimo gesto di misericordia nei confronti del morente. Nel mistero che circonda gli ultimi momenti dell’esistenza non solo è certamente possibile, ma anche opportuno nella logica della fede accompagnare il credente con i gesti che la Chiesa ci offre. Qui si passa alla seconda prospettiva, quella ecclesiale, cioè di una trama di relazioni, all’interno delle quali si trova coinvolto il malato. Ogni gesto sacramentale è sempre un gesto ecclesiale, che dovremmo strappare alla logica individualista e privata che si presenta come una sottile tentazione dell’epoca moderna. Il rito sacramentale verso un credente non più cosciente, celebrato davanti a fratelli che lo circondano nel dolore e nell’affetto, ha un importante valore ecclesiale.Dovrebbe essere anche un’occasione di evangelizzazione perché i partecipanti comprendano che lo si può celebrare in modo molto più adeguato e ne traggano profitto per un’altra circostanza. Per questo la risposta alla domanda del lettore chiede di essere allargata al di là di una semplice affermazione. Sta alla capacità del ministro cogliere in queste situazioni l’occasione per andare oltre una mera celebrazione e presentare il pieno valore che ogni benedizione o sacramento possono raggiungere: un incontro di libertà fra il dono gratuito di Dio e l’accoglienza consapevole del credente. In questo incontro la grazia dello Spirito raggiunge la sua piena efficacia.