L’ora di religione: catechismo o cultura?
Di fronte alla richiesta di inserire un’ora di religione islamica nelle scuole, credo che sarebbe importante far capire che l’ora di religione cattolica non è un’ora di catechismo, ma un’ora di formazione culturale indispensabile per cogliere aspetti fondamentali della vita, dell’arte, delle tradizioni del nostro Paese e anche per poter meglio confrontarsi con altre religioni e altre tradizioni. Non tutti hanno chiaro questo aspetto: e forse è anche per questo che molti ragazzi, soprattutto in Toscana, non la frequentano.
Marzia Verdini
Ad esempio studiosi ed esperti autorevoli insieme a responsabili degli uffici scolastici delle curie diocesane hanno rilevato che l’insegnamento della religione cattolica a scuola viene spesso confuso con la catechesi parrocchiale non solo da alunni e genitori ma anche dagli stessi insegnanti che si propongono come specialisti di questa disciplina scolastica. Non sono certamente quegli insegnanti che in quasi venti anni ho preparato in qualità di docente di didattica dell’Insegnamento della religione cattolica (IRC).
Per un chiarimento di questa basilare distinzione tra catechesi parrocchiale e insegnamento della religione cattolica nella scuola richiamo qui due punti chiave che furono alla base dell’Intesa del 1985, seguita all’Accordo concordatario dell’anno precedente.
Il primo punto riguarda la precisazione che l’IRC è configurato «nel quadro delle finalità della scuola» (art. 9.2 dell’Accordo 1984). Il che vuol dire una presenza nella scuola, come disciplina scolastica a tutti gli effetti, con tutti i limiti della scuola pubblica di uno stato laico. Inoltre, dato che ogni fatto di rilevanza culturale ha nella scuola la sede propria di analisi e di studio non si poteva non arrivare alla logica conclusione che la religione cattolica, proprio perché rappresenta una evidenza storico-culturale significativa per la storia secolare del nostro paese, può e deve essere studiata nell’ambito delle finalità istituzionali della scuola. Uno studio fatto con un accostamento critico al patrimonio di segni e valori della religione cattolica e più ampiamente a quello della altre tradizioni religiose di ieri e di oggi.
In sintesi si può dunque affermare che la religione cattolica è trattata a scuola come «oggetto culturale», di cui l’alunno non fa necessariamente esperienza diretta. Viene perciò studiata in un’ottica e con gli strumenti propri della ricerca culturale; è quindi un’elaborazione di un sapere e di conoscenze sulla religione cattolica, ivi compreso le sue radici e i suoi effetti storici e culturali. Entrando poi nell’area della formazione scolastica comune l’IRC offre un contributo specifico allo sviluppo della persona, anche a prescindere dalla sua eventuale appartenenza confessionale e della pratica religiosa, per cui la disciplina scolastica dell’IRC è per sé stessa aperta a tutti gli alunni che possono trovare orientamenti opportuni, se non proprio soddisfacenti, alle proprie domande esistenziali e acquisire strumenti concettuali idonei a operare scelte personali.
Un secondo punto riguarda la natura atipica di questa disciplina scolastica così come emerge contestualmente dall’Accordo 1984, dalle Intese successive e dai programmi didattici via via elaborati. L’IRC in quanto rientra nel quadro orario settimanale delle lezioni è una disciplina istituzionalmente curricolare ma al tempo stesso è soggettivamente facoltativa, sia perché è fruibile per libera scelta annuale sia perché pone l’alunno che non la sceglie nello «stato di non obbligo» a seguire attività scolastiche alternative (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 13/1991).
È disciplina confessionale in quanto i contenuti, relativi ai testi e alla storia della confessione cristiano-cattolica, vengono insegnati da un docente riconosciuto idoneo e proposto dall’autorità ecclesiastica, secondo programmi e libri di testo controllati dalla stessa autorità. Tale carattere confessionale ha però delle precise limitazioni: l’IRC deve subordinarsi quanto a obiettivi e metodi al quadro delle finalità laiche e dei procedimenti critici della scuola (per cui si parla di disciplina formalmente non confessionale negli obiettivi e nei metodi, mentre è confessionale nei contenuti materiali). Inoltre, poiché aperto a tutti gli alunni e non ai soli credenti, l’insegnamento deve essere impartito «nel rispetto della libertà di coscienza», con il dovere etico-professionale di evitare ogni tipo di indottrinamento, pressione ideologica o tattiche proselitistiche; sono poi esclusi durante l’orario scolastico gli atti culto ed è raccomandato, come previsto nei programmi didattici, il confronto critico della posizione della religione cattolica con quelle di altre confessioni e religioni.
Dovrebbe allora risultare evidente la diversità dell’IRC dalla catechesi parrocchiale che ha come finalità ultima l’educazione della fede del cristiano, l’iniziazione ai sacramenti e l’accompagnamento nella vita cristiana e che si realizza all’interno della comunità cristiana con metodi e strumenti appropriati. Purtroppo anche per molte famiglie cristiane, che chiedono per i loro figli la preparazione ai sacramenti, rimane ignota e sconosciuta questa distinzione credendo, senza voler generalizzare, che l’insegnamento della religione a scuola sia un doppione del catechismo e quindi un qualcosa di cui si può fare anche a meno.
Credo che questa sia una delle ragioni, evidentemente da verificare, per cui molte famiglie, anche cattoliche, non scelgono per i propri figli di avvalersi di questa importante opportunità formativa costituita dall’IRC nella scuola. Sarebbe quindi non solo opportuno ma necessario che nell’ambito delle iniziative della pastorale familiare e non solo di quella scolastica si facesse di tutto per far conoscere e far apprezzare alle famiglie l’importanza di questa offerta educativa religiosa.