L’unica Chiesa è quella Cattolica?
Sul numero di Toscana Oggi del 3 giugno, ho letto con attenzione la risposta di don Jacopozzi alle domande del lettore Benedetti sulle divisioni dei cristiani (Perché i cristiani sono divisi e non riuniti in un’unica Chiesa?). Devo dire che alcuni passaggi mi lasciano, dirò in «cattolichese», perplesso.
Uno in particolare. Scrive don Alfredo: «Nessuna quindi delle chiese e comunità cristiane può (…) ritenere (…) di essere l’unica autentica chiesa di Cristo sulla terra». Nessuna: quindi neppure la chiesa cattolica.
Sinceramente, da solo non riesco a conciliare questa non equivoca conclusione, con quanto Lumen Gentium e annessa Nota esplicativa previa, e, più recentemente, la Dichiarazione Dominus Jesus, affermano in proposito. Con le parole di quest’ultima: «(16) I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica (…) tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica. È questa l’unica Chiesa di Cristo (…); egli l’ha eretta per sempre come colonna e fondamento della verità (cfr. 1 Tim. 3,15). Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste [subsistit in] nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. (Lumen Gentium, n.8)». (E ce ne sarebbero altre di precisazioni analoghe, ad esempio al paragrafo 7).
Questa nostra, cattolica consapevolezza che tutti i mezzi di salvezza necessari si trovano nella Chiesa Cattolica, mi sembra anzitutto indispensabile per un realistico dialogo ecumenico, impossibile se la propria identità ecclesiale non è chiara. E al riguardo mi sembrano una luminosa, promettente conferma le recenti coraggiose scelte fra gli Anglicani. Una consapevolezza che non può non essere anche un forte richiamo alle nostre responsabilità, personali e comunitarie. Perplesso: forse ho bisogno di un chiarimento.
Mario Paolo Rocchi
Risponde don Alfredo Jacopozzi, docente di Storia delle religioni
Nel mio precedente intervento (Perché i cristiani sono divisi e non riuniti in un’unica Chiesa?), a cui il lettore fa riferimento, mettevo in evidenza le novità teologiche della Dichiarazione Unitatis Redintegratio (UR) del Vaticano II circa l’ecumenismo. In particolare, sottolineavo che luogo privilegiato del dialogo tra i cristiani è Cristo e non, come ritenuto prima del Concilio, la Chiesa cattolica. È fuori discussione che uno dei grandi cambiamenti di paradigma del Concilio sia stato il passaggio da una prospettiva ecclesiocentrica ad una cristocentrica.
Cristo è il compimento e la pienezza della rivelazione cristiana. Alla Chiesa, il compito di trasmettere e testimoniare il dono della rivelazione. Cristo e la Chiesa non stanno sullo stesso piano: uno è il sacramento fondamentale, l’altra è il sacramento derivato.
Il nostro attento lettore, citando la Dichiarazione Dominus Jesus (DJ) sottolinea che «esiste una continuità storica tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica ( ) Questa Chiesa costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste [subsistit in] nella Chiesa Cattolica governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui». La DJ interpreta l’espressione latina subsistit in come una formula compromissoria che il Concilio adottò per armonizzare due affermazioni dottrinali diverse: da un lato che la Chiesa di Cristo continua ad esistere pienamente nella Chiesa Cattolica e dall’altro l’esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della Chiesa Cattolica, ovvero nelle chiese e comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica. E riguardo a queste ultime la DJ, citando il documento conciliare UR n. 3 afferma che «il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica». Ma non cita la frase immediatamente precedente: «poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza». Anche se la litote («lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse») smorza il discorso, la sostanza rimane davvero notevole, poiché in UR n.3 si afferma che le confessioni cristiane sono in se stesse vie di salvezza, quasi alla pari con la Chiesa cattolica.
Non dimentichiamoci che i cristiani delle altre chiese sono «incorporati» a Cristo e sono nostri fratelli. Anche UR n.4 pone in rilievo gli elementi preziosi presenti nelle comunità dei fratelli separati che possono servire per edificare anche i cattolici, perché nulla di quanto è autenticamene cristiano ed è frutto dello Spirito va respinto. Nella Chiesa-comunione, dunque, gli stessi cattolici riconoscono che i fratelli separati forniscono un apporto essenziale. Si tratta di una serie di affermazioni di grande novità e afflato che la DJ purtroppo lascia cadere. Però ci sono! E a differenza della DJ sono state fatte oggetto di riflessione e di approfondimento nell’enciclica di Giovanni Paolo II Ut unum sint sull’impegno ecumenico della Chiesa.
I documenti magisteriali sono consegnati alla Chiesa non per essere imbalsamati, ma per aiutare il cammino di fede dei credenti. Soprattutto, è compito dei teologi una adeguata riflessione e interpretazione all’interno della comunità cristiana. Riguardo al delicato ambito dell’ecumenismo i documenti citati pongono alcune questioni, soprattutto per quanto concerne il termine «pienezza».
Anche il nostro lettore fa riferimento alla «consapevolezza che tutti i mezzi di salvezza necessari si trovano nella Chiesa cattolica». In pratica si sostiene che la Chiesa cattolica ha la pienezza dei mezzi di salvezza, presentando una prospettiva quantitativa che fa sorgere non pochi interrogativi: come si può aggiungere qualcosa al tutto? Se nella Chiesa cattolica c’è davvero questa pienezza, che cosa possono aggiungere le altre Chiese? Se c’è già la pienezza hanno diritto ad esistere? Come è possibile la loro permanenza? Il concetto di pienezza presenta dunque qualche ambiguità e dà adito a diverse interpretazioni. Facciamo nostre alcune osservazioni del teologo L. Sartori (L’unità dei cristiani, Messaggero, Padova 1994, 53 ss.), il quale notava anzitutto che la pienezza non può essere intesa in senso percentuale-matematico, e che non è corretto confrontare la totalità, il cento per cento della Chiesa cattolica con le percentuali, fra l’altro impossibili da stabilire, delle altre chiese. La questione posta così, cade da sola. Occorre dunque passare da una concezione quantitativa ad una qualitativa, cercando seriamente di riflettere se, qualitativamente sono più importanti le cose che ci dividono o quelle che ci uniscono e da lì andare avanti nel dialogo.
Il lavoro che attende le varie realtà ecumeniche fra cattolici e fratelli separati è ancora molto lungo e irto di ostacoli. Ma è importante ciò che affermava Giovanni Paolo II nella Ut unum sint n. 34: «anche dopo i tanti peccati che hanno contribuito alle storiche divisioni, l’unità dei cristiani è possibile». Attenzione! Giovanni Paolo II parlava di unità dei cristiani, non del ritorno dei cristiani all’ovile della Chiesa Cattolica. Come sarà concretamente questa unità nessuno per ora lo sa. Lo Spirito di Dio che parla alle chiese lo suggerirà.