L’esposizione di padre Pio e il culto dei santi
Ho seguito in tv, in questi giorni, il grande clamore suscitato dall’esposizione della salma di Padre Pio. Fermo restando il massimo rispetto per una figura, come quella di San Pio, alla quale non possiamo che guardare con devozione e ammirazione, devo ammettere che questi grandi raduni, e le file chilometriche per affacciarsi davanti alle reliquie, mi lasciano qualche perplessità. Qual è il giusto atteggiamento da tenere in questi casi? Come deve essere vissuta la devozione per i santi? Qual è lo spirito con cui tanti pellegrini che in questi giorni andranno a San Giovanni Rotondo devono accostarsi a Padre Pio?
Lorenzo Picchi
Il culto dei santi affonda le sue radici nel comune rispetto dei defunti che dall’epoca preistorica (risale circa ad 80.000 anni a.C.) accompagna popoli di culture ed aree molto diverse.
Nella comunità cristiana, quando la persona defunta nel corso della sua vita ha dato prova di virtù e atteggiamenti di fede, l’onore reso dopo la morte assume dimensioni particolari fino ad arrivare alla preghiera non solo «per» la persona, ma «tramite» la persona: si ha la consapevolezza che un santo, vissuto in piena comunione con il Signore, possa intercedere perché anche noi si giunga alla pienezza in Dio.
Nel corso dei secoli questa attenzione ai santi – ed a quanto ci ricorda di loro, immagini o reliquie – ha assunto intensità e forme diverse fino a scadere, purtroppo, in atteggiamenti che ben poco hanno a che vedere con la fede cristiana: si è giunti ad una sorta di adorazione di dei o ad un attaccamento sfrenato ad oggetti che rasenta più la superstizione e la scaramanzia.
Il Concilio Vaticano II ci ricorda, attraverso due articoli della Sacrosanctum Concilium, la dimensione migliore per vivere il culto e la devozione verso coloro che hanno testimoniato nella loro vita la fede nel Signore Gesù. Il numero 104 ribadisce che nei giorni in cui si celebrano le memorie o la feste dei santi «la Chiesa proclama il mistero pasquale di Cristo» che in diversi modi «viene realizzato in loro» e al tempo stesso «propone ai fedeli i loro esempi e implora i benefici di Dio per i loro meriti». Poco dopo, il numero 111 afferma ancora che «le feste dei santi proclamano le meraviglie di Cristo nei suoi servi e propongono ai fedeli opportuni esempi da imitare».
Potremmo quindi dire che il culto dei santi ha – e deve avere – queste due dimensioni teologiche: 1) l’imitazione nella nostra vita: attraverso il loro esempio concreto, fatto di parole ed azioni, hanno vissuto in un’epoca ed un luogo preciso la loro sequela di Cristo; siamo chiamati anche noi, oggi, a vivere in profondità e con radicalità la nostra vocazione battesimale nelle strade che il Signore ci invita a percorrere ogni giorno – famiglia, lavoro, amicizie ; 2) l’intercessione per la nostra vita: chiediamo che le nostre preghiere siano sostenute ed arricchite dall’aiuto di questi nostri “fratelli maggiori” che ci accompagnano dal cielo con il loro sostegno e la loro protezione; si tratta in fondo di vivere la comunione dei santi, il sentirsi parte dell’unica famiglia di Dio che vive la piena comunione di fede e di preghiera seppur fisicamente ancora divisi (noi Chiesa in cammino sulla terra – loro Chiesa nella gloria del cielo).
In sintesi, per dirlo con le parole della liturgia (Prefazio dei Santi II), l’autentica devozione dei santi deve sempre fare in modo che «il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sostengano nel cammino della vita perché si compia in noi il mistero di salvezza del Signore». Davvero è il caso di concludere con: «Amen!».